Fibromialgia e l’associazione con l’artrite reumatoide e l’osteoartrosi

La fibromialgia (FM) è spesso associata ad altre malattie che agiscono come fattori confondenti o aggravanti quali l’artrite reumatoide (AR), le spondiloartrite (SpA), l’osteoartrosi (OA) e le malattie della tiroide

Questo articolo è stato scritto da un medico, dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia di Milano, nel 2016. Molte cose erano già note sulla Fibromialgia, esami da fare, come individuare bene la FM nei pazienti affetti da dolore cronico ma, soprattutto era chiaro, già in quell’anno come cercare di comprendere se il paziente avesse solo la Fibromialgia e/o ben altre malattie più “gravi” della Fibromialgia. Allora mi sono fatta tante domande ma, una su tutte è questa: perchè ancora si insiste sui solo “Tender Points” e pochissimi medici sottopongono questi pazienti ad altri e più specifici esami?

La risposta, con certezza non la conosco, posso solo immaginarla. Lascio a chi leggerà questo articolo, una propria opinione.

La fibromialgia (FM) è spesso associata ad altre malattie che agiscono come fattori confondenti o aggravanti quali l’artrite reumatoide (AR), le spondiloartrite (SpA), l’osteoartrosi (OA) e le malattie della tiroide.

I sintomi più comuni e caratteristici della FM sono il dolore diffuso, la rigidità, l’astenia e il sonno non ristoratore. Tuttavia, il sintomo patognomonico è il dolore muscoloscheletrico cronico diffuso presente consecutivamente da almeno 3 mesi e riferito ad entrambi gli emisomi, (una delle due metà del corpo umano, definite secondo un piano di simmetria sagittale) al di sopra ed al di sotto della vita, ed assiale, a carico di almeno uno dei tre segmenti, cervicale, dorsale e lombare.

Circa 2/3 dei pazienti riferiscono bruciore dappertutto e questo sintomo può essere utile per differenziare la FM da altre condizioni dolorose.

Il dolore può essere descritto con una combinazione di termini quali scottante, bruciante, vibrante, battente, martellante, profondo, tagliente e come la rigidità, spesso viene aggravato dal freddo o dal clima umido, dall’ansia o dallo stress, dall’attività fisica eccessiva, dal sonno non ristoratore e dal rumore. Tuttavia, il dolore muscoloscheletrico rappresenta un sintomo comune nei pazienti affetti da malattie reumatiche sistemiche, ma non è sempre facile scoprirne la causa.

Il dolore rappresenta il sintomo patognomonico per la diagnosi di FM, ma è associato ad una varietà di sintomi (come l’astenia, il fenomeno di Raynaud, i disturbi del sonno, la rigidità muscolare, la sindrome sicca (detta anche sindrome di Sjögren), la sindrome del colon irritabile, la depressione e l’ansia) che agiscono come fattori confondenti perché sono presenti in diverse condizioni dolorose, e la mancanza di esami di laboratorio specifici per la FM può facilmente portare ad una diagnosi errata.

La sua diagnosi clinica non è semplice poiché sintomi simili-FM sono facili da ritrovare, quindi la diagnosi differenziale con le altre cause di dolore cronico è fondamentale.

Quando il dolore coinvolge un ampio numero di articolazioni, può essere confuso con il dolore diffuso della FM, ma il grado di dolore misurato per mezzo della scala analogica visiva (VAS) non permette di distinguere la FM da altre condizioni dolorose quali la (AR) o (OA).

Inoltre, la FM può co-esistere con malattie immuno-infiammatorie, molte malattie reumatiche e non reumatiche possono essere erroneamente diagnosticate come FM. Attualmente non esistono test strumentali in grado di confermare la diagnosi, ma molte delle diagnosi differenziali vengono escluse attraverso un accurato esame clinico ed anamnestico.

Considerando la sovrapposizione della FM con le altre malattie, i medici dovrebbero essere piuttosto attenti: la radiografia del torace e l’ecografia dell’addome rappresentano i primi step per la valutazione dei pazienti con sospetta diagnosi di FM. Tuttavia, effettuare la diagnosi di FM può essere difficile a causa della natura multisfaccettata della sindrome e della sovrapposizione con le altre condizioni dolorose croniche.

FM associata a artrite reumatoide e osteoartrosi.

I meccanismi coinvolti nella FM sono molteplici e complessi. Alcuni di questi meccanismi coinvolgono la somatizzazione temporale (windup), il potenziamento a lungo termine (LTP), il potenziamento etero-sinaptico, una disfunzione delle vie inibitorie discendenti del dolore, e una attivazione del pathway facilitario discendente.

Il dolore nell’AR si riteneva fosse periferico e infiammatorio. Tuttavia, anche il dolore centrale può essere importante, i pazienti affetti da AR presentano in genere iperalgesia agli stimoli meccanici e termici in diverse aree del corpo, e non solamente nelle articolazioni infiammate.

I pazienti affetti da AR presentano anche una risposta al dolore dovuto ai valori del TNF (Inibitori del Fattore di Necrosi Tumorale) maggiore rispetto ai controlli. Gli stessi dati sono stati osservati nell’OA, nella quale è stato dimostrato il ruolo sul dolore di fattori centrali. Un piccolo studio ha riportato che i pazienti affetti da OA presentano iperalgesia diffusa secondaria a stimoli meccanici e al calore. Inoltre, per confermare questi dati, studi hanno dimostrato che composti che agiscono sui neurotrasmettitori del dolore centralmente quali la serotonina e la norepinefrina (es, duloxetina, triciclici) sono efficaci nell’OA.

Sulla base di questi risultati, il dato più importanti dell’associazione FM e malattie croniche è il suo riconoscimento al fine di trattarla in modo ottimale. Per esempio, quando i sintomi della FM associata ad un numero rilevante di Tender Points, sono presenti nell’AR, essi non dovrebbero essere automaticamente attribuiti ad una aumentata attività di malattia e non dovrebbe essere prescritte alte dosi di farmaco biologici o di corticosteroidi senza un adeguata valutazione dei TPs e degli esami di laboratorio.

Stanca di sentirmi dire: “Tu puoi farcela, e CE LA FARAI”

nun cia facc chiu

Mi soffermo a meditare spesso in questo periodo, a mollare tutto (visite, esami, controlli, post, lettere, denunce) perché troppo stanca, troppo esausta, sfinita e avvilita.

STANCA. Dal sistema sociale e sanitario ingarbugliato burocraticamente, complicato per noi malati cronici, medici ignoranti che continuano a far finta che non è reale quello che provi. Ignorata, offesa e oltraggiata, dal SSN e dalle associazioni, non tutte.

STANCA. Di RIPETERE LE STESSE COSE.

STANCA. Di farvi capire che non sono come voi “SANI”.

Ogni volta che discuto dei miei limiti fisici con gli altri, mi viene spesso ripetuta la stessa frase: “Tu puoi farcela, e CE LA FARAI”. Questa frase mi fa pensare tanto e mi sono chiesta cosa significa veramente per una persona sana, per una persona che non sa cosa siano le malattie croniche e soprattutto, cos’è il dolore cronico.

Sono una donna di 61 anni (tra poco) con diverse malattie croniche; in alcuni giorni, mi rendo conto che posso “tirare” di più i miei limiti, forse per un giorno, al secondo giorno, non ci arrivo. Può capitare di essere costretta a sforzarmi un po’ di più per qualche occasione speciale o per portare a termine un’attività necessaria. Ma quello sforzo “extra” di solito porta ad un disastroso “crash“. Dopo questo occasionale sforzo, io sono finita, mi sento come morta, senza vita; ripeto, sono occasionali gli sforzi, però dopo, io non sono nessuno, non esisto più.

È come guidare una macchina. In quell’auto, potete andare dove volete fino a quando il serbatoio ve lo permette. Quando nell’auto, non c’è più carburante, il viaggio è finito, non si va da nessuna parte. Di solito, se sto realmente in un auto e sto viaggiando, per evitare di fermarmi e non arrivare alla fine del mio viaggio, mi fermo per fare rifornimento giusto per sicurezza; e anche una volta che la mia auto mi segnala che sono in “rosso”, di solito rimane una certa quantità di benzina ancora per un po. Posso rischiare e continuare a guidare, ma alla fine la mia auto si fermerà completamente. Quando non c’è più carburante, la tua auto non va da nessuna parte, non importa quanti viaggi tu voglia fare, non importa quante cose stai immaginando di affrontare, l’auto si ferma, punto. Le persone con malattie croniche, soprattutto con dolore cronico, tendono a vivere la loro vita nello spazio tra il “quasi vuoto” e il “completamente senza carburante”. Alcune persone imparano i propri limiti abbastanza bene da fermarsi prima che si esauriscano completamente; altri cercano di “spingere” fino a quando si saranno completamente “esauriti”.

In quei giorni, in cui ho tirato troppo la corda, ho vissuto momenti bruttissimi, ho iniziato a piangere, l’idea di provare ad alzarmi dal letto la mattina per andare in bagno era travolgente. Ho avuto momenti in cui ero così stanca che fissavo il cibo nel piatto rendendomi conto che avevo ancora fame, ma riuscivo a malapena a sollevare la forchetta per continuare a mangiare. Ci sono giorni in cui non riesco nemmeno a sdraiarmi sul letto perché non ho l’energia per stare in piedi e crollo letteralmente. Mi sento come un blocco di ghiaccio che si scioglie sul marciapiede in una giornata calda. Non c’è volontà che tenga, non c’è sforzo che possa impedirmi di sciogliermi lentamente nel mio letto. Ho una terribile confusione in testa che rende difficile pensare anche alle più piccole cose. Perdo il filo dei miei pensieri a metà frase, o dimentico le parole e non ho l’energia per parlare. Mi è difficile leggere e concentrarmi sul testo, non ho l’energia mentale per elaborare le parole, e finisco per rileggere all’infinito lo stesso verso, le stesse frasi senza capirne il significato.

Questo “crash” può durare giorni o settimane, ma non so mai quanto durerà. Decidere di fare uno sforzo extra per me è un rischio costante, è come guidare una macchina senza freni. Dove andrò a sbattermi questa volta?.

Mi sono resa conto, che per i miei amici sani, tutti quelli che non sono in queste condizioni di cronicità, e ti ripetono: “Tu puoi farcela, e CE LA FARAI”, non capiranno mai le mie difficoltà, perché questi, anche se si sforzano e “tirano” al limite delle loro possibilità, staranno forse male ma, mai quanto me. Se continuano ad allenarsi anche quando tutti i loro muscoli faranno male e sono stanchi, alla fine arriveranno al punto che si sono prefissati e dopo, avranno anche più energia e allenarsi richiederà meno sforzo. Mi sono resa conto che non capiscono e non lo capiranno mai perché per loro c’è un un obiettivo finale che possono e raggiungeranno se si impegneranno molto.

Possono farcela perché ci sarà un punto in cui non dovranno più sforzarsi così tanto.

Ecco perché ho realizzato, ad un certo punto che, chi non vive una condizione di multi – cronicità, chi non vive con il dolore cronico, non può capire come ci si sente se “spingiamo” oltre

Questi più spingono , più ottengono risultati positivi, noi malati cronici più spingiamo, più siamo finiti.

Io, l’ho capito, perché loro non lo capisco? Quindi, per favore, ricordarti che io non non sono pigra o riluttante a fare uno sforzo per migliorare le mie condizioni, per forse stare meglio, io sono una realista. Potrei essere in grado di continuare a “spingermi” per un po’, ma alla fine crollerò.

Cosa dire a quella parte della classe medica che ti tratta con superficialità, con indifferenza e menefreghismo.? Cari dottori, se non avete empatia, se non avete cervello e cuore, cambiate lavoro, di terra da zappare in questo paese e non solo in questo, ce n’è molta.

Rosaria Mastronardo che, per scrivere questo testo, per la stanchezza, ho impiegato 3 ore, una volta mi bastavano 5 minuti.

Le “amiche” invisibili.

Hai la fibromialgia ma, non solo quella.”

Le parole che hanno cambiato completamente la mia vita.

Vuoi dire che non è una malattia terminale? Oh bene, perché fino a quel momento pensavo davvero di morire! Aspetta cosa? Ma è solo una malattia? Si, è cronica, significa per tutta la vita. Così un giorno mi sono ammalata e mi ci è voluto molto tempo per accettare il fatto che non sarei mai guarita. Mai. Quindi, non è terminale, ma la mia vita come la conoscevo una volta era finita, non ero più la stessa.

Con la fibromialgia, soprattutto all’inizio, non mi sentivo viva, vedevo svanire il mio futuro, i miei sogni, si era preso tutto, tutto il mio respiro. Quella “bestia” non è venuta da sola. NO! È come un soldato in guerra, arriva con le truppe. Una dietro l’altra, nel corso di circa otto anni, una “schiera di soldati”: Artrite Psoriasica, Psoriasi, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteocondrite di 4° livello alle caviglie, Spasmofilia, Artrosi mani e piedi e non è questo l’ordine. Alcune di queste malattie prevedono qualche piccola esenzione, le prime due, per tutte le altre, compresa la Fibromialgia, NON C’È’ NULLA, si paga tutto ed inoltre, non essendo neppure “considerate” dal SSN devi continuare a lavorare senza “sconti”, riduzione dell’orario, riposo anticipato, etc, etc.

Se pensate che queste condizioni siano le peggiori, vi sbagliate, non lo sono. È un’orribile condizione di dolore cronico che colpisce i miei muscoli, i nervi, articolazioni e persino i tendini. Emicrania, sciatica, sensibilità al caldo e al freddo e intorpidimento. La lista potrebbe continuare all’infinito. Non mi sentivo normale da anni, non posso essere neppure toccata. Anche il graffio più leggero fa male ed è fastidioso. Indosso sempre abiti, pantaloni prevalentemente, larghi, perché arrivano giorni che anche i vestiti che indosso fanno male, bruciano la pelle. La depressione e l’ansia sono le “cuginette” di chi vive questa vita con questa “bestia” e le sue “truppe”. E mentre penso che sia un dato di fatto sviluppare ansia e depressione con tutte queste malattie croniche, qualche medico, afferma che sono queste che scaturiscono le altre. Mentirei a me stessa se dicessi che non ce l’ho perché provate entrambe.

Alla malattia cronica nella mia vita, non ci pensavo, credo che nessuno si aspetta mai di ammalarsi e scoprire che non migliorerà mai. La parte più difficile per me è stata quella di realizzare di non essere in grado di prendermi cura di me stessa, della mia vita, di perdere il controllo di tutto. Non mi riconoscevo nemmeno più: chi era quella persona nello specchio?

Forse ho tralasciato qualcosa. Di sicuro, perché quando si è particolarmente stanchi, quando quella stanchezza cronica prende il sopravvento sento un po’ della famosa “nebbia fibrosa” o “fibro-fog”. Sono sincera, nel mio caso, non è stata molto presente ma, ultimamente, l’avverto di più e per come sono, per come ero, è bene dire, per la mia “vecchia me”, è la cosa più fastidiosa che possa provare.

Non riesco nemmeno a parlare con i dottori senza sentirmi come se stessi mentendo. Devo portare con me una lista, altrimenti non ricordo nemmeno perché sono lì, e nemmeno le mie stesse parole.

Ormai, faccio liste per tutto, non solo per la spesa e per i medici ma anche per quello che devo fare durante il giorno. Faccio così. Sulla scrivania nel soggiorno ho dei foglietti ritagliati a questo scopo, ogni volta che ricordo quella cosa che volevo fare ma che poi ho dimenticato, la scrivo immediatamente, come si dice: “A mali estremi, rimedi estremi” o se preferite “extremis malis, extrema remedia“.

I medici?

Quelli poi, non ascoltano nemmeno, trattano i pazienti con malattie croniche come se fossero pazzi, bugiardi e lì per avere la droga. È così ridicolo. È divertente, in un certo senso. A volte mi guardano come per dire, “Bene, cosa ti aspetti che faccia per te?” Che vuoi che ti dica caro dottore, non ti posso aiutare come, del resto, non puoi fare tu, almeno fai una faccia di quello che capisce e comprende, non quella a cxxxx di cane.

Cosa ti aspetti che faccia per te?” Non guardarci e dirci che la fibromialgia non è reale dopo anni di lotta e di essere a malapena in grado di muoversi, mangiare, respirare e vivere. Non dirci di fare esercizio quando abbiamo provato a farlo! Non raccontateci “chiacchiere”, diteci semplicemente la verità. Vogliamo sentirci dire che è difficile vivere con una malattia cronica figurarsi con più di una e che tu, medico, ti adopererai in tutti i modi per alleviare il nostro dolore avendo cura di non danneggiare il resto, che non sponsorizzerai associazioni e strutture per farci fare quella ginnastica “miracolosa” che fa bene, hai giurato ricordi? Ricordati della dignità del malato, ricordati del rispetto della sua vita, della diligenza nell’esercizio della professione, dei doveri inseriti nel Codice che ogni medico è tenuto a rispettare.

Non posso affrontare il mio passato, i ricordi della mia vita, di quando ero sana. Ho dovuto affrontare un processo di lutto completo con tutta questa faccenda e mi sono davvero stancata di dover spiegare a tutti cosa c’è “che non va in me“.

Oggi la mia vita è cambiata. Mi sono dedicata all’auto aiuto, facilito due gruppi di auto aiuto sulla fibromialgia, leggo, scrivo, continuo a lavorare. Sono mamma e moglie. Quando posso, esco. Non sono sola però, nella maggior parte delle volte sono in compagnia delle donne che fanno parte dei gruppi che facilito, amiche che comprendono bene le mie difficoltà. Scrivo sul mio blog e poi condivido sui vari Social Network. Devo concentrarmi su quello che sto facendo oggi e non pensare al domani, vivere giorno dopo giorno, cercando di non farmi soccombere dai tanti pensieri negativi.

Ieri mi sono sentita orgogliosa di me. Sapete perchè? In una settimana, sono riusciuta a pulire da sola, contro il volere di mio marito, sempre preoccupato per me, 6 finestre della mia casa. Erano settimane che le guardavo così sporche ed ero desiderosa di volerle pulire ma, ogni volta che ci pensavo, ero già stanca. Un giorno, inizio e finisco dopo una settimana. Sono 6 finestre da 60×130. Oggi sono pulite e sono riusciuta a farcela da sola. La mia vita oggi è così. Faccio quello che mi sento di fare, quando il mio corpo mi fa capire che posso. All’inizio era pesante sopportare tutto questo, una volta che capisci che non puoi fare quello che facevi prima, ti senti meglio e persino orgogliosa di essere riusciuta a portare a termine quel lavoro. Vi confesso però che, nonostante il lungo tempo per realizzare questa cosa, mi sono riempieta di cerotti medicati, ho comprato quelli colorati, così è stato anche divertente coprirsi di cerotti colorati.

Per finire. Penso seriamente che chi vive con malattie croniche e degenerative deve trovare un supporto. Il “proprio supporto”; il supporto è soggettivo e può essere diverso dagli altri. Bisogna sforzarsi di trovare quello che fa bene a te in quel momento. Non seguire l’esempio di altri, ascoltati e cerca di capire cosa è giusto per te. Sento che questo è molto importante perché per alcune persone con malattie croniche, la mancanza di supporto e comprensione porta al suicidio. La nostra malattia è invisibile solo se lasciamo che sia. Educare, sperare e non smettere mai di pensare che un giorno una cura ci sarà.!

Rosaria Mastronardo

Salute mentale e fibromialgia.

Avere una malattia o un disturbo mentale non significa avere la fibromialgia

La salute mentale può essere un argomento molto delicato e ci sono molte persone che lottano con questo problema tutti i giorni. La fibromialgia è un disturbo che può avere un effetto serio e profondo sulla salute mentale di una persona. La fibromialgia è una condizione cronica che provoca dolore diffuso in tutto il corpo, oltre a stanchezza e altri sintomi correlati. La fibromialgia può essere una condizione molto difficile e debilitante con cui convivere essendo una malattia cronica, cioè, è per sempre, ed è importante comprendere l’effetto che può avere sulla salute mentale di un individuo.

Il dolore fisico e l’affaticamento associati alla fibromialgia possono mettere a dura prova la salute mentale di chi ne soffre. La natura cronica della condizione può far sembrare che non ci sia una fine alla sofferenza, portando a sentimenti di disperazione. Il dolore e l’affaticamento influiscono anche sul sonno, non si dorme bene con la fibromialgia e questo impatta notevolmente sulla salute mentale. Non dormire bene, non riposare bene può portare a sentimenti di irritabilità e affaticamento, che possono ulteriormente esacerbare i problemi di salute mentale associati alla fibromialgia.

Anche il carico emotivo di vivere con la fibromialgia può essere difficile da affrontare. Molti malati di fibromialgia scoprono di lottare con la depressione e l’ansia a causa della loro condizione. Possono anche sorgere sentimenti di isolamento e solitudine, così come sentimenti di colpa e inadeguatezza. Queste sono tutte emozioni molto comuni per le persone che vivono con la fibromialgia ed è importante riconoscerle e affrontarle.

Anche i disturbi cognitivi associati alla fibromialgia possono anche avere un serio effetto sulla salute mentale di una persona. Chi soffre di fibromialgia spesso ha difficoltà di concentrazione, problemi di memoria e mancanza di lucidità mentale. Ciò può portare a sentimenti di frustrazione e confusione, nonché difficoltà nel portare a termine i compiti e portare a termine gli impegni.

Non bisognerebbe mai dimenticare che la fibromialgia ha un effetto molto reale e profondo sulla salute mentale di una persona. Il supporto di familiari, amici e operatori sanitari può essere prezioso per aiutare a gestire questi problemi. Poterne parlare, cambiare i propri stili di vita e alcuni farmaci possono essere tutti utili nella gestione dei sintomi della fibromialgia e dei problemi di salute mentale associati ad essa.

Non fatevi condizionare da quei “dottorini” che, ignorando o negando la fibromialgia, vi considerano malati di mente. Noi fibromialgici siamo costretti a lottare tutti i giorni con il dolore cronico che nessuno vede e nessuno comprende, non siamo riconosciuti dal nostro SSN ed è tutto questo che ci porta ansia e in alcuni casi la depressione.

Fate attenzione, è facile per chi non vuole vedere l’evidenza stigmatizzarci, non permettiamolo a nessuno.

Sono più della mia malattia

Una testimonianza di: Dave Shields

Quando la fibromialgia interessa un uomo

Sono spesso perplesso dalla risposta di un individuo a una diagnosi di disturbo o di malattia. All’inizio degli anni ’90 ho avuto la fibromialgia. Sembrava che ci volesse un’eternità, ma alla fine mi è stata diagnosticata alla Mayo Clinic di MN.

Inizialmente, sono stato sopraffatto dalla gravità dei sintomi. Il dolore, la stanchezza, i problemi di sonno e la nebbia mentale erano travolgenti. Non potevo lavorare. Mi sedevo sulla sedia a dondolo in agonia, consumato dal dolore.

Mi sentivo impotente di fronte a un potente nemico. All’inizio, ho lottato con l’accettazione. Anche se avevo una diagnosi, mi vergognavo, dicendo cose del tipo: sono solo una persona debole e pigra… è tutto nella mia testa… basta scuotersela di dosso.

Questo disturbo ha cominciato a erodere la mia identità. Ha avuto un impatto sul mio carattere e ha rubato la mia autostima e fiducia. Ho iniziato a perdermi, nuotando nel mare di caos che deriva dalla stessa malattia. Non so quando sia successo, ma alla fine sono diventato Fibromialgico. Ho permesso alla fibromialgia di prendere il sopravvento su di me.

C’è un’enorme differenza tra l’essere Fibromialgico e qualcuno che soffre di un disturbo chiamato Fibromialgia. Ho permesso alla fibromialgia di prendere il sopravvento sulla mia vita, ma non me ne sono reso conto fino a quando, in questo processo, sono diventato depresso.

Sono andato sottoterra e sono rimasto così per anni.

Mi sono sentito una vittima

L’autocommiserazione si è stabilita nel mio cuore e nella mia mente, e ogni giorno mi dispiaceva per me stesso. Sono diventato totalmente debilitato e ho vissuto in una fossa buia.

La strada del ritorno è iniziata quando mi sono arrabbiato… quando mi sono ammalato e stancato di essere malato e stanco. La Fibromialgia mi aveva preso quasi tutto. Ero stufo. Ho permesso alla rabbia di alimentare le mie azioni. È iniziato con le piccole cose come una migliore igiene personale, vestirsi per la giornata, rifare il letto e impostare un programma di sonno. Fare queste cose apparentemente piccole ha fatto un’enorme differenza nella mia giornata.

Questi comportamenti hanno iniziato a darmi un senso di controllo personale. Mi sentivo come se avessi la capacità di influenzare la mia vita. Una volta ristabilite queste abitudini, volevo di più. Sono entrato in terapia e ho riscoperto chi ero al di fuori della mia diagnosi.

Con un rinnovato senso di sé, ho iniziato a implementare strategie per gestire la fibromialgia. Ho iniziato una pratica di meditazione per gestire il mio dolore. Ho iniziato a fare stretching, andare in bicicletta e camminare. Ho aggiunto il massaggio come risorsa. Ho iniziato a mangiare in modo più sano, ho comprato un diario e l’ho usato per annotarmi tutte le cose che mi accadevano, belle o brutte.

Ho iniziato a impegnarmi nuovamente socialmente e costruire la mia rete di supporto. Ho pensato e parlato di cose diverse dalla fibromialgia. Ho ripreso a lavorare. Oggi i miei sintomi di fibromialgia non sono diversi da quelli di 20 anni fa. Ciò che è diverso è la mia mentalità, il modo in cui mi avvicino al mio disturbo e le mie azioni quotidiane. So che non l’ho causato e che non posso necessariamente controllarlo, ma ho un’enorme influenza sulla mia vita quotidiana. Ho accettato che la Fibromialgia sia il mio compagno di viaggio. Rispetto il grande impatto che ha sulla mia vita ogni giorno.

Ci sono giorni in cui i sintomi sono peggiori e, in quei giorni, correggo amorevolmente la mia giornata, invece di farmi del male come facevo una volta.

Vivo con la fibromialgia. Vivo una vita piena di potere e appagante nonostante ciò. Sono passato dal sopravvivere al prosperare. Puoi farlo anche tu!

Questa è la testimonianza di un uomo che si è confrotato con la Fibromialgia. Non è poi così diversa dall’esperinza che vive una donna con la stessa malattia. Ricordo infine che, non tutti sono in grado di reagire allo stesso modo e non a tutti la malattia si manifesta con la stessa intensità e con gli stessi sintomi.

Puoi farlo anche tu come scrive Dave, è possibile ma, se non hai solo la Fibromialgia, non è tutto poi coosì facile.

Incertezza, insicurezza e dubbi che si sono insinuati in me, negli anni, dopo la diagnosi di fibromialgia.

Una cosa che mi sorprende continuamente quando si tratta di fibromialgia, è l’insicurezza. Sono facilitatrice di due gruppi di auto aiuto da diversi anni, e ho sempre sentito tutti coloro che partecipano ai gruppi che facilito, affermare che i tanti professionisti medici consultati lungo il percorso di diagnosi e “non cura”, ancora oggi, nonostante la letteratura immensa a disposizione, non credono che il nostro dolore sia reale. In alcuni casi nel racconto sento emergere che una parte, tutt’altro che irrisoria, di questi “luminari”, mette addirittura in dubbio l’esistenza della fibromialgia come vera e propria malattia fisica, ed afferma in maniera più o meno palese, che si tratti invece di un insieme di sintomi provocati da malattia psicosomatica, per cui psichiatrica. L’insicurezza, l’incredulità e la diffidenza non caratterizzano solo l’atteggiamento dei medici ma anche quello dei nostri amici e familiari, per non parlare poi del luogo di lavoro. E’ un continuo, è un tormentone che ci penalizza e ci abbatte, ci avvilisce ogni giorno.

Penso che l’insicurezza e l’incertezza da parte dei medici sia sicuramente “frutto” delle poliedriche teorie sull’origine della malattia, tanto che si sono sviluppate, nel tempo, decine di correnti di pensiero al riguardo, facendo sì che idee e preconcetti si moltiplicassero senza limiti nella confusione generale. È risaputo che non esiste ancora un test ematico che possa rilevare, tramite marcatore specifico, che ci si trovi inconfutabilmente in presenza di Fibromialgia, e nemmeno esiste un esame diagnostico che attesti che noi siamo affetti da questa malattia.

Il medico, spesso un reumatologo, ti rivolge qualche domanda sul dolore che provi, e tu racconti che lo senti martellante, sordo, a tratti insopportabile. Se l’uomo che ti sta davanti con il suo bel camice bianco ne ha voglia, allora si alza dalla scrivania, ti tocca in alcuni punti del corpo, e se toccandoli reagisci rientrando in “certi canoni”, emette la fatidica diagnosi: fibromialgia, punto. Punto? Sì, punto. Perché tutto finisce lì, nonostante in scienza e coscienza ed anche in base ad un tacito accordo, quasi un protocollo, prima di formulare detta diagnosi, l’uomo con il camice dovrebbe indagare per cercare di escludere tutte le altre malattie che possano avere identici sintomi, hai visto mai che si possa prendere in tempo una malattia diversa da quella del sacco contenitore, quello con il marchio Fibromialgia, dove finiscono tutti coloro che non avranno mai una cura. In pratica, i sintomi di malattia che tu riferisci di provare bastano a far scattare nello specialista il desiderio di fermarsi, per risparmiarsi le prescrizioni di altre indagini. Ciò che spinge il medico a refertare la diagnosi è la presenza di alcuni sintomi, fra quelli annoverati in un lunghissimo elenco, genericamente da associarsi, per convenzione, alla fibromialgia. Quindi è l’appartenenza di un sintomo a questo elenco a scatenare una diagnosi, quasi sempre molto affrettata, e non un esame di laboratorio.

Altra cosa sono i parenti, amici e datori di lavoro che mettono costantemente in dubbio il tuo provare dolore, il tuo stare male, la tua stanchezza cronica, la tua affaticabilità, la tua scarsa concentrazione. Ecco allora che nascono tutti gli epiteti più cattivi e ingiusti. Sei una fannullona, non hai voglia di fare nulla, sei depressa, vatti a fare una camminata, fatti una vacanza, trovati un buon compagno, e vedrai che ti passa, etc, etc.

Ci isoliamo, ma al tempo stesso siamo evitati, fino al punto di essere completamente emarginati, rischiamo di essere licenziati da un datore di lavoro che guarda la produzione e che se ne infischia della tua fatica quotidiana nel gestire tutta la devastazione del tuo corpo ad opera di una malattia subdola, che quando ti prende sei sua per sempre, avvolta nelle sue spire sempre più strette. Per noi la vita diventa l’inferno. E’ un cane che si morde la coda, non hai scampo. Soffri per il dolore che nessuno vede, e in più sei anche stigmatizzato.

Tutto questo l’ho vissuto in prima persona e l’ho rivissuto ascoltando nei gruppi di auto aiuto, le testimonianze di altre/i nelle mie stesse condizioni. Quelle testimonianze erano copie conformi della mia situazione di malattia e sofferenza, uguali identiche.

Qualcuno riesce ad uscire da questo impasse, altri no, ma come biasimare questi ultimi. Noi siamo esseri umani e non siamo tutti uguali, ogni soggetto reagisce in modo diverso agli stimoli esterni, fisici e patologici, e le cure vengono sopportate da ciascuno in modo tutt’altro che standardizzato. È il motivo per cui a contatto con una certa sostanza c’è chi va in anafilassi e chi la tollera tranquillamente. Dovrebbe essere normale saperlo, per un medico, ma non è sempre così. Probabilmente perché molti medici si sono talmente abituati ad avere nel cassetto della loro scrivania il manuale dei protocolli al posto del giuramento di Ippocrate, che si sono disabituati al ragionamento preferendo agire prevedendo una loro tutela giuridica in caso nascesse una controversia legale nei loro confronti a causa di un errore medico.

Tutto quello che ho descritto, immaginate, per me è iniziato nel 2015, anno della diagnosi di Fibromialgia.

Premetto che la “sentenza” mi venne fatta da un neurologo. Fui colpita, in quel momento orribile della mia vita, da forti parestesie alle gambe. Non avevo sensibilità dal bacino in giù, le mie gambe non erano più fatte di carne, ma dure come cemento, al punto che non camminavo più e mi trascinavo letteralmente. Dopo circa un anno passato in quel modo, il neurologo emise il fatidico verdetto: “Fibromialgia”. Nella vita di chi riceve questa diagnosi, esiste una “vita prima” e una “vita dopo” la diagnosi, completamente stravolta rispetto alla prima. Da quel momento ad oggi, i vari medici che ho consultato mi hanno prescritto e consigliato di tutto, ed anche l’esatto contrario di quel tutto. Consigliato e prescritto a seconda della teoria del momento. Hanno seguito alla lettera tutto ciò che i “famosi” protocolli indicavano per il trattamento del paziente con fibromialgia. Per cercare di mascherare o attenuare il dolore, non hanno prescritto altro che farmaci presi a prestito da altri protocolli di cura, e che servirebbero per trattare ben altro, visto che, come noto, non c’è cura, non c’è nulla che possa risolvere i sintomi della fibromialgia.

I farmaci che di prassi si prescrivono in quest’ambito, poiché non curano ma cercano solo di tenere a bada un sintomo senza risolverne la causa, non impediscono a quest’ultima di continuare imperterrita a manifestarsi tramite il dolore, ed il dosaggio del farmaco, creando assuefazione, dev’essere aumentato sempre più, fintanto che anziché essere efficace, crea solo danno e dev’essere sospeso. Si prova un altro farmaco, e l’epilogo è lo stesso di quello precedente. Se paragonassimo banalmente la malattia all’acqua che sgorga dal rubinetto senza poterne chiudere il flusso, e fingessimo che il tappo del lavandino fosse il farmaco, ci accorgeremmo che il tappo non potrà nulla se l’acqua continuerà a scorrere nel lavandino, che si riempirà fino a far fuoriuscire l’acqua che continuerà imperterrita a scorrere fino ad allagare prima la cucina (un organo), e poi la casa (l’intero corpo umano).

A dimostrazione dell’immenso danno che provoca una delle regole stabilite nel protocollo di diagnosi della fibromialgia, che impone al medico, dopo la diagnosi, di non prescrivere più alcun accertamento diagnostico, nel corso di questi anni, in via del tutto accidentale, mi sono state diagnosticate via via altre patologie, croniche ed autoimmuni. Farò l’elenco, attenzione però, non a scopo vittimistico, lo farò perché mi sono sorti dei dubbi, dubbi che si rafforzano anche con il sentire, conoscere storie come la mia tramite il racconto di altri malati che si sono trovati nelle mie stesse condizioni, cioè aver avuto la diagnosi, il marchio “fibromialgia”, ed aver trovato, da quel momento in poi, un muro di gomma di fronte ad ogni richiesta di aiuto, perennemente inascoltati, marchiati come pazienti con diagnosi di malattia incurabile o immaginaria. Mentre subivo tutto questo, covavo ben altre malattie dentro di me, che purtroppo si sono evidenziate quando ormai non potevano più essere ignorate nemmeno dal più stolto degli uomini con il camice bianco.

Ecco l’elenco, non in ordine di diagnosi medica:

Fibromialgia, Artrite Psoriasica, Psoriasi, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteocondrite di 4° livello alle caviglie , Spasmofilia, Artrosi mani e piedi.

Quali sono i dubbi che oggi mi assalgono?

Sono fibromialgica e tutte queste malattie sono correlate ad essa?

Non sono fibromialgica e quel giorno, il giorno in cui le mie gambe erano diventate di cemento e avevo perso la sensibilità, non erano altro che una sorte di “campanello di allarme” di tutto quello che poi è venuto dopo?

Come sapete tutti, non sono un medico, non ho studiato medicina, ma da malata mi pongo tante domande, ragiono tanto su tutti questi anni, 8 lunghissimi anni passati con dolori sempre più forti, anni in cui ho dovuto necessariamente gestire e sopportare incomprensioni, accrescere consapevolezza e coltivare pazienza, in mezzo a visite, esami e tanto tanto altro che non mi va di raccontare, ma che purtroppo ho vissuto. Sono giunta ad una conclusione e ripensando ad un proverbio che recita “E’ un gran medico chi conosce il suo male” ho maturato l’idea che la fibromialgia sia solo un campanello d’allarme, un’avvisaglia, e come tale sia la punta dell’iceberg di altre malattie.

E non essendo un medico, da anni parlo e scrivo solo per raccontare la mia esperienza personale, e quando nei gruppi che facilito, ascolto le storie di persone che soffrono come me, mi accorgo che in maniera simile a me, negli anni della loro vita di “fibromialgici” hanno sviluppato ben altre malattie, molte di esse di origine autoimmune.

Quindi ciò che mi domando sempre più insistentemente è: la Fibromialgia esiste come malattia a sé stante, oppure è una sindrome vera e propria, un insieme di sintomi che si manifestano in presenza di altre malattie che per comodo non vengono più ricercate, coperte dal mantello Fibromialgia, lasciando che esse stesse progrediscano fintanto che non esplodono nella loro gravità?

Sono dubbi legittimi, di una malata cronica che non ne può più di sopportare il male che non passa mai, e l’immobilismo, l’ignoranza, la mancanza di empatia e di ascolto.

Rosaria Mastronardo

Le mie scuse ai miei pazienti affetti da fibromialgia.

Le scuse di un medico che si è ammalata di fibromialgia

Questa è la storia di Amanda Shelly, assistente medico, mamma single che vive in Arizona. Amanda, ha compiuto 40 anni da poco e sta lavorando per trovare, in tutti i modi, ad affrontare la malattia cronica, la fibromialgia, per godersi ancora la vita.

Ho delle scuse da fare.

Vorrei scusarmi con tutti i pazienti che ho visto nei miei anni di lavoro in pronto soccorso che soffrivano di dolore cronico dovuto a fibromialgia o malattia autoimmune.

Vorrei scusarmi per non sapere, capire e in alcuni casi nemmeno credere a quello che stavi passando.

Vedi, nella scuola per assistenti medici, proprio come la scuola di medicina, non ci insegnano come queste malattie influiscono sulla vita dei nostri pazienti. Non ci dicono che è stato incredibilmente estenuante per il nostro paziente arrivare in ufficio o che probabilmente dovranno riposare e riprendersi i giorni successivi. Non ci dicono che stare seduti sulla sedia nella sala d’attesa fa male ad ogni parte del tuo corpo, non ci dicono che possono darvi dolore anche quello che indossate che siano essi vestiti o scarpe. Non ci insegnano come la tua famiglia sia influenzata dalla tua incapacità di partecipare alla vita sociale, dare cure e attenzioni al proprio coniuge o figli o persino preparare la cena.

Ma ora lo so. E mi dispiace.

Lo so perché da alcuni anni combatto con la fibromialgia e qualche altro problema autoimmune ancora da identificare. Lo so perché ho dovuto insegnare a mio figlio piccolo come abbracciare dolcemente. Lo so perché ho sentito i suoi amici commentare su quanto sono pigra, per il tanto tempo che passo a letto. Lo so perché non riesco più fisicamente a tenere il passo con i pazienti in ambulatorio, per fortuna ho potuto lavorare da casa grazie alla telemedicina. E lo so perché quella cara vecchia “nebbia fibrosa” spesso fa sembrare che il mio cervello si stia spegnendo, faccio fatica a ricordare le parole che volevo dire al paziente che sto cercando di aiutare.

All’inizio volevo nascondere la mia diagnosi ai miei colleghi. C’erano ancora così tanti colleghi là fuori che non credevano nemmeno che la fibromialgia fosse un vero disturbo (io ero uno di loro). Ma negli ultimi due anni di ininterrotte visite di specialisti, test con risposte bizzarre ma non chiare, prove di un farmaco dopo l’altro, ho imparato che anche se la comunità medica si sta aprendo alla realtà che questo è reale, “loro” , alcuni di loro, continuano a non capirlo.

Questo mi ha colpito di nuovo due giorni fa ad un appuntamento con un reumatologo che ha detto: “Non vedo nulla di preoccupante” quattro volte ha ripetuto la stessa frase, durante la nostra visita. Veramente? Non pensi che dover fare il mio lavoro dal mio letto in alcuni giorni sia preoccupante? Non pensi che l’isolamento causato dal non poter andare a fare e vedere cose con la mia famiglia sia preoccupante?

È giunto il momento che i medici smettano di guardare i risultati di laboratorio e inizino a guardare l’intero quadro. Anche se la scienza non ha scoperto una cura, solo un semplice riconoscimento di ciò che i pazienti stanno effettivamente attraversando sarebbe un enorme passo avanti verso il superamento del divario tra la tua realtà e la mia.

Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi il mio dolore, i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io.” (Luigi Pirandello)

E’ solo un mio parere……

Non sembro malata, lo so, continuate a dirmelo. Presto starai bene, lo so, continuate a dirmelo.

Cosa c’è che non va questa volta? Lo ripetete con freddezza e si capisce dal tono della vostra voce.

Lo sento ogni giorno e mi sento esausta. A volte mi fate sentire pigra, una piagnona.

Ci sono alcuni giorni in cui non faccio molto, cerco di riposare ma, è un NON riposo, e voi non capite.

Beh bla bla bla! All’infinito.

Ora sedetevi, state comodi e ascoltatemi. Per tutti quelli che mettono in dubbio le nostre sofferenze, i nostro dolori. Ascolta quello che ti dico e sei libero di accettarlo oppure no, io lo dico lo stesso.

Sono stanca di combattere per quello che non posso sconfiggere;

Ho dolore, ogni giorno, in un posto, due, tre e/o anche di più;

Non so spiegartelo scientificamente ma, il mio cervello e il mio sistema nervoso mi mettono al tappeto;

Mi inviano il dolore dove non vorrei averlo!

Ho le gambe rigide e anche se sono a letto, mi fanno male;

Nei giorni di festa, non gioisco perché sono sempre nelle condizioni che ti ho descritto e non mi sento di festeggiare alcunché;

La stanchezza e la spossatezza sono miei compagne di vita, dal momento in cui mi alzo dal letto ma, anche se ci rimango a letto;

Non sono in grado di svolgere il mio lavoro come vorrei. Distrazione, poca concentrazione e dolore, la fanno da padrona;

Sono sola, impaurita, ansiosa e oltre a questo devo, ogni volta, spiegare a te e agli altri perché non ce la faccio oggi e anche domani;

Sai, tutte quelle come me, siamo diventate brave a capire, anche se ti racconto al telefono, questo nostro, NON VIVERE, ci accorgiamo, che ti stiamo annoiando;

Allora sai che penso? Ti dico la mia. Penso che quelli che dicono di volerci bene, che dicono di amarci, mentono. Si mentono.

Perché qualcuno che ci ama davvero, che ci vuole bene seriamente, ci guarderebbe negli occhi e vedrebbero la nostra paura, la nostra incertezza, le nostre difficoltà quotidiane e non siamo noi a scegliere. E’ la malattia che ha scelto noi e ci costringe ad essere quello che ti ho descritto.

Cercate di ricordarvi di come ero prima di ammalarmi e non quello che la malattia fa alla mia vita ora.

E’ una continua lotta, una battaglia e sai che non vincerai MAI. Questo non è una cosa facile.

Cercate di ricordarvelo, cercate di sostenerci. Questo è quello che penso e sono stanca di ripeterlo tutte le volte.

Lucio Anneo Seneca diceva:

Non abbiate paura del dolore, o finirà o vi finirà

Il nostro dolore, non finirà mai.

Il piccolo albero.

una favola di Kurt Fondriest che scrisse questa storia più di 30 anni fa per i bambini con fibromialgia.

Kurt Fondriest, scrive di se stesso, questo: “Il mio lavoro sono riflessioni, sogni e visioni che ho come persona che vive con dolore cronico. Ho la fibromialgia e questo ha ispirato gran parte della mia arte. Alcuni dei miei lavori sono stati utilizzati in pubblicazioni sul dolore cronico. Le immagini parlano di speranza e vita. Sono un terapista di arte. Mostro la mia arte principalmente al Life Force Art Center a Chicago, dove vivo. Ho conseguito il mio diploma presso la School of The Art Institute di Chicago e mi sono laureato presso il Columbus College of Art and Design. Ho un dottorato di ricerca in ministeri olistici presso l’American Institute of Holistic Theology. Sono cresciuto in una zona rurale dell’Ohio e sono stato ispirato dalla natura per anni.”

In una foresta di magia e saggezza e di arcobaleni e fate, viveva un alberello che era di gran lunga più piccolo di qualsiasi altro. Sapeva che i suoi rami dovevano essere forti e sempre rivolti verso l’alto perché sua madre e suo padre glielo avrebbero detto. Alberello, dicevano, “alza i rami verso il sole così gli uccelli possono venire a cantare sulle tue membra”. Con tutte le sue forze, avrebbe cercato di raggiungere il cielo, ma non poteva tenere i suoi rami alti per molto tempo. L’alberello si appoggiava tristemente a sua madre mentre osservava tutti i rami degli altri alberi in cui nidificavano uccelli di tutti i colori e dimensioni e cantavano lodi alla magia della foresta.

I suoi rametti riuscivano a malapena a trattenere le sue foglie, e dolevano per il dolore. Dall’altra parte della valle di fiori azzurri e illuminati dal sole viveva un vecchio saggio elfo della foresta. La madre del piccolo albero lo ha chiamato per capire perché suo figlio stava attraversando un periodo così difficile. Era una giornata nuvolosa nella foresta quando l’elfo venne a vedere il piccolo albero e il riflesso argenteo sulle foglie della pioggia recente rispecchiava la sua immagine e la sua magica borsa di pozioni. L’elfo era l’anima più saggia della foresta. Sicuramente, potrebbe guarire il piccolo albero. Il vecchio elfo saggio abbracciò il piccolo albero. “Ahi,” gridò il piccolo albero. L’albero padre iniziò a rimproverare suo figlio. “Smettila di essere un alberello così piccolo. Lascia che il vecchio ti tocchi, ti guarirà”. piccolo albero cominciò a piangere.

Il vecchio elfo saggio disse: “perché piangi piccolo albero?” L’alberello girò le foglie per vedere meglio l’elfo. “Ho male dalle mie radici alla punta della mia corona“, disse. “I miei rami sembrano tutti contorti e annodati. Il mio tronco sembra come se 1000 picchi stessero danzando su di me”. Mentre le sue lacrime continuano a cadere, aggiunse: “Mi sento più un salice piangente che una quercia reale”. I miei rami non possono contenere le colorate farfalle arcobaleno che prendono il volo. Con questo, il piccolo albero lasciò cadere i suoi rami che presero la forma di una corda pesante e bagnata. Il vecchio elfo saggio fece un passo indietro da sotto il piccolo albero. Rimase lì con tutti i suoi dispositivi magici, strofinandosi le dita sulla barba bianca come la neve. Le nuvole si stavano aprendo e la luce del sole iniziò a danzare giù dal cielo, riscaldando tutta la valle. Si potevano sentire le benedizioni delle fate dei boschi mentre si raccoglievano sulla spalla del saggio elfo che chiesero all’elfo cosa non andava nel piccolo albero. Sbrigati e aggiustalo così possiamo colorare le sue foglie con i toni della terra per il prossimo autunno. Il vecchio elfo saggio alzò le sue potenti braccia verso il cielo e chiese guida al creatore della foresta. Vedi, il vecchio elfo saggio aveva la magia che poteva fare molte cose meravigliose, ma non poteva guarire il piccolo albero. A lui, questo giovane albero sembrava proprio come qualsiasi altro piccolo albero nella foresta. Veniva da forti radici e da una famiglia di grazia ombreggiante. Il vecchio elfo saggio aveva visto crescere l’intera foresta dall’inizio dei tempi.

L’alberello appoggiò i rami del suo pesante fardello attorno a quelli di sua madre. Sono così spaventato per come mi sento. Fa male, mamma, e nessun uccello canterà le sue canzoni tra i miei rami perché non posso alzare le braccia al cielo. Perché ho questo dolore? Non è giusto che nessun altro albero della mia età si senta così. Tutto quello che sento è l’eco della presa in giro degli altri alberi della valle. “A volte vorrei che arrivasse un boscaiolo e…

Proprio in quel momento, una luce radiosa scese da una possente spirale dorata nel cielo, illuminando il volto del vecchio saggio elfo. Un suono sommesso e ronzante sibilò attraverso la valle finché non giunse all’orecchio del vecchio elfo. Piccolo albero, disse il vecchio elfo saggio. Il piccolo albero girò di nuovo le foglie per poter vedere il vecchio elfo. Tutto taceva nella valle. Anche il vento era diventato muto. Gli uccelli della foresta chinarono il capo in silenzio. Gli animali strisciarono fino al piccolo albero, pieni d’amore per il loro coraggioso, piccolo amico ramificato. Le fate circondano l’alberello, tenendo in mano sfere dorate di luce che erano riflessi del calore del sole.

Il vecchio elfo saggio camminò sotto il piccolo albero e sollevò la testa, guardando in alto tra i suoi rami. Alzò la mano per toccare uno dei piccoli rami pendenti. Sai perché senti dolore in tutti i tuoi rami?

No,” sussurrò l’alberello, mentre le sue foglie venivano accarezzate dolcemente dai rami di sua madre. L’elfo saggio convocò tutta la foresta per far si che il piccolo albero ascoltasse l’antica canzone della foresta. “Luce dorata nell’aria che respiro, toccando tutti i miei rami da te a me, siamo tutti rami dell’unico albero amorevole, benedici la foresta con la comprensione del dolore del nostro piccolo albero”.

Piccolo albero“, disse il vecchio elfo saggio, il nome del tuo dolore è Fibromialgia .

Quella parola fece zittire tutta la foresta.

La fibromialgia è una dolorosa condizione della tua corteccia. Può rendere le tue radici così dolorose che vorrai piangere, e va bene piangere. Devi capire che forse i tuoi rami non possono trattenere gli uccelli per farli cantare, ma possono trattenere i bruchi finché non nascono farfalle. Forse non sarai in grado di raggiungere tutti i tuoi rami verso il cielo per toccare il sole, ma la Terra a volte ha bisogno di ombra e i rami più bassi come i tuoi sono quelli perfetti. Sì, sentirai dolore perché nessuna foresta è perfetta. Tuttavia, devi ricordare che sei una quercia reale e sarai sempre un albero di forza e verità.

Pronunciate queste parole, l’intera foresta di alberi intrecciarono i loro rami per formarne uno. Il vecchio elfo abbassò la testa voltandosi verso le colline di casa. Uno sciame di fate illuminavano il suo cammino mentre il sole abbassava il volto nel cielo. L’autunno arrivò nella foresta e poi l’inverno. Passarono i mesi mentre il vecchio elfo saggio trascorreva le sue giornate compiendo azioni di bene in tutta la foresta. È stato il primo giorno di maggio quando una fata viola della passiflora è atterrata sulla spalla del vecchio elfo. ah”, disse il vecchio elfo saggio, “mi porti notizie del mio amico, piccolo albero“. Il vecchio elfo accoccolò la fata nella tasca del panciotto e disse che avrebbe fatto vedere il piccolo albero di persona.

I campi erano di un giallo senape e il profumo del dente di leone ammantava le mezzelune primaverili. La strada tortuosa sembrava ripida per il nostro anziano amico. Quando giunse alla radura, nuvole di cime ondeggianti e bianche proiettavano ombre sulla terra sottostante. In cima alla collina c’era un piccolo albero, che non era così piccolo come prima. Il vecchio elfo dei boschi salì la collina fino al tronco del suo piccolo amico. Ciò che vide non era lo stesso di quasi un anno fa. L’alberello girò le foglie per poter salutare il suo amico di lunga data. “Piccolo albero“, esclamò il vecchio elfo saggio, “I tuoi rami sono pieni di farfalle dai colori chiari e le tue radici sbocciano i fiori più belli che crescono in qualsiasi ombra della foresta.” Il piccolo albero parlando con una voce di fiducia, un po di forza e con tranquillità, disse: “Vecchio saggio, presta attenzione alle viti della foresta che crescono intorno a me.”

L’elfo vide come le viti della terra erano cresciute su rami del piccolo albero e lo avevano avvolto e assicurato con il loro sostegno. Saggio vecchio elfo, disse il piccolo albero, “ogni giorno nella nostra foresta mi sveglio con dolore. Prego ancora il grande creatore della foresta di liberarmi dalla fibromialgia, nella speranza che un giorno la mia corteccia guarirà. Ma devo dirti che qui non c’è pietà, solo coraggio. Il coraggio viene dai miei amici della foresta che mi aiutano ogni giorno con la fibromialgia. Quando la pioggia cade troppo in fretta e ferisce le mie membra, i vecchi alberi torreggianti piegheranno i loro rami su di me per tenermi asciutto.

Il sole danza calore sulla mia corona che aiuta il dolore ogni mattina, specialmente dopo la pioggia. Il vecchio elfo saggio mentre toccava uno dei rami del piccolo albero disse: “Nella nostra foresta, un giorno spazzeremo via la fibromialgia. Fino ad allora, alberello, ci oscurerai tutti con il tuo coraggio e la forza della bellezza che racconti”. E con questo, il vecchio elfo dei boschi abbracciò l’alberello mentre le fate danzanti cantavano le canzoni delle api dei boschi.

Fine

L’araba fenice

Questa è la mia storia, una parte della mia vita vissuta con una malattia cronica ed invalidante. L’ho scritta in pieno periodo del lockdown. Oggi, nel 2023, non siamo più chiusi in casa e il virus SARS-CoV-1 è diventato una semplice influenza, così dicono gli scienziati.

Ricordo che era il 31 dicembre 2019 e la Cina comunicava la diffusione di un “cluster” di polmoniti atipiche di origine virale. Da quella data, panico nel mondo. C’è chi minimizzava e chi enfatizzava. Alcuni Stati, come l’Italia, senza un Piano di Emergenza per una Pandemia, ci chiudono in casa ed io per non annoiarmi, oltre a lavorare da casa, mi mettevo a scrivere. Pensai che sarebbe stato interessante scrivere un libro sulla vita di chi vive con una malattia cronica, attraverso le testimonianze delle dirette interessate, cioè di chi, tutti i giorni, con i figli, con un lavoro o senza, vive, si fa per dire, con una malattia cronica ed invalidante, non riconosciuta dall’Italia ma definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come una malattia reumatica inclusa, nello stesso anno, 1992, nella decima revisione dello International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems con questo codice: ICD-10, codice M79-7, entrata in vigore poi il 1° gennaio 1993. Mi hanno sempre fatto credere che io avessi la fibromialgia per poi scoprire, in seguito, per puro caso, di non avere solo quella ma, altro, molto altro di più. Di quello che scoprirò dopo la fibromialgia, ho intenzione di raccontarlo in seguito, si comincia da qui, dalla Fibromialgia.

La mattina è sempre più difficile alzarsi: è durissima, ma devo lavorare. Non posso ancora andare in pensione: sono ancora troppo giovane secondo i regolamenti.

Compirò 61 a luglio del 2023, ma anche se lavoro da tanto tempo non ho i contributi sufficienti che mi permetterebbero finalmente di godermi un po’ di riposo.

Ho sempre contratto problematiche di salute da piccola. All’età di tre anni, sono stata operata alle tonsille perché non respiravo bene: mi hanno levato anche le adenoidi. Tra i dodici e i quindici anni ho accusato i primi mal di testa. Mio padre, comprensivo, mi portò da numerosi medici.

Per alcuni di loro, le mie condizioni erano dovute allo sviluppo del menarca precoce, sviluppato a dieci anni. Più tardi ho avuto problemi di vista, ed ho messo gli occhiali: certamente il tutto non soddisfaceva la mia famiglia che si adoperava a farmi fare più consulti per vedermi stare meglio ma poi altri problemi si ripresentavano. All’età di diciotto anni, mi rimossero dei polipi all’interno del naso perché avevo sempre dei forti raffreddori che duravano mesi. Forse poca cosa rispetto a problemi più gravi ma, in ogni modo, si andava avanti si sopportava una cosa dopo l’altra. Ero giovane e, vuoi l’età, vuoi qualche soluzione provvisoria, la mia vita scorreva così.

Nel 1985 mi sono sposata e sono andata a vivere in un’altra città. Sono nata a Napoli, sono una donna del sud e con mio marito mi sono trasferita in Toscana. Per quindici anni ho vissuto in provincia di Arezzo ma poi ci siamo trasferiti a Firenze: vivo in questa Regione ormai da quasi quaranta anni. Nel 1992 nasce il mio unico figlio, Davide, con parto cesareo.

Dal 1985 fino ai primi anni del ‘90 ho avuto problemi alla schiena. Discopatie, ernie che mi hanno portato forti dolori che risolvevo, quando mi era possibile (economicamente parlando) sia con esercizi inerenti alla ginnastica posturale sia con massaggi: quando i dolori erano insopportabili ricorrevo ad antidolorifici con prescrizione medica.

Inoltre come se non bastasse emersero problematiche di cefalee, che si presentavano e continuano a presentarsi frequentemente, spesso anche costringendomi a far riferimento al centro specializzato di un noto ospedale della città. Dopo la maternità, questa problematica è incrementata e non è mai andata via del tutto.

Iniziano poi i problemi allo stomaco. Gastriti, ulcere, mucosa di Barrett , problemi che mi costringono ancora oggi a gastroscopie da fare una volta all’anno o quando il gastroenterologo lo consiglia.

Non basta: analisi e rettoscopia mi diagnosticano il colon irritabile da stress.

Nell’anno 2016 subisco un intervento al braccio sinistro per compressione del nervo ulnare, fui costretta perché non avevo più l’uso del braccio.

Precedentemente ho avuto problemi anche alle spalle, soprattutto quella destra, ed oggi anche quella sinistra: per l’assottigliamento di un nervo, il reumatologo da me consultato voleva intervenire chirurgicamente.

Dopo essermi informata tramite colleghe col medesimo problema e constatato che, nonostante l’operazione, nessuna di loro aveva riscontrato miglioramenti, decisi di desistere. Ancora oggi ho fortissimi dolori.

Nel 2015 il mio primo contatto con la fibromialgia.

Iniziai a non sentirmi bene: ero particolarmente stanca e pensavo fosse influenza, oppure la stanchezza della mie frenetica routine.

Mi facevano male le gambe e facevo fatica a camminare: dolori ovunque.

Pensai ad un virus influenzale e presi il paracetamolo. Andai avanti così per qualche tempo ma i dolori aumentarono a tal punto che mi accorsi di non avere più sensibilità dal bacino in giù.

Purtroppo ricordo bene quel periodo, perché fu l’anno della tesi di mio figlio. Strano vero? Tuo figlio, sempre andato bene a scuola, borse di studio, premi, soddisfazioni enormi: arriva il giorno della laurea e tu sei più felice del solito, sei si stanca ma felice perché vedi realizzare un sogno, uno dei bei sogni del tuo ragazzo e di tutta la famiglia. Era il 1 dicembre del 2015: non posso dimenticare quello che è avvenuto dopo.

Mi portano così al pronto soccorso. Quel giorno lo ricordo bene. Avevo paura, tanta paura. Mi sottopongono a numerosi esami ma fortunatamente sono tutti buoni; gli stessi medici che mi visitano non sanno spiegarsi quei sintomi. Alla fine, il medico di turno mi disse che mi avrebbe fatto visitare da un neurologo e fece lui stesso le carte per affidarmi a questo specialista.

Fui fortunata: mi affidarono al primario di neurologia di quella struttura. Intanto la mia paura aumentò insieme ai miei dolori: quella sensazione di non avere sensibilità, quelle scosse che avvertivo quando mi toccavo le gambe erano sempre li : sentivo le gambe pesantissime come se fossero di cemento.

Passano 9 mesi tra esami di tutti i tipi, risonanze al cervello, radiografie, ecografie, esami ematici di tutto e di più. Nel frattempo perdo i capelli. Stress, confermato anche da un dermatologo al quale mi rivolgo.

9 mesi durante i quali mi imbottiscono di farmaci per alleviare i dolori, i quali si attenuano ma non di tanto, quel poco da permettermi di non stare ferma immobile nel letto.

Farmaci che mi portarono anche ad un notevole aumento di peso che non aiutava; mi si continuava a dire che non sapevano cosa darmi e che, soprattutto, non sapevano cosa io avessi.

Alla fine, quando tutti gli esami furono finiti e non vi era nulla che giustificasse quella condizione, il neurologo pronunciò la diagnosi: fibromialgia.

Ricordo ancora oggi la mia perplessità: chiesi subito al medico cosa fosse, che cos’era questa malattia, perché non ne avevo mai sentito il termine.

Non è una malattia, è una sindrome.” Sì, perché la fibromialgia non è riconosciuta come malattia.

La fibromialgia non è riconosciuta come malattia: per molti medici, sia per la scarsa formazione sulla malattia, sia per incredulità e sfiducia nei confronti di molti/e di noi, la fibromialgia non esiste per alcuni medici. Spesso si crede che sia un’invenzione, o comunque un surrogato utilizzato come capro espiatorio per altre problematiche.

Non ci sono farmaci che la curano e si sa poco o nulla; c’è, diciamo, una sorta di confusione scientifica, discordanze tra branche specialistiche della medicina.

La mia seconda domanda, lo ricordo come se fosse oggi, fu se questa sindrome fosse ereditaria: avendo un figlio mi preoccupai subito per lui, pensai che se fosse stata ereditaria io mi sarei sentita responsabile anche di aver trasmesso una malattia a mio figlio.

Il medico mi tranquillizzò. Ad oggi alcuni studi affermano che la sindrome è ereditaria ma su linea femminile. Tirai un sospiro di sollievo. La ricerca, la poca ricerca che è stata fatta su questa sindrome, ha rilevato nel mondo pochi casi di fibromialgia in soggetti maschi. Oggi che c’è più consapevolezza sulla sindrome, se ne parla e se ne discute di più e questa tesi è smentita da tantissimi esperti reumatologi, algologi e neurologi che se ne occupano: non solo sono colpiti in misura minori anche i maschi ma si è a conoscenza anche di casi di fibromialgia su bambini e adolescenti ma si continua a non conoscerne la causa.

Iniziò così la cura a base di farmaci che servirono solo ad alleviare i dolori. Sono farmaci che curano l’epilessia e la depressione. Questi farmaci agiscono sul sistema nervoso e alleviano i dolori. Altre cure non ce sono, esistono solo espedienti e rimedi farmacologici per alleviare i dolori.

Mi prepararono un piano terapeutico che ogni tre mesi dovevo rinnovare composto da Cymbalta 60 mg, (contiene la duloxetina, un principio attivo che serve per il trattamento delle depressioni maggiori, dei disturbi d’ansia e dei dolori causati da neuropatie periferiche) e da Lyrica 75 mg (Pregabalin è un antiepilettico-anticonvulsivante che trova indicazione specifica nel trattamento del dolore neuropatico centrale e periferico).

Tutto questo a vita, se volevo stare bene e condurre una vita normale.

Mi fu consigliato anche di condurre una vita normale senza stress e senza preoccupazioni.

Utopistico e irrealizzabile, ma furono queste le uniche raccomandazioni del neurologo al quale fui affidata quel 1 dicembre del 2015.

Sembrerà strano ma alla fine di questo calvario mi ero un po tranquillizzata, poiché sapevo cosa mi aveva colpito: nonostante fosse una sindrome sconosciuta e senza cura, sapevo. La mia mente non era più invasa da pensieri cattivi, non sarei morta, non era un male di quelli che fanno paura anche a parlarne: il cancro. No, nulla di tutto questo.

La fibromialgia, detta anche sindrome fibromialgica o sindrome di Atlante, è una sindrome reumatica idiopatica e multifattoriale che causa l’aumento della tensione muscolare, specie durante l’utilizzo degli stessi, ed è caratterizzata da dolore muscolare e ai tessuti fibrosi (tendini e legamenti) di tipo cronico – diffuso, fluttuante e migrante – associato a rigidità, astenia (calo di forza con affaticabilità), insonnia o disturbi del sonno, alterazioni della sensibilità (come eccessiva percezione degli stimoli) e calo dei livelli di serotonina, con possibili disturbi d’ansia e depressivi in parte dei pazienti. E’ conosciuta anche come la malattia dei 200 sintomi.

Ecco cosa mi aveva colpito. Sono una donna molto curiosa, mi piace leggere, mi piace documentarmi, mi piace studiare e comincio le mie ricerche su questa sindrome.

Mi imbatto in diverse associazioni o presunte tali. Li contatto, scrivo lettere per documentarmi, per avere delle risposte, informazioni più dettagliate, più “fresche”.

Vorrei fare una premessa, mi sento in dovere di farla. Non conoscevo il mondo delle associazioni dei malati ma, già dal mio primo contatto che prendo con il presidente di una di queste, capisco che sarà dura interagire con esse.

Noi malati di fibromialgia proviamo in tanti modi a farci sentire ma essendo una malattia di cui ancora la scienza non ha scoperto la causa non c’è attualmente nessun esame diagnostico che ne dimostra la presenza nell’individuo: siamo poco ascoltati, non considerati e in molti casi non creduti. In più i medici tendono a pensare che sia una malattia da depressione, il che può essere anche vero visto che con dolori continui tutto il giorno in depressione è possibile caderci davvero. E’ ovvio che c’è qualcosa di più. Ma cosa sia attualmente ancora non si sa.

La prima di queste associazioni nella veste del presidente mi chiama anche sul cellulare. Quando scrivo a qualcuno, lascio sempre tutti i miei recapiti, desidero essere “visibile” e rintracciabile. Dice che capisce tutto, comprende perché in casa sua lui vive la stessa condizione con la moglie, insomma un sacco di parole ma non è che mi soddisfi più di tanto. Comincio a documentarmi da sola con Internet. L’inferno, la confusione più totale, trovo di tutto, santoni o presunti tali che affermano di guarirla, che promettono miracoli con prodotti naturali, insomma il caos assoluto.

Nel frattempo i farmaci che assumo incominciano a darmi noia allo stomaco. Mi rivolgo al medico e questi ne aggiunge un altro. Un “salva stomaco”, si chiamano comunemente così, servono a questo, proteggono la mucosa dello stomaco per non fartelo “bucare” ma per il mio corpo, è un farmaco aggiunto.

Tra le mie ricerche nel mondo della rete, mi imbatto in un sito dove si parla di cannabis terapeutica.

La cannabis terapeutica, definita anche “l’oro verde”, viene utilizzata in tante patologie.

Si va dall’emicrania alla sclerosi multipla, passando per glaucoma, Parkinson, Alzheimer, dolori cronici e neuropatici, anoressia, cachessia, diverse forme di epilessia e molte altre patologie.

Insomma, era interessante e mi sono detta perché non provarla? Mi informo sulle strutture dove viene prescritta e trovo quella più vicina a me.

Incontro un medico il quale, dopo avergli raccontato tutto il mio calvario, mi propone la cannabis terapeutica. In quella struttura c’era e vi è ancora un protocollo da seguire.

Mi attengo al protocollo. Inizio l’assunzione della cannabis terapeutica, prima in decotto dal sapore discutibile e poi successivamente, sempre attenendomi al protocollo, inizio con l’olio di cannabis.

Betrocan in olio, da assumere una volta al giorno, la sera, per 15 gocce al giorno THC 19%. Via via sospendo interamente tutti i farmaci.

Devo ammettere che per i primi mesi cominciai a star molto meglio. Non sentivo più la stanchezza, mi sentivo più in forma, avevo sempre i miei dolori ma in modo molto più attenuati. Faccio tanto, mi dedico all’attività di volontariato per la mia sindrome, raccolgo firme, invio email a tutte le testate giornalistiche, mi occupo come sindacalista delle problematiche sul lavoro per tutti quelli che sono nella mia stessa condizione, dormo bene e meglio: insomma, la vita scorre, va avanti. I farmaci ormai sembrano un lontano ricordo ma non vengono sospesi del tutto.

Ecco però che incominciano i primi problemi.

Iniziano i primi mal di testa. Come accennavo prima, ho sempre sofferto di cefalee, ma questi dolori alla testa erano diversi. Io la cefalea la conoscevo bene, questi dolori non erano simili a quelli che ricordavo aver avuto.

Avevo la sensazione di avere dei chiodi piantati, una volta in fronte e altre volte alle tempie ed erano dolorosissimi.

La frequenza inizialmente era di una o due volte al mese, poi diventarono sempre più numerosi fino ad arrivare tutti i santi giorni.

Per non parlare poi dei cambi di umore, della rabbia per futili motivi, della pressione alta, delle palpitazioni, della sincope che mi colpì, dell’aumento della pressione oculare, insomma una serie di sintomi che via via accusavo e che non avevo mai avuto prima, una problematica alla volta, si presentano una alla volta e me li dovevo tenere e curare naturalmente.

Soldi spesi tra visite specialistiche e nuovi farmaci da assumere.

Sono ancora in contatto con il medico che mi aveva prescritto e continuava a prescrivermi la cannabis confermando il piano terapeutico anche se al corrente di tutti questi numerosi effetti collaterali.

Continuo ad attenermi alle regole, seguo tutte le indicazioni: alla fine, dopo l’ennesimo mal di testa della giornata, non resisto più e rinuncio alla cannabis, perché gli effetti collaterali da me elencati, sono tutti da imputare alla cannabis terapeutica secondo a quanto dicevano i medici ai quali mi rivolgevo per i miei problemi di salute. Quindi inizio la sospensione della cannabis: alla fine cede, dietro mia insistenza, anche il medico che mi aveva suggerito di assumerla, non senza polemiche.

Ormai ero distrutta.

Ritorno mio malgrado ai farmaci con gradualità e dietro naturalmente prescrizione medica. Non stavo benissimo, avvertivo rigidità alle gambe, pesantezza, difficoltà nella deambulazione, mi sembrava di essere tornata allo stato iniziale della malattia.

A marzo del 2018 cambio medico e struttura ospedaliera. Da lì a poco avrei dovuto rifare tutti gli esami: già tre giorni fissati in una nuova struttura ospedaliera per degli day service dove sarei stata sottoposta nuovamente a tutti gli esami. Qualcuno potrebbe chiedersi il perché mi sia sottoposta a tutti gli esami sapendo di avere questa sindrome.

Questa è seriamente è una delle cose più tristi di questo mio calvario.

Quando mi sono recata in questa nuova struttura ospedaliera per il mio caso e faccio presente che sono anni che convivo con questa condizione , il medico che mi è stato affidato dal S.S.N., dopo avergli fatto vedere tutte la lunga documentazione riconducibile alla mia sindrome e dopo avergli detto che stavo malissimo, che avevo dolori ovunque nonostante i farmaci che assumevo elencati sopra, disse che lui non metteva in discussione le certificazioni dei professionisti che mi avevano visto in tre anni prima di lui, ma suggerì di ricominciare dall’inizio.

Le sue parole furono queste:

Vede signora, non metto in dubbio tutto quelle che lei mi riferisce circa la sua condizione di salute ma di solito i medici quando i pazienti dopo i vari esami ai quali li sottopongono, non riscontrano nulla, affermano che è fibromialgia. Se permette, vorrei ricominciare dall’inizio per essere certo che lei, seriamente non abbia nulla oppure potremmo scoprire qualcosa che è sfuggito ai miei colleghi che mi hanno preceduto o ancora, ultima ipotesi il suo problema è di ben altra natura”.

Non voglio e non ho voluto sapere a quale natura stesse pensando quel medico, non voglio, mi rifiuto di pensare, mi rifiuto.

Quando sono uscita da quella struttura, mi sono venute in mente le parole del primo medico al quale mi affidarono, ricordo che era il primario di neurologia dell’ospedale dove fui portata la prima volta.

Signora, non si preoccupi, non si allarmi, lei deve solo condurre una vita normale, il più normale possibile ma soprattutto, mi raccomando, conduca una vita quanto più serena possibile, senza troppi stress e senza troppe ansie”.

Dopo i tre giorni di day service in questa struttura, dai numerosi esami alla quale fui sottoposta è risultato che, oltre ad essere affetta dalla sindrome fibromialgica, sono affetta da spasmofiliaca concomitante e ipovitaminosi D (carenza di vitamina D).

Ebbene, oggi alla luce di tutto quanto mi è accaduto mi sta accadendo e non so ancora quanto finirà questa storia, io vi chiedo: può una donna che ha passato gli ultimi anni in queste condizioni, rimanere tranquilla e serena? Voi lo sareste?

Lascio la risposta a chi leggerà questa mia storia, nel frattempo io vado avanti, cerco di fare tutto quello che la mia poca forza mi permette di fare ma credetemi, rimanere serena in questo modo, è la cosa più difficile che io possa fare. Io non ci riesco, ma mi sforzo tantissimo!

Però, come dice sempre una mia carissima amica, io riesco sempre in tutto, sono forte, lei mi dice che sono come la “fenice”.

L’ araba fenice è un essere mitologico. Un uccello che vive 1000 anni, poi emigra in Africa in Etiopia dove prende fuoco e brucia. Quando il fuoco si spegne restano solo le ceneri che al sorgere del sole fanno nascere una nuova fenice. Essere una fenice significa non abbattersi, significa rialzarsi quando ti danno già per spacciato.

Non voglio deludere la mia amica, in fondo credo che abbia ragione. Sono come l’araba fenice. Mi sono sempre rimboccata le maniche, mi sono sempre rialzata e ho sempre combattuto per le ingiustizie, per i più deboli, ho fatto tanto e voglio continuare a combattere anche nelle mie condizioni di salute non del tutto buone.

Oggi, purtroppo il mio stato di salute è peggiorato. Sono sopraggiunti altri sintomi ed è ricominciato per me, per la mia famiglia, nuovamente, il travagliato girovagare tra medici, esami e strutture ospedaliere alla ricerca di una cura, di risposte che spesso, molto spesso, contrastanti tra loro.

Quello che ho scoperto, hanno scoperto i medici ai quali mi sono rivolta, in un prossimo racconto, se avrete la voglia di seguirmi e di leggerlo, sarà interessante, intrigante, e stimolante.

A questo punto del racconto, mi piace ricordare, non solo per non deludere la mia amica ma per chi leggerà, una frase di Antonio Gramsci:

Anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio“.

L’ho fatto, purtroppo. Tutto è ricominciato e lo scoprirete in un successivo post.

Rosaria Mastronardo