La medicina narrativa: saper ascoltare e saper accogliere.

di Francesca Gori e Rosaria Mastronardo

Questo testo, scritto a quattro mani, è tratto dalla collana Le BricioleCESVOT numero 56, “Le Malattie Invisibili – Le barriere dell’invisibilità” che potete scaricare dal sito del CESVOT: https://www.cesvot.it/ previa registrazione.

La collana è gratuita. La registrazione non ha nessun vincolo.

Le autrici:

dott.ssa Francesca Gori è psicologa psicoterapeuta. È responsabile del Comitato tecnico scientifico del Coordinamento toscano dei gruppi di auto aiuto;

Rosaria Mastronardo: è facilitatrice di due gruppo di auto aiuto dal nome “Fibromialgia: affrontiamola insieme”, il primo, in presenza, costituito il 6 settembre del 2018, il secondo, in modalità on line, il 24 febbraio 2021. Il suo motto è: “Mi aiuto aiutando”.

Alla base della medicina narrativa c’è l’idea che ciascuna interazione tra esseri umani comporti uno scambio di narrazioni. Cos’è quindi una narrazione? Secondo la sintetica ed efficace definizione di Barbara Herrnstein Smith, famosa critica e teorica letteraria americana, nota soprattutto per il suo lavoro Contingencies of Value. Alternative Perspectivesfor Critical Theory, “la narrazione è il discorso in cui qualcuno dice a qualcun altro che qualcosa è accaduto”.

Quando una persona entra nello studio di un medico è un “qualcuno che racconta a qualcun altro che qualcosa è accaduto”. La malattia stessa viene raccontata secondo un andamento cronologico: “prima stavo bene, poi ho iniziato a stare male, dunque mi sono curato e infine sono guarito”.

Anche la ‘storia clinica’ è una narrazione; è la narrazione che fa il medico, costruendo una trama sulla base delle sue competenze medico/scientifiche.

I fatti narrati nella cartella clinica non sono gli stessi che vengono narrati dal paziente, e non sono più o meno veri di questi. Ogni storia esprime una prospettiva. La narrazione è infatti il modo in cui diamo un senso ai fatti, mettendoli in ordine, all’interno di una rete più vasta che è la trama.

La narrazione ha diverse caratteristiche:

  • presuppone un narratore e un ascoltatore/lettore;
  • è strutturata secondo una linea temporale principale;
  • riguarda l’individuo ed è un sapere idiografico;
  • esprime i fatti accaduti attraverso il ‘filtro’ della coscienza del soggetto narrante, ed anche attraverso il ‘filtro’ della coscienza del suo interlocutore;
  • rivela informazioni parallele oltre ai fatti accaduti;
  • coinvolge l’ascoltatore in un processo interpretativo.

La narrazione del medico, generalmente, si concentra sulle informazioni biomediche, relativamente al suo campo di conoscenza e specializzazione.

La narrazione della persona invece include non solo aspetti biologici ma principalmente aspetti psicologici, sociali, culturali, esistenziali. La narrazione diventa in questo modo soggettiva. Diciamo pure che la malattia raccontata dal paziente è illness e sickness, non solo disease.

Chiariamo le sfumature di questi tre termini:

sickness: significa il percepito di una società di fronte alla malattia o situazione di squilibrio;

illness: è il convivere con una condizione di malattia o alterazione dell’equilibrio;

disease: è utilizzato per indicare il punto di vista del curante rispetto alla malattia.

Il fatto di prendere una malattia, di essere malato, di migliorare o peggiorare, di fallire nel fronteggiare la malattia può essere visto come parte di una narrazione più ampia della vita delle persone. La narrazione della malattia fornisce uno strumento per approcciare i problemi del paziente in modo olistico e che potrebbe svelare delle possibili alternative diagnostiche e di cura. La narrazione offre un metodo per comprendere le caratteristiche esistenziali come il dolore interiore, il lutto, la disperazione, la speranza che frequentemente possono far parte o costituire lo stato di malattia di una persona. La narrazione della malattia è stata perduta ma dovrebbe essere rivalutata dalla medicina. Per chi è affetto da una malattia cronica, la propria narrazione del dolore assume un aspetto importante nonostante si trovi poco spazio per poterlo fare. Numerose sono le motivazioni, tra le quali il tempo a disposizione del personale medico che tiene in cura il malato cronico. Per quel che riguarda alcune malattie croniche, purtroppo non in tutte le regioni sono previsti dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) che assicurino una presa in carico multidisciplinare dei pazienti e che siano rivolti ad un miglioramento dell’accesso alla diagnosi e ad un celere trattamento. Posso affermare che le difficoltà che incontrano i pazienti cronici, sia prima che dopo la diagnosi, sono molteplici, spesso troppo onerose da sopportare. La migrazione da uno studio medico all’altro e la ricerca costante di informazioni porta spesso ad un girovagare tra specialisti, e ciò fa accrescere inevitabilmente la frustrazione di non essere compresi, oppure, nel peggiore dei casi, di non essere assolutamente creduti. Per ogni condizione di malattia, il saper ascoltare, in un rapporto fiduciario tra medico e paziente è importantissimo e consente di affrontare ogni tentativo terapeutico con una migliore consapevolezza e una più positiva aspettativa di miglioramento dei sintomi. È essenziale comunicare con il paziente in modo che esso possa prendere coscienza della propria condizione attraverso informazioni precise. Avere tempo per l’ascolto, per essere accolti è importantissimo. Oggi la medicina non deve essere più centrata solo sulla malattia. La malattia è oggetto cruciale dell’agire del medico. Al medico sono affidati due grandi compiti: raggiungere una diagnosi corretta e intervenire attraverso strategie terapeutiche adeguate. L’approccio alla malattia da parte del medico si dovrebbe gradualmente modificare: bisogna lasciare sempre più spazio al paziente nella sua globalità e alla relazione come strumento fondamentale, imprescindibile e basilare nel processo di diagnosi e di cura. Non più la malattia al centro dell’interesse del medico, ma il paziente, quel paziente, con il quale si instaura una relazione, tenendo conto della sua storia e dell’ambiente in cui vive. La comunicazione come strumento di relazione, sia essa verbale che non , deve diventare con il tempo il centro di interesse nei vari corsi di formazione rivolti, nello specifico, al personale sanitario (medico e paramedico) ed estesi anche al personale front-office inserito in contesti di cura.

La comunicazione deve diventare parte della terapia: il tempo della comunicazione e dell’ascolto sono fondamentali per la crescita della relazione di cura. Sono i momenti nei quali la relazione tra medico e paziente trova la sua massima espressione. Senza comunicazione non c’è alleanza e viene meno la fiducia. Se manca l’ascolto, se manca la comunicazione, ogni ambulatorio, ogni casa di cura, ogni struttura sanitaria diventa una catena di montaggio, il paziente un bullone, il medico un operaio. Nei paesi anglosassoni la comunicazione è integrata nei programmi di insegnamento e di valutazione, cosa che invece manca o non è valorizzata nel nostro Paese. Quando sarà possibile una buona comunicazione, verbale e non verbale, come strumento di una fiduciaria relazione tra medico e paziente? E ancora, per citare un passaggio del Why Study Narrative, a quando una ripresa della narrativa nell’insegnamento e nella pratica della medicina?

Quando mi è stato chiesto di descrivere il mio dolore cronico

Una testimonianza dal web di una donna che soffre di ME/CFS da 28 anni e di fibromialgia da 8 anni. Lei afferma che si è unita alla lotta per le persone con condizioni di dolore cronico e disabilità invisibili.

Soffro di sindrome da stanchezza cronica da 26 anni. Sono stata malata per circa un anno prima di ricevere una diagnosi. Circa cinque anni fa, ho anche sviluppato la fibromialgia. Vivo la mia vita sempre nel dolore a un certo livello e la stanchezza è la mia compagna costante.

Qualche giorno fa la mia cara mamma che a 73 anni, mi ha posto una semplice domanda:

Puoi dirmi come fa male, dove fa male?”

Ora questa è la domanda. Per molti di noi che vivono con condizioni di dolore cronico, descrivere il nostro dolore – non solo la posizione, ma la qualità del dolore – è problematico. Come si possono descrivere i tipi di dolore apparentemente infiniti in modo che qualcun altro possa capire?

Anni fa, quando lavoravo come paramedico, chiedevo alle persone di descrivere il loro dolore. Raccontavano di immaginare una ipotetica persona che li stava accoltellando, con un coltello, si sentivano come punte da aghi, descrivevano di sentirsi come punzecchiate, pizzicate e sentivano bruciore. Quella ipotetica persona era in piedi su una parte del loro corpo e si sentivano schiacciate. Queste descrizioni ci hanno dato un terreno comune per comunicare qualcosa di così complesso come la percezione del dolore di una persona.

La sindrome da stanchezza cronica provoca dolore nel profondo del mio corpo. È un dolore intenso che peggiora con lo sforzo fisico e lo stress. La fibromialgia provoca dolore ai nervi, che è un po’ più difficile da descrivere Mi fa spesso male la pelle, come quando ti prendi l’influenza e hai la febbre. Anche i miei capelli fanno male. Non sopporto niente che non sia estremamente morbido a contatto con la mia pelle, anche al punto da non volermi sdraiare nel mio letto perché una parte maggiore della mia pelle preme contro qualcosa. Nella sua forma più estrema, anche l’aria che si muove sulla mia pelle provoca un forte dolore.

Mi fanno male i muscoli e mi sento come se avessi dolore alle ossa. Ma più interessante è il dolore improvviso e intenso che colpisce in posizioni casuali in tutto il mio corpo. Questi sono i dolori che cambiano ogni volta, non solo nella posizione, ma nella qualità.

Questi dolori improvvisi colpiscono abbastanza forte da farmi gridare e privarmi del respiro. Ma di solito si ripetono solo più volte, poi si fermano… per un po’. Questi sono i dolori che potrebbero essere lancinanti (con un coltello o un ago), bruciore, lacrimazione, puntura, formicolio o qualsiasi combinazione di questi. In una buona giornata posso aspettarmi questo tipo di episodio una o due volte. In una brutta giornata, una giornata in cui il mio corpo mi fa capire che ho fatto troppo, questi episodi sono quasi continui. Ho una breve pausa dopo un episodio, solo per afferrare una parte diversa del mio corpo, trattenendo il respiro per il dolore, pochi istanti dopo.

La notte è la cosa peggiore, poiché il mio corpo si occupa delle attività della giornata, anche se ho ridotto la mia attività a lavorare un paio d’ore al giorno da casa, su una poltrona reclinabile, sul mio computer portatile. Scrivo e modifico, mantenendo le ore dispari che il mio cervello nebbioso e il livello di dolore lo consentono. Devo anticipare il dolore, ricordandomi di prendere gli antidolorifici prima che diventi insopportabile, anche se il mio istinto è di rimandarlo. Altrimenti non c’è niente da fare.

Puoi dirmi come fa male ?”

Sono grato a coloro che mi sono vicini e che si preoccupano abbastanza da porre questa domanda difficile. Non è qualcosa che vorrei tentare di descrivere a persone a caso che sono semplicemente curiose, poiché ciò richiede semplicemente troppa energia.

Hai trovato tu un modo diverso per descrivere come fa male? Se ti va, lo puoi descrivere qui.

Rosaria Mastronardo

Corona di spine

Quando non voglio pensare a nulla, ascolto musica. Musica leggera o musica classica, mi rilassa e mi aiuta a non pensare al dolore, alla sofferenza, alle ingiustizie, a tutto. Mi isolo. Però ascolto con attenzione le parole della canzone che passa alla radio in quel momento.

Oggi mi è capitato di ascoltare in macchina una canzone, un pò triste. Non conoscevo l’artista, la cantante, chi avesse scritto il testo, dal ritornello però ho capito che il titolo poteva essere Corona di spine e una volta a casa, ho fatto una ricerca.

La cantante si chiama Meg, il titolo l’ho avevo azzeccato, Corona di spine ed è la colonna sonora del film documentario Camorra.
Meg, la cantante, ex componente dei 99 Posse, è la voce narrante del film Camorra. Sua è anche la colonna sonora.

E’ stato il ritornello che mi ha colpito.

È solo che una corona di spine
È così facile da portare
Dopo un po’ ti sembra normale
È solo che una corona di spine
È così facile da portare
Dopo un po’ non ti fa più male

Ascoltando quelle parole, in quel ritornello, più volte ripetuto ho pensato al dolore, al mio dolore cronico e a tanti come me che ne soffrono. Il dolore è come una “corona di spine“, facile da portare che dopo un po’ ti sembra normale.

Che brutta bestia che è il dolore cronico ma è molto più brutto pensare a chi scrive tanto sul nostro dolore cronico e non fa nulla per alleviarlo e quindi dopo un pò, quella “Corona di spine” ci sembra normale.

Vi invito, se lo volete, ad ascoltare il testo della canzone. Io ho pensato al dolore forse perchè la mia “Corona di spine” fa più male?

Rosaria Mastronardo

Se potessi parlare con gli studenti delle scuole di medicina della fibromialgia, ecco cosa direi.

Questa non è la mia storia, è la storia di Ashley Nestler MSW la quale, dopo molteplici traumi, tra cui abusi sessuali ed emotivi, bullismo e molestie, ha vissuto delle gravi crisi di salute mentale, in seguito a questo ha scoperto di essere affetta da fibromialgia, perché nota al Servizio Sanitario del suo paese, per il suo passato, ha lottato e lotta ancora pesantemente per rompere lo stigma, ormai frequente tra alcuni medici, di etichettare i pazienti affetti da fibromialgia a pazienti affetti da malattie mentali.

La sua storia è pubblica sul sito: https://themighty.com/ , e la condivido perché, molti pazienti che hanno lo stesso trascorso di Ashley, sappiano che, se credono di avere i sintomi della fibromialgia, non devono farsi fregare ma, lottare, lottare e lottare, non arrendetevi, il vostro passato, il vostro vissuto, non c’entra con la fibromialgia, pretendete rispetto e una sorta di cura per alleviare i vostri dolori. Non è facile ma, provateci.

La mia esperienza con la fibromialgia, racconta Ashley è come, molto probabilmente simile a tanti voi. Spesso, molto spesso, non veniamo presi sul serio. Mi ci è voluto molto tempo per avere una diagnosi e il mio dolore e i miei sintomi venivano considerati non veri, ma “spazzatura”. Essere trattata così mi ha fatto soffrire di più e i miei sintomi si avvertivano più intensamente e con più frequenza.

Detto questo, se fossi invitata a parlare in una scuola di medicina sulla fibromialgia, vorrei principalmente discutere della gravità della malattia. Tante volte, la fibromialgia è minimizzata, anche se ha un impatto su ogni aspetto della vita di un individuo. Vorrei esortare gli studenti di medicina a esaminare di più la malattia e il modo in cui influisce sulla capacità di un individuo quotidianamente. Molti di noi lottano con poca comprensione da parte dei professionisti e spesso può essere difficile trovare cure mediche adeguate. Vorrei sottolineare l’importanza di curare la fibromialgia come una grave malattia per migliorare la qualità della vita di coloro che convivono con essa.

Vorrei raccontare agli studenti di medicina la mia storia personale di convivenza con la fibromialgia e di come ha limitato la mia vita e la mia capacità di perseguire molte cose. Vorrei che gli studenti si rendessero conto di quanto il tempo e le temperature influiscano notevolmente e quotidianamente nella mia vita, nelle mie attività e come finisco per passare la maggior parte del mio tempo a cercare di capire come gestire i miei sintomi. Raccontare agli studenti di medicina la gravità dei miei sintomi mi farebbe sentire come se fossi ascoltata. Trovo che raccontare la mia storia aiuti gli altri a capire la condizione meglio di quanto qualsiasi libro di medicina possa mai fare.

Vorrei che gli studenti di medicina sapessero che quando è estate, trascorro la maggior parte del mio tempo con l’aria condizionata perché il caldo fa infiammare i miei sintomi. Non posso uscire e godermi il sole perché il caldo spesso finisce per farmi sentire come se avessi l’influenza. Vorrei anche che gli studenti di medicina sapessero che quando è inverno, il freddo fa male al mio corpo come se fosse lacerato muscolo dopo muscolo. Sia che faccia caldo che faccia freddo, poco importa sono facilmente influenzata dal primo e dal secondo e questo limita molto di quello che posso fare nella mia vita. Spesso mi sento come se stessi inseguendo i miei sintomi e anticipando circostanze che potrebbero peggiorare i miei sintomi.

Ma soprattutto vorrei che gli studenti di medicina capissero quanto sia volubile la fibromialgia e quanto piccoli cambiamenti ambientali possano avere un profondo impatto sui sintomi. Vorrei che gli studenti di medicina capissero che non ci sono molti trattamenti medici disponibili per le persone con fibromialgia, molti di noi che assumono farmaci antidepressivi e antiepilettici, approvati per la fibromialgia, a causa delle interazioni che si verificherebbero con gli altri farmaci che stanno assumendo per problemi di altra natura, non sono in grado di sopportarli. La maggior parte delle volte devo gestire i miei sintomi da sola usando delle tecniche come usare asciugamani rinfrescanti in estate e cuscinetti riscaldanti in inverno, cercando anche di usare movimenti delicati e cambiamenti nella dieta insieme a integratori a base di erbe per gestire il dolore. Vorrei anche sottolineare come la stanchezza e la nebbia del cervello siano parti importanti della mia malattia e mi richiedano di riposare molto.

Vivere con la fibromialgia non è facile e, se potessi parlare con gli studenti di medicina, vorrei mettere in evidenza i vari aspetti della malattia che limitano gravemente ciò che sono in grado di fare nella mia vita quotidianamente. Vorrei sottolineare quanto sia grave questa malattia e come influisca su ogni aspetto della mia vita. È giunto il momento di prendere sul serio la fibromialgia e spero che gli studenti di medicina possano ascoltare storie di vita reale da coloro che convivono con la malattia per creare più empatia per quelli di noi che lottano quotidianamente.

Personalmente sono d’accordo con Ashley, penso che raccontare la nostra storia aiuti gli altri a capire le nostre condizioni meglio di quanto qualsiasi libro di medicina possa mai fare.

Tu, cosa vorresti che i medici capissero della tua fibromialgia?

Svolta sulla Fibromialgia?

Nuovi studi confermano di una malattia autoimmune

Se hai la fibromialgia e il dolore continuo che ne deriva, per la prima volta questo affascinante studio dall’Inghilterra spiega perché ce l’hai – e sapere PERCHÉ significa che hai nuovi strumenti per correggere il problema in modo intelligente. Apparentemente, questa (e altre) ricerche mostrano che la fibromialgia è dovuta all’infiammazione e al danno delle cellule nervose del corpo che funzionano specificamente per percepire il dolore. Ma la svolta che abbiamo ora, l’infiammazione e il danno provengono direttamente da anticorpi fuori controllo che attaccano queste cellule – AKA, autoimmunità.

La fibromialgia è la seconda malattia più comune diagnosticata dai medici che studiano il sistema immunitario. La loro precedente convinzione (un decennio fa) era che la fibromialgia fosse il risultato di anomalie nel cervello e persino di fattori psicologici del tipo “metteteli in una stanza imbottita“. Queste convinzioni precedenti vengono ora gettate nella spazzatura poiché gli ultimi studi mostrano che il sistema immunitario è praticamente andato in tilt e sta attaccando i nervi e persino le cellule cerebrali.

Dal topo agli uomini

Mentre le persone con fibromialgia hanno aumentato i tassi di varie cellule autoimmuni, lo studio che ha davvero messo il chiodo nella barra sull’autoimmunità come causa della fibromialgia è stato condotto l’anno scorso (2021) dagli scienziati del King’s College di Londra e dell’Università di Liverpool.

I ricercatori hanno ipotizzato che se l’autoimmunità fosse davvero alla base della fibromialgia, potrebbero verificarlo rimuovendo gli anticorpi da noi umani con fibromialgia e iniettandoli nei topi e vedere cosa succede. Se i topi sviluppano la fibromialgia – Bingo! Abbiamo prove che gli anticorpi stanno attaccando i nervi e i tessuti sani! A proposito, chiedilo anche ai topi oggetto dello studio, non devi parlare per dimostrare che i sintomi della fibromialgia sono presenti. a quanto pare può essere misurato testando cose come la sensibilità al caldo e al freddo – forza di presa ecc.

I risultati

Bene, abbastanza sicuro, dopo aver iniettato ai topi anticorpi da pazienti affetti da fibromialgia umana, sono iniziati i problemi ai topi. Ciò includeva una maggiore sensibilità al caldo e al freddo, movimenti anormali e cambiamenti nella densità dei nervi se osservati al microscopio.

Per assicurarsi che non fosse solo l’infilarsi di roba nel topo a causare i problemi, gli scienziati hanno anche prelevato anticorpi da persone che NON avevano fibromialgia e li hanno iniettati in un diverso gruppo di topi. I topi punti con anticorpi di esseri umani sani non hanno avuto alcun problema. Solo i topi che hanno ricevuto anticorpi da pazienti con fibromialgia hanno sviluppato sintomi di fibromialgia. Questo dimostra senza dubbio che il sistema immunitario è coinvolto nella fibromialgia.

Perché la Fibromialgia è in aumento?

In uno studio del 2013 che ho rintracciato sulla fibromialgia, i medici hanno affermato che ha colpito l’1,1% della nostra popolazione circa 10 anni fa. Oggi è circa raddoppiato e colpisce il 2% della popolazione e l’80% sono donne (un altro studio dice che il 90% sono donne). Questo raddoppio della malattia in meno di 10 anni suggerisce chiaramente che i fattori ambientali piuttosto che genetici sono dietro la tendenza. In effetti, Harvard e dozzine di altri centri di ricerca stanno dimostrando che composti noti come EDC possono alterare la funzione del sistema immunitario e provocare autoimmunità. Gli EDC si trovano in quantità elevate in molti prodotti di consumo e in particolare in cosmetici, fragranze, smalti per unghie, creme e prodotti per capelli. Le donne ne usano più degli uomini?

Per quanto riguarda l’ultima domanda che ho appena posto, ho incluso un altro studio di seguito. Questo ha studiato la capacità degli EDC di alterare la capacità del nostro sistema immunitario di funzionare correttamente. Interessante no?

Questi studi sono stati segnalati in Science Daily, 1 luglio 2021, sotto vengono riportati tutti i collegamenti:

Review of study (in layman’s terms)

showing Fibromyalgia caused by Autoimmunity

https://www.sciencedaily.com/rel…/2021/07/210701120703.htm

Original mouse study showing injected antibodies cause Fibromyalgia

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8245181/

Study showing EDCs alter immune system

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/30743143/

Summary of Fibromyalgia and autoimmunity. Not from National Library of Med but good review

https://www.verywellhealth.com/autoimmunity-neuroinflammation-in-fibromyalgia-5197944

Study showing environmental factors mimic the immune system and can cause autoimmunity

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/30743143/

Dire Fare Cambiare

Cure mirate per uomini e donne

Anni di lotte femministe sembrano impallidire di fronte al titolo dell’ultimo libro della scienziata Antonella Viola, Il sesso è (quasi) tutto (Feltrinelli, 2022). Ma anche Simone de Beauvoir, che ha consacrato la vita alla causa della parità tra i sessi, sorriderebbe compiaciuta se nell’aldilà potesse sfogliare questo interessante testo di divulgazione scientifica. Sì, perché ciò che pochi sospettano è che in medicina la parità tra uomini e donne si raggiunge con la discriminazione. E quanto più la discriminazione è scientifica, meglio è. Un apparente paradosso, dove però la parola discriminazione sta per attenzione alle differenze biologiche legate al sesso.

Questa è l’intervista completa apparsa sul supplemento InSalute di Altroconsumo del mese di giugno 2022 fatta all’ Immunologa e divulgatrice scientifica Antonella Viola che dirige l’Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza di Padova.

Professoressa Viola, il sesso è così importante in medicina?

«Uomo e donna sono biologicamente e fisiologicamente molto diversi. Se la società ha artificiosamente creato differenze che non hanno ragion d’essere, e che spesso sono ingiuste, la scienza ha invece ignorato differenze che avrebbero permesso di curare meglio tutte le persone, ma soprattutto le donne. li corpo delle donne è stato studiato poco e curato peggio, perché per molto tempo la medicina è stata fatta da maschi bianchi per maschi bianchi. Le donne sono state escluse dalle sperimentazioni».

Che cosa ha comportato questa ingiusta esclusione?

«Ha fatto sì che alla donna fossero somministrati farmaci che su di lei non erano mai stati sperimentati, quindi senza sapere se avrebbero funzionato e senza avere la certezza che non avrebbero avuto effetti tossici importanti. Non è un caso che siano proprio le donne a soffrire più spesso di effetti collaterali severi».

Oggi negli studi clinici le donne sono rappresentate?

«Solo dopo il 1993, su richiesta della Food and Drug Administration, (Agenzia per gli alimenti e i medicinali) l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, dipendente dal Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti d’America, gli studi clinici hanno cominciato a includere le donne. Ma il problema non è solo dare loro rappresentanza – e farlo in misura equivalente agli uomini sin dalle prime fasi della ricerca-, ma includere specifiche analisi di genere. Questo significa gestire separatamente le analisi di efficacia e sicurezza per i due sessi. Basti dire che solo il 4% delle sperimentazioni cliniche di vaccini e terapie contro il Covid-19 ha incluso un piano per analizzare le variabili sesso o di genere. Poi non dobbiamo stupirci che il 71% delle reazioni avverse ai vaccini sia stato riportato da donne».

Da questa intervista ho dedotto molte cose:

lo scarso interesse e attenzione che la scienza e la ricerca hanno nei confronti delle donne;

ho pensato che se la fibromialgia fosse stata una malattia che colpiva in prevalenza gli uomini, oggi avremmo già un farmaco e forse la cura;

se andiamo avanti così, sarà dura avere delle risposte scientifiche certe;

ho capito perché, si dall’inizio della scoperta della fibromialgia era più semplice definirci “ipocondriache”, se andava bene, “pazze e isteriche”, se andava male.

Popolo, gente, se continua così, la strada è lunga e tortuosa.

Mi aiuto aiutando

E’ un motto che ho usato e uso ancora per “sopravvive” al dolore cronico.

Nella nostra società, le malattie croniche comportano un carico assistenziale enorme con conseguenze psicosociali elevate che inevitabilmente ricadono sui costi sanitari . Mi riferisco a malattie come la Fibromialgia, il Lupus, Emicranie, Reumatismi, CRPS (Sindrome dolorosa regionale complessa) e tantissime altre. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità le malattie croniche rappresentano quasi l’80% dei disturbi attuali.

Si leggono slogan per alcune malattie croniche ma niente di più, sono belli gli slogan ma non soddisfano noi affetti da malattie croniche ignorate da tutti.

Auguro a tutti di prendere consapevolezza della propria malattia del proprio disagio, qualunque esso sia, perché solo così ci si può permettere di aiutare noi stessi aiutando gli altri.

Auguro a tutti, se possono, di trovare il coraggio e la forza di reagire; reagire concretamente realizzando qualcosa in cui si crede.

L’Auto Aiuto per me è stata la “salvezza”. Mi piacerebbe far conoscere a tutti questa esperienza e farla provare.

Nel 1987 l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) definisce l’Auto Aiuto così:

Per auto aiuto si intendono tutte le azioni intraprese da persone comuni (non professionisti della

salute) per mobilitare le risorse necessarie a promuovere, mantenere e ristabilire la salute degli

individui e della comunità.”

Perché è importante il concetto di “ristabilire la salute” ?

Sempre l’OMS, definì il concetto di “Salute”nel 1946 in questo modo:

uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità”, modificato successivamente nel 1986 in “La salute consiste nell’occuparsi di sé e degli altri, vale a dire prendere decisioni ed essere padrone delle condizioni della propria esistenza, vegliando affinché la società crei le condizioni che permettono ad ognuno dei suoi membri di goderne”.

In questo concetto, viene sottolineata la necessità di valorizzare e stimolare lo sviluppo delle

capacità autonome dei soggetti nel far fronte alla salute, non solo della propria salute ma anche

quella dell’altro.

Ecco quindi, come in questa società sempre più globalizzata dove la salute e la malattia sono

diventati un affare scientifico e artificiale che non riguarda più l’uomo, dove il sistema sanitario e

la medicina ufficiale hanno perso la prerogativa di curare, di promuovere la salute delle persone, in

questo scenario, il concetto di Auto Aiuto, questo “inconsueto approccio” ad un metodo di auto

cura, può divenire sempre più una risorsa importante e irrinunciabile per i cittadini, ma anche per le

istituzioni.

In pratica quindi, i gruppi di Auto Aiuto sono costituiti da persone che sentono di avere un problema in comune e che si riuniscono per cercare di fare qualcosa per affrontarlo; questo qualcosa può essere un lutto, un disagio, una malattia una dipendenza, qualcosa che stando insieme, in cerchio e con poche pochissime regole si affronta meglio, si condivide, si rende l’altro partecipe di un qualcosa che potrebbe essere di aiuto, un supporto all’altro.

Nel cerchio, in gruppo, si schiude uno spazio dove tutti parlano la stessa lingua e, in senso non solo

simbolico, lo spazio vuoto nel mezzo del cerchio dei partecipanti si mostra capace di accogliere

l’espressione anche di quelle emozioni che a volte è difficile raccontare perfino a se stessi.

Il riconoscimento e l’accettazione della propria e altrui vulnerabilità si lega alla consapevolezza di

essere al tempo stesso risorsa per gli altri e per l’intero gruppo, questo comporta un crescente senso

di responsabilità e di appartenenza. La generosità con cui si offre sostegno ai componenti del

gruppo difficilmente è paragonabile a quella che si è disposti a usare nei propri confronti e questa

scoperta, quando viene sperimentata in prima persona, si traduce nel sentirsi di nuovo utili per gli

altri.

Per me è magico quel cerchio, quello stare insieme alla pari.

Un tempo, chi ricorda, ci si riuniva in cerchio per discutere, per danzare, per condividere. Quel cerchio di persone fa sì che nessuno è a capo della situazione ma tutti quelli nel gruppo sono chiamati alla propria individualità nel formare quel gruppo in cerchio, tutti si possono guardare negli occhi, tutti sono alla pari.

Non ci sono scrivanie o tavoli che dividono le persone, il centro del cerchio è infatti di fondamentale importanza, rappresenta una guida, un punto di riferimento che non si deve perdere.

Per me un gruppo di Auto Aiuto, considerato il fatto che ho voluto fortemente un gruppo per la mia

malattia, la Fibromialgia, è essere aiutata aiutando gli altri.

Vorrei concludere questo mio scritto con una frase che ho trovato in un libro di Manitonquat, lo story-teller più anziano della tribù degli Assonet-Wampanoag del Massachusetts che nella “La Via del Cerchio” ha scritto:

Il cerchio è la forma più rispettosa di incontro. In quella forma tutti sono accolti in egual misura.

Tutti allo stesso modo ne sono responsabili. Energeticamente nessuno prevale e nessuno si esclude,

tutti sono importanti. Il cerchio rende intenso, profondo e prezioso l’incontro. Chi è abituato a

gridare si acquieta. Chi è abituato a sussurrare ritrova la propria voce. Ritroviamo la dimensione

umana e la nostra fondamentale unità.

Ogni volta che ci troviamo in cerchio, celebriamo la Vita”.

Il quotidiano di una persona con artrite reumatoide e artrite psoriasica

Ma tu che ne sai?

Una persona normale, sana, probabilmente non ci pensa due volte a completare le attività quotidiane di routine come farsi la doccia e vestirsi, guidare per andare al lavoro, cucinare la cena o portare fuori la spazzatura. Ma quando vivi con una malattia cronica o una disabilità, queste faccende apparentemente “piccole” possono diventare ostacoli molto più grandi resi più difficili dai sintomi della tua condizione.

Se vivi con l’artrite reumatoide o l’artrite psoriasica, le attività quotidiane possono essere difficili a causa di dolore, gonfiore, rigidità, mancanza di destrezza e mobilità.

Le malattie reumatiche sono fra le malattie più frequenti nella popolazione e causa rilevante di dolore cronico e disabilità, con ricadute enormi dal punto di vista socio-economico. Colpiscono all’incirca un quarto della popolazione, tuttavia restano ancora largamente sottovalutate, a conferma della definizione di malattie “silenti” spesso loro attribuita. I primi passi nella conquista delle malattie reumatiche sono la comprensione e la consapevolezza di queste patologie.

Sebbene amici e persone a te vicine possano riconoscere che i tuoi sintomi ti stanno causando problemi nella tua vita quotidiana, potrebbero non comprendere l’intera portata di come queste malattie influenzino ogni tua attività.

Una persona normale, sana, probabilmente non ci pensa due volte a completare le attività quotidiane di routine come farsi la doccia e vestirsi, guidare per andare al lavoro, cucinare la cena o portare fuori la spazzatura. Ma quando vivi con una malattia cronica o una disabilità, queste faccende apparentemente “piccole” possono diventare ostacoli molto più grandi resi più difficili dai sintomi della tua condizione.

Se vivi con l’artrite reumatoide o l’artrite psoriasica, le attività quotidiane possono essere difficili a causa di dolore, gonfiore, rigidità, mancanza di destrezza e mobilità.

Le malattie reumatiche sono fra le malattie più frequenti nella popolazione e causa rilevante di dolore cronico e disabilità, con ricadute enormi dal punto di vista socio-economico. Colpiscono all’incirca un quarto della popolazione, tuttavia restano ancora largamente sottovalutate, a conferma della definizione di malattie “silenti” spesso loro attribuita. I primi passi nella conquista delle malattie reumatiche sono la comprensione e la consapevolezza di queste patologie.

Sebbene amici e persone a te vicine possano riconoscere che i tuoi sintomi ti stanno causando problemi nella tua vita quotidiana, potrebbero non comprendere l’intera portata di come queste malattie influenzino ogni tua attività.

Vediamo alcune:

  • Vestirsi e farsi la doccia può essere davvero una lotta soprattutto nei giorni di riacutizzazione dei dolori. Quando poi il mio corpo non vuole collaborare e le mie mani non si muovono dal troppo dolore, impazzisci.
  • L’apertura di porte e cerniere sono praticamente da evitare. Ho pianto davanti a porte pesanti e le persone non lo comprendono. Non avere forza nelle braccia e nelle mani è così difficile da accettare.
  • Indossare calzini e allacciare i lacci delle scarpe, questo è qualcosa per cui dovrei farmi aiutare da qualcuno, ci metto più tempo ma, continuo a farlo da sola. Diciamolo, è umiliante almeno per me.
  • Mi piace cucinare ma, è impossibile stare in piedi per tanto tempo, mi siedo per cucinare ma mi prende lo sconforto.
  • Dormire? non ne parliamo.
  • Camminare? e’ un sogno, mi piacerebbe ma non posso. Non sono giovane ma neppure vecchia ma se ho voglia di fare due passi, mi sento una novantenne.
  • Alzarsi la mattina è diventato difficile, troppi dolori. Quante volte sono tentata di tornare a letto ma, devo lavorare.

Queste sono solo alcune delle cose per cui mi è difficile vivere con normalità e in serenità. Fai così, pensaci un secondo. Prova a pensare queste difficoltà su di te e non per un giorno ma 365 giorni e per tutta la vita.

Pensaci e riflettici, non è una cosa facile non ti pare? Ma sai la cosa più difficile da sopportare? L’indifferenza delle istituzioni, la superficialità dei medici e soprattutto l’arroganza di chi non comprende il tuo dolore e minimizza.