Dire Fare Cambiare

Cure mirate per uomini e donne

Anni di lotte femministe sembrano impallidire di fronte al titolo dell’ultimo libro della scienziata Antonella Viola, Il sesso è (quasi) tutto (Feltrinelli, 2022). Ma anche Simone de Beauvoir, che ha consacrato la vita alla causa della parità tra i sessi, sorriderebbe compiaciuta se nell’aldilà potesse sfogliare questo interessante testo di divulgazione scientifica. Sì, perché ciò che pochi sospettano è che in medicina la parità tra uomini e donne si raggiunge con la discriminazione. E quanto più la discriminazione è scientifica, meglio è. Un apparente paradosso, dove però la parola discriminazione sta per attenzione alle differenze biologiche legate al sesso.

Questa è l’intervista completa apparsa sul supplemento InSalute di Altroconsumo del mese di giugno 2022 fatta all’ Immunologa e divulgatrice scientifica Antonella Viola che dirige l’Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza di Padova.

Professoressa Viola, il sesso è così importante in medicina?

«Uomo e donna sono biologicamente e fisiologicamente molto diversi. Se la società ha artificiosamente creato differenze che non hanno ragion d’essere, e che spesso sono ingiuste, la scienza ha invece ignorato differenze che avrebbero permesso di curare meglio tutte le persone, ma soprattutto le donne. li corpo delle donne è stato studiato poco e curato peggio, perché per molto tempo la medicina è stata fatta da maschi bianchi per maschi bianchi. Le donne sono state escluse dalle sperimentazioni».

Che cosa ha comportato questa ingiusta esclusione?

«Ha fatto sì che alla donna fossero somministrati farmaci che su di lei non erano mai stati sperimentati, quindi senza sapere se avrebbero funzionato e senza avere la certezza che non avrebbero avuto effetti tossici importanti. Non è un caso che siano proprio le donne a soffrire più spesso di effetti collaterali severi».

Oggi negli studi clinici le donne sono rappresentate?

«Solo dopo il 1993, su richiesta della Food and Drug Administration, (Agenzia per gli alimenti e i medicinali) l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, dipendente dal Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti d’America, gli studi clinici hanno cominciato a includere le donne. Ma il problema non è solo dare loro rappresentanza – e farlo in misura equivalente agli uomini sin dalle prime fasi della ricerca-, ma includere specifiche analisi di genere. Questo significa gestire separatamente le analisi di efficacia e sicurezza per i due sessi. Basti dire che solo il 4% delle sperimentazioni cliniche di vaccini e terapie contro il Covid-19 ha incluso un piano per analizzare le variabili sesso o di genere. Poi non dobbiamo stupirci che il 71% delle reazioni avverse ai vaccini sia stato riportato da donne».

Da questa intervista ho dedotto molte cose:

lo scarso interesse e attenzione che la scienza e la ricerca hanno nei confronti delle donne;

ho pensato che se la fibromialgia fosse stata una malattia che colpiva in prevalenza gli uomini, oggi avremmo già un farmaco e forse la cura;

se andiamo avanti così, sarà dura avere delle risposte scientifiche certe;

ho capito perché, si dall’inizio della scoperta della fibromialgia era più semplice definirci “ipocondriache”, se andava bene, “pazze e isteriche”, se andava male.

Popolo, gente, se continua così, la strada è lunga e tortuosa.

Mi aiuto aiutando

E’ un motto che ho usato e uso ancora per “sopravvive” al dolore cronico.

Nella nostra società, le malattie croniche comportano un carico assistenziale enorme con conseguenze psicosociali elevate che inevitabilmente ricadono sui costi sanitari . Mi riferisco a malattie come la Fibromialgia, il Lupus, Emicranie, Reumatismi, CRPS (Sindrome dolorosa regionale complessa) e tantissime altre. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità le malattie croniche rappresentano quasi l’80% dei disturbi attuali.

Si leggono slogan per alcune malattie croniche ma niente di più, sono belli gli slogan ma non soddisfano noi affetti da malattie croniche ignorate da tutti.

Auguro a tutti di prendere consapevolezza della propria malattia del proprio disagio, qualunque esso sia, perché solo così ci si può permettere di aiutare noi stessi aiutando gli altri.

Auguro a tutti, se possono, di trovare il coraggio e la forza di reagire; reagire concretamente realizzando qualcosa in cui si crede.

L’Auto Aiuto per me è stata la “salvezza”. Mi piacerebbe far conoscere a tutti questa esperienza e farla provare.

Nel 1987 l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) definisce l’Auto Aiuto così:

Per auto aiuto si intendono tutte le azioni intraprese da persone comuni (non professionisti della

salute) per mobilitare le risorse necessarie a promuovere, mantenere e ristabilire la salute degli

individui e della comunità.”

Perché è importante il concetto di “ristabilire la salute” ?

Sempre l’OMS, definì il concetto di “Salute”nel 1946 in questo modo:

uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità”, modificato successivamente nel 1986 in “La salute consiste nell’occuparsi di sé e degli altri, vale a dire prendere decisioni ed essere padrone delle condizioni della propria esistenza, vegliando affinché la società crei le condizioni che permettono ad ognuno dei suoi membri di goderne”.

In questo concetto, viene sottolineata la necessità di valorizzare e stimolare lo sviluppo delle

capacità autonome dei soggetti nel far fronte alla salute, non solo della propria salute ma anche

quella dell’altro.

Ecco quindi, come in questa società sempre più globalizzata dove la salute e la malattia sono

diventati un affare scientifico e artificiale che non riguarda più l’uomo, dove il sistema sanitario e

la medicina ufficiale hanno perso la prerogativa di curare, di promuovere la salute delle persone, in

questo scenario, il concetto di Auto Aiuto, questo “inconsueto approccio” ad un metodo di auto

cura, può divenire sempre più una risorsa importante e irrinunciabile per i cittadini, ma anche per le

istituzioni.

In pratica quindi, i gruppi di Auto Aiuto sono costituiti da persone che sentono di avere un problema in comune e che si riuniscono per cercare di fare qualcosa per affrontarlo; questo qualcosa può essere un lutto, un disagio, una malattia una dipendenza, qualcosa che stando insieme, in cerchio e con poche pochissime regole si affronta meglio, si condivide, si rende l’altro partecipe di un qualcosa che potrebbe essere di aiuto, un supporto all’altro.

Nel cerchio, in gruppo, si schiude uno spazio dove tutti parlano la stessa lingua e, in senso non solo

simbolico, lo spazio vuoto nel mezzo del cerchio dei partecipanti si mostra capace di accogliere

l’espressione anche di quelle emozioni che a volte è difficile raccontare perfino a se stessi.

Il riconoscimento e l’accettazione della propria e altrui vulnerabilità si lega alla consapevolezza di

essere al tempo stesso risorsa per gli altri e per l’intero gruppo, questo comporta un crescente senso

di responsabilità e di appartenenza. La generosità con cui si offre sostegno ai componenti del

gruppo difficilmente è paragonabile a quella che si è disposti a usare nei propri confronti e questa

scoperta, quando viene sperimentata in prima persona, si traduce nel sentirsi di nuovo utili per gli

altri.

Per me è magico quel cerchio, quello stare insieme alla pari.

Un tempo, chi ricorda, ci si riuniva in cerchio per discutere, per danzare, per condividere. Quel cerchio di persone fa sì che nessuno è a capo della situazione ma tutti quelli nel gruppo sono chiamati alla propria individualità nel formare quel gruppo in cerchio, tutti si possono guardare negli occhi, tutti sono alla pari.

Non ci sono scrivanie o tavoli che dividono le persone, il centro del cerchio è infatti di fondamentale importanza, rappresenta una guida, un punto di riferimento che non si deve perdere.

Per me un gruppo di Auto Aiuto, considerato il fatto che ho voluto fortemente un gruppo per la mia

malattia, la Fibromialgia, è essere aiutata aiutando gli altri.

Vorrei concludere questo mio scritto con una frase che ho trovato in un libro di Manitonquat, lo story-teller più anziano della tribù degli Assonet-Wampanoag del Massachusetts che nella “La Via del Cerchio” ha scritto:

Il cerchio è la forma più rispettosa di incontro. In quella forma tutti sono accolti in egual misura.

Tutti allo stesso modo ne sono responsabili. Energeticamente nessuno prevale e nessuno si esclude,

tutti sono importanti. Il cerchio rende intenso, profondo e prezioso l’incontro. Chi è abituato a

gridare si acquieta. Chi è abituato a sussurrare ritrova la propria voce. Ritroviamo la dimensione

umana e la nostra fondamentale unità.

Ogni volta che ci troviamo in cerchio, celebriamo la Vita”.

Il quotidiano di una persona con artrite reumatoide e artrite psoriasica

Ma tu che ne sai?

Una persona normale, sana, probabilmente non ci pensa due volte a completare le attività quotidiane di routine come farsi la doccia e vestirsi, guidare per andare al lavoro, cucinare la cena o portare fuori la spazzatura. Ma quando vivi con una malattia cronica o una disabilità, queste faccende apparentemente “piccole” possono diventare ostacoli molto più grandi resi più difficili dai sintomi della tua condizione.

Se vivi con l’artrite reumatoide o l’artrite psoriasica, le attività quotidiane possono essere difficili a causa di dolore, gonfiore, rigidità, mancanza di destrezza e mobilità.

Le malattie reumatiche sono fra le malattie più frequenti nella popolazione e causa rilevante di dolore cronico e disabilità, con ricadute enormi dal punto di vista socio-economico. Colpiscono all’incirca un quarto della popolazione, tuttavia restano ancora largamente sottovalutate, a conferma della definizione di malattie “silenti” spesso loro attribuita. I primi passi nella conquista delle malattie reumatiche sono la comprensione e la consapevolezza di queste patologie.

Sebbene amici e persone a te vicine possano riconoscere che i tuoi sintomi ti stanno causando problemi nella tua vita quotidiana, potrebbero non comprendere l’intera portata di come queste malattie influenzino ogni tua attività.

Una persona normale, sana, probabilmente non ci pensa due volte a completare le attività quotidiane di routine come farsi la doccia e vestirsi, guidare per andare al lavoro, cucinare la cena o portare fuori la spazzatura. Ma quando vivi con una malattia cronica o una disabilità, queste faccende apparentemente “piccole” possono diventare ostacoli molto più grandi resi più difficili dai sintomi della tua condizione.

Se vivi con l’artrite reumatoide o l’artrite psoriasica, le attività quotidiane possono essere difficili a causa di dolore, gonfiore, rigidità, mancanza di destrezza e mobilità.

Le malattie reumatiche sono fra le malattie più frequenti nella popolazione e causa rilevante di dolore cronico e disabilità, con ricadute enormi dal punto di vista socio-economico. Colpiscono all’incirca un quarto della popolazione, tuttavia restano ancora largamente sottovalutate, a conferma della definizione di malattie “silenti” spesso loro attribuita. I primi passi nella conquista delle malattie reumatiche sono la comprensione e la consapevolezza di queste patologie.

Sebbene amici e persone a te vicine possano riconoscere che i tuoi sintomi ti stanno causando problemi nella tua vita quotidiana, potrebbero non comprendere l’intera portata di come queste malattie influenzino ogni tua attività.

Vediamo alcune:

  • Vestirsi e farsi la doccia può essere davvero una lotta soprattutto nei giorni di riacutizzazione dei dolori. Quando poi il mio corpo non vuole collaborare e le mie mani non si muovono dal troppo dolore, impazzisci.
  • L’apertura di porte e cerniere sono praticamente da evitare. Ho pianto davanti a porte pesanti e le persone non lo comprendono. Non avere forza nelle braccia e nelle mani è così difficile da accettare.
  • Indossare calzini e allacciare i lacci delle scarpe, questo è qualcosa per cui dovrei farmi aiutare da qualcuno, ci metto più tempo ma, continuo a farlo da sola. Diciamolo, è umiliante almeno per me.
  • Mi piace cucinare ma, è impossibile stare in piedi per tanto tempo, mi siedo per cucinare ma mi prende lo sconforto.
  • Dormire? non ne parliamo.
  • Camminare? e’ un sogno, mi piacerebbe ma non posso. Non sono giovane ma neppure vecchia ma se ho voglia di fare due passi, mi sento una novantenne.
  • Alzarsi la mattina è diventato difficile, troppi dolori. Quante volte sono tentata di tornare a letto ma, devo lavorare.

Queste sono solo alcune delle cose per cui mi è difficile vivere con normalità e in serenità. Fai così, pensaci un secondo. Prova a pensare queste difficoltà su di te e non per un giorno ma 365 giorni e per tutta la vita.

Pensaci e riflettici, non è una cosa facile non ti pare? Ma sai la cosa più difficile da sopportare? L’indifferenza delle istituzioni, la superficialità dei medici e soprattutto l’arroganza di chi non comprende il tuo dolore e minimizza.