Incontro tra medici, istituzioni e pazienti presso il Circolo Mcl Dario Del
Bene – Sala teatro Don Mario Borgioli Via Baccio da Montelupo 41 Firenze
Prima di tutto i ringraziamenti. Ringrazio Marzia Carocci di avermi dato questo spazio per parlare di fibromialgia, è sempre necessario accendere i riflettori sulla malattia, soprattutto se si tratta di una malattia che, ancora oggi, nessuno ne conosce la causa scatenante, è molto complessa e di difficile diagnosi.
Parlare di fibromialgia, non è facile, non sono un medico e quindi non ho titolo per parlare della malattia dal punto di vista medico, per questo è qui con noi la dottoressa Serena Guiducci, Dir. Responsabile Progettuale della SODC Reumatologia, Consigliera S.I.R. (Società Italiana di Reumatologia). Io mi limiterò a parlare da malata, da volontaria e facilitatrice di gruppi di auto aiuto sulla fibromialgia e da “paziente esperta”, si mi definisco esperta, perché mi documento, leggo e per quanto mi è possibile cerco di sensibilizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla sindrome. Esperta inoltre, perché mi sono messa in gioco dopo aver preso consapevolezza della malattia, aiutando in primis me stessa e poi gli altri con l’auto aiuto.
La sensibilizzazione sulla fibromialgia, non è facile. La caratteristica di questa malattia, è il dolore, oltre al dolore, ad essa sono associatati più di 200 sintomi. Una volta erano 100, ad oggi se ne contano circa 200. Non è facile da diagnosticare e alla diagnosi si arriva per esclusione. Non esistono cure, non esistono esami diagnosti e/o altro che permettono agli specialisti, i reumatologi prevalentemente, di arrivare alla diagnosi in poco tempo. Oltre a queste difficoltà, la cosa più grave è trovarsi davanti ad uno specialista che non crede nella malattia, la ritiene, psicosomatica se vi va bene, se vi va male, ritiene che siete da TSO. Perché non è facile? Non è facile perché il dolore è difficile da “quantificare”, “misurare”. Ti fanno una serie di esami, quelli più noti e tu non mostri nulla, sei sana come un pesce. Però, non hai forza, hai tantissimi dolori ma, sei sana. Questo è il problema. Apparentemente siamo sani e non abbiamo nulla che faccia sospettare di essere ammalati.
Il malato fibromialgico, più donne che uomini, è spessissimo confuso, tutti gli dicono che sta bene ma lui non sta bene. Cambia spesso medico, per avere altri pareri ma, ad un certo punto, si deve fermare. Si ferma, perché esausto, perché i suoi esami sono buoni ma non comprende il perché di questa stanchezza, di questi dolori. Poi, si isola, esce a fatica con amici, perde molto spesso il suo lavoro, non riesce a concentrarsi, si ritrova in un vortice nel quale fa fatica ad uscire.
Si parte da una malattia dalla quale non puoi essere curata, perché cura non c’è e con questa serie di problemi rischi di impazzire. Spesso subentra l’ansia, la depressione. Dolore al dolore. Questo, in breve quello che vive un fibromialgico. Vive tutto questo un fibromialgico in Italia e non in tutte le regioni, perché in Italia, alcune regione, è stato fatto molto per i fibromialgici, ma nella maggior parte di queste, non si è fatto nulla o poco.
Parliamo della nostra regione, la Toscana. Ad oggi in Toscana, ci sono state, da parte di tutte le forze politiche, diverse mozioni, atti, delibere e provvedimenti a nostro favore. L’AFA (Attività Fisica Adattata), il PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale), la Cannabis Terapeutica, insomma, non è stata a guardare. Cosa c’è che non va allora? Tutto. Io mi sento di affermare, guardando quella regione, in cui manca tutto questo che , la nostra regione è sensibile al tema fibromialgia ma non completamente. Il PDTA, ad esempio in poche regioni è stato redatto ma, in regione toscana, non è applicato. In pratica, molte delle cose elencate nel PDTA, non si sono mai viste.
In questo contesto oggi, qui tutte insieme, si parla di fibromialgia ma quando sia affronta questo tema, si deve, necessariamente parlare di dolore cronico.
Quando si parla di gestione e trattamento del dolore cronico bisogna partire dall’inizio, semplicemente perché è necessario sapere se hai una diagnosi e che cos’è il dolore cronico.
L’ Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) definisce il dolore cronico come: “Dolore che si estende oltre il periodo di guarigione dei tessuti e/o con bassi livelli di patologia identificata che non sono sufficienti a spiegare la presenza e/o l’entità del dolore e persiste da più di tre mesi”
Abbiamo anche bisogno di conoscere la nuova classificazione del dolore, questa, secondo l’ultima Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11), delinea il dolore cronico primario e il dolore secondario cronico.
Il dolore secondario cronico è suddiviso in sei sotto categorie: dolore cronico correlato al cancro, dolore cronico post-chirurgico o post-traumatico, dolore neuropatico cronico, cefalea secondaria cronica o dolore oro-facciale, dolore viscerale secondario cronico e dolore muscoloscheletrico secondario cronico.
Continua a essere difficile per un professionista sanitario diagnosticare il dolore cronico, poiché non ci sono strumenti facili a portata di mano per farlo. Controlli di routine come la pressione sanguigna, l’analisi del sangue, i raggi X o le risonanze non mostrano l’esistenza di dolore cronico. Non è disponibile alcun test semplice. Qui abbiamo il primo ostacolo: non ci sono criteri per stabilire l’esistenza del dolore cronico.
Secondo un’indagine condotta da Pain Alliance Europe (PAE) nel 2017 sulla diagnosi e il trattamento di 3.490 pazienti provenienti da 17 paesi europei, questo è un grave problema. Uno su cinque ha affermato di aver dovuto aspettare oltre 10 anni per ottenere una diagnosi. Questo ritardo è stato contato a partire dalla prima volta che hanno fatto con uno specialista sanitario. Quasi sette su 10 hanno dovuto aspettare più di 12 mesi per avere una diagnosi.
Tenendo presente i criteri dell’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore IASP, i pazienti con dolore cronico di lunga data hanno convissuto con il dolore ben prima ancora di avere una diagnosi. Un ulteriore punto negativo è il fatto che le persone con dolore cronico di solito aspettano troppo a lungo prima di recarsi dai medici per i loro disturbi del dolore. Molte persone si auto convincono di non cercare aiuto, alimentate dallo stigma che circonda il dolore cronico. Pensano: ‘Sto invecchiando quindi è del tutto normale un po’ di dolore’;
“Non voglio disturbare nessuno, persevererò;
“Mi riposerò, farò di meno e passerà”;
“Non posso andare dal dottore ogni volta che mi fa male qualcosa?”
“Nessuno capisce cosa sto passando“.
Poiché il dolore e il dolore cronico sono vecchi quanto il mondo, ci si potrebbe aspettare che nel tempo siano state sviluppate buone pratiche per affrontare questo problema; eppure non è così. Perché non è così?
Il dolore cronico è un problema di salute complesso. Ha elementi biologici, psicologici, sociali ed economici. Tutti questi aspetti sono correlati tra loro e questa relazione dipende dalle circostanze, dalle aspettative e dalle capacità di ciascun individuo. Parliamo solo dal punto di vista della persona con dolore cronico. Questa interazione sarà anche influenzata dal modo in cui quella persona è vista dalla società e da quanto bene può affrontare tale controllo. Un’altra sfida importante per le persone con dolore cronico è ottenere l’opportunità di rimanere nel proprio lavoro o di trovare un nuovo lavoro adatto alle proprie capacità. Ciò ha un enorme impatto sulla loro indipendenza finanziaria.
Questo è il motivo principale per cui non sono state sviluppate terapie efficaci. Ciò che è stato sviluppato nel tempo, quando il mondo scientifico ha iniziato a capire che una persona è più di un semplice corpo diviso in parti, sono i programmi multidisciplinari. Ma anche questi programmi non soddisfano i bisogni disparati di tutti i pazienti e spesso vengono sviluppati senza alcun input da parte di persone con dolore cronico o dei loro rappresentanti.
L’indagine ha rilevato che a quasi quattro intervistati su 10 non è stata offerta alcuna terapia aggiuntiva, rimanendo invece sotto la supervisione del proprio medico di famiglia. Come se ciò non fosse abbastanza deludente, quasi otto su 10 non sono stati soddisfatti della terapia offerta, riferendo che non ha soddisfatto le proprie aspettative.
Abbiamo affrontato gli aspetti biologici del dolore cronico e cosa fare al riguardo. Tuttavia, sappiamo che ci sono altri componenti che influenzano la qualità della vita delle persone con dolore cronico. I fattori sociali giocano un ruolo importante in questo: la situazione familiare del paziente, come reagiscono i suoi vicini, amici, parenti e datori di lavoro, e così via; e situazioni quotidiane che confrontano i pazienti con i loro problemi. Il modo in cui la società e i datori di lavoro si avvicinano alle persone con dolore cronico è stato esaminato dalla Pain Alliance Europe nel suo sondaggio del 2019 sul dolore e i risultati sono, francamente, scioccanti e stigmatizzati.
Nei contesti familiari, l’ambiente in cui le persone dovrebbero aspettarsi di sentirsi “al sicuro”, i pazienti con dolore cronico hanno riferito di essere stati confrontati con approcci stigmatizzati. Dal partner, il tasso è più di quattro su 10. Da parenti e amici, è più di sei su 10. Anche dai caregiver, tre su 10 hanno riferito di sentirsi stigmatizzati.
È chiaro che queste circostanze possono contribuire a problemi psicologici come depressione, ansia e persino tentativi di suicidio.
Ma lo stigma legato al dolore cronico non è solo nei contesti familiari, è ovunque. Le persone hanno riferito di averlo sentito da operatori sanitari, datori di lavoro e colleghi, in attività sportive e ricreative, in ristoranti e luoghi simili, anche in luoghi pubblici in generale in cui l’interazione è anonima. È un problema sociale significativo, aggravato dalla realtà che è invisibile.
Per finire cosa dire di più. Abbiamo fatto tanto, si è fatto tanto ma ancora non ci siamo e non bastano le luci o una panchina viola per ricordarsi e/o sensibilizzare l’opinione pubblica che la fibromialgia esiste, questa esisteva già nel 1800. Oggi si chiama fibromialgia mentre prima veniva chiamata “fibrosite” (nel 1904). Ancora oggi, questa malattia non ha nessun riconoscimento causando a chi ne è vittima numerosi problemi, quanto altro ancora si deve aspettare?
Un ringraziamento particolare alla dottoressa Mimma Dardano presidente della commissione Politiche Sociali del Comune di Firenze per l’impegno e la sensibilità mostrata sul tema Fibromialgia.
Rosaria Mastronardo