Incertezza, insicurezza e dubbi che si sono insinuati in me, negli anni, dopo la diagnosi di fibromialgia.

Una cosa che mi sorprende continuamente quando si tratta di fibromialgia, è l’insicurezza. Sono facilitatrice di due gruppi di auto aiuto da diversi anni, e ho sempre sentito tutti coloro che partecipano ai gruppi che facilito, affermare che i tanti professionisti medici consultati lungo il percorso di diagnosi e “non cura”, ancora oggi, nonostante la letteratura immensa a disposizione, non credono che il nostro dolore sia reale. In alcuni casi nel racconto sento emergere che una parte, tutt’altro che irrisoria, di questi “luminari”, mette addirittura in dubbio l’esistenza della fibromialgia come vera e propria malattia fisica, ed afferma in maniera più o meno palese, che si tratti invece di un insieme di sintomi provocati da malattia psicosomatica, per cui psichiatrica. L’insicurezza, l’incredulità e la diffidenza non caratterizzano solo l’atteggiamento dei medici ma anche quello dei nostri amici e familiari, per non parlare poi del luogo di lavoro. E’ un continuo, è un tormentone che ci penalizza e ci abbatte, ci avvilisce ogni giorno.

Penso che l’insicurezza e l’incertezza da parte dei medici sia sicuramente “frutto” delle poliedriche teorie sull’origine della malattia, tanto che si sono sviluppate, nel tempo, decine di correnti di pensiero al riguardo, facendo sì che idee e preconcetti si moltiplicassero senza limiti nella confusione generale. È risaputo che non esiste ancora un test ematico che possa rilevare, tramite marcatore specifico, che ci si trovi inconfutabilmente in presenza di Fibromialgia, e nemmeno esiste un esame diagnostico che attesti che noi siamo affetti da questa malattia.

Il medico, spesso un reumatologo, ti rivolge qualche domanda sul dolore che provi, e tu racconti che lo senti martellante, sordo, a tratti insopportabile. Se l’uomo che ti sta davanti con il suo bel camice bianco ne ha voglia, allora si alza dalla scrivania, ti tocca in alcuni punti del corpo, e se toccandoli reagisci rientrando in “certi canoni”, emette la fatidica diagnosi: fibromialgia, punto. Punto? Sì, punto. Perché tutto finisce lì, nonostante in scienza e coscienza ed anche in base ad un tacito accordo, quasi un protocollo, prima di formulare detta diagnosi, l’uomo con il camice dovrebbe indagare per cercare di escludere tutte le altre malattie che possano avere identici sintomi, hai visto mai che si possa prendere in tempo una malattia diversa da quella del sacco contenitore, quello con il marchio Fibromialgia, dove finiscono tutti coloro che non avranno mai una cura. In pratica, i sintomi di malattia che tu riferisci di provare bastano a far scattare nello specialista il desiderio di fermarsi, per risparmiarsi le prescrizioni di altre indagini. Ciò che spinge il medico a refertare la diagnosi è la presenza di alcuni sintomi, fra quelli annoverati in un lunghissimo elenco, genericamente da associarsi, per convenzione, alla fibromialgia. Quindi è l’appartenenza di un sintomo a questo elenco a scatenare una diagnosi, quasi sempre molto affrettata, e non un esame di laboratorio.

Altra cosa sono i parenti, amici e datori di lavoro che mettono costantemente in dubbio il tuo provare dolore, il tuo stare male, la tua stanchezza cronica, la tua affaticabilità, la tua scarsa concentrazione. Ecco allora che nascono tutti gli epiteti più cattivi e ingiusti. Sei una fannullona, non hai voglia di fare nulla, sei depressa, vatti a fare una camminata, fatti una vacanza, trovati un buon compagno, e vedrai che ti passa, etc, etc.

Ci isoliamo, ma al tempo stesso siamo evitati, fino al punto di essere completamente emarginati, rischiamo di essere licenziati da un datore di lavoro che guarda la produzione e che se ne infischia della tua fatica quotidiana nel gestire tutta la devastazione del tuo corpo ad opera di una malattia subdola, che quando ti prende sei sua per sempre, avvolta nelle sue spire sempre più strette. Per noi la vita diventa l’inferno. E’ un cane che si morde la coda, non hai scampo. Soffri per il dolore che nessuno vede, e in più sei anche stigmatizzato.

Tutto questo l’ho vissuto in prima persona e l’ho rivissuto ascoltando nei gruppi di auto aiuto, le testimonianze di altre/i nelle mie stesse condizioni. Quelle testimonianze erano copie conformi della mia situazione di malattia e sofferenza, uguali identiche.

Qualcuno riesce ad uscire da questo impasse, altri no, ma come biasimare questi ultimi. Noi siamo esseri umani e non siamo tutti uguali, ogni soggetto reagisce in modo diverso agli stimoli esterni, fisici e patologici, e le cure vengono sopportate da ciascuno in modo tutt’altro che standardizzato. È il motivo per cui a contatto con una certa sostanza c’è chi va in anafilassi e chi la tollera tranquillamente. Dovrebbe essere normale saperlo, per un medico, ma non è sempre così. Probabilmente perché molti medici si sono talmente abituati ad avere nel cassetto della loro scrivania il manuale dei protocolli al posto del giuramento di Ippocrate, che si sono disabituati al ragionamento preferendo agire prevedendo una loro tutela giuridica in caso nascesse una controversia legale nei loro confronti a causa di un errore medico.

Tutto quello che ho descritto, immaginate, per me è iniziato nel 2015, anno della diagnosi di Fibromialgia.

Premetto che la “sentenza” mi venne fatta da un neurologo. Fui colpita, in quel momento orribile della mia vita, da forti parestesie alle gambe. Non avevo sensibilità dal bacino in giù, le mie gambe non erano più fatte di carne, ma dure come cemento, al punto che non camminavo più e mi trascinavo letteralmente. Dopo circa un anno passato in quel modo, il neurologo emise il fatidico verdetto: “Fibromialgia”. Nella vita di chi riceve questa diagnosi, esiste una “vita prima” e una “vita dopo” la diagnosi, completamente stravolta rispetto alla prima. Da quel momento ad oggi, i vari medici che ho consultato mi hanno prescritto e consigliato di tutto, ed anche l’esatto contrario di quel tutto. Consigliato e prescritto a seconda della teoria del momento. Hanno seguito alla lettera tutto ciò che i “famosi” protocolli indicavano per il trattamento del paziente con fibromialgia. Per cercare di mascherare o attenuare il dolore, non hanno prescritto altro che farmaci presi a prestito da altri protocolli di cura, e che servirebbero per trattare ben altro, visto che, come noto, non c’è cura, non c’è nulla che possa risolvere i sintomi della fibromialgia.

I farmaci che di prassi si prescrivono in quest’ambito, poiché non curano ma cercano solo di tenere a bada un sintomo senza risolverne la causa, non impediscono a quest’ultima di continuare imperterrita a manifestarsi tramite il dolore, ed il dosaggio del farmaco, creando assuefazione, dev’essere aumentato sempre più, fintanto che anziché essere efficace, crea solo danno e dev’essere sospeso. Si prova un altro farmaco, e l’epilogo è lo stesso di quello precedente. Se paragonassimo banalmente la malattia all’acqua che sgorga dal rubinetto senza poterne chiudere il flusso, e fingessimo che il tappo del lavandino fosse il farmaco, ci accorgeremmo che il tappo non potrà nulla se l’acqua continuerà a scorrere nel lavandino, che si riempirà fino a far fuoriuscire l’acqua che continuerà imperterrita a scorrere fino ad allagare prima la cucina (un organo), e poi la casa (l’intero corpo umano).

A dimostrazione dell’immenso danno che provoca una delle regole stabilite nel protocollo di diagnosi della fibromialgia, che impone al medico, dopo la diagnosi, di non prescrivere più alcun accertamento diagnostico, nel corso di questi anni, in via del tutto accidentale, mi sono state diagnosticate via via altre patologie, croniche ed autoimmuni. Farò l’elenco, attenzione però, non a scopo vittimistico, lo farò perché mi sono sorti dei dubbi, dubbi che si rafforzano anche con il sentire, conoscere storie come la mia tramite il racconto di altri malati che si sono trovati nelle mie stesse condizioni, cioè aver avuto la diagnosi, il marchio “fibromialgia”, ed aver trovato, da quel momento in poi, un muro di gomma di fronte ad ogni richiesta di aiuto, perennemente inascoltati, marchiati come pazienti con diagnosi di malattia incurabile o immaginaria. Mentre subivo tutto questo, covavo ben altre malattie dentro di me, che purtroppo si sono evidenziate quando ormai non potevano più essere ignorate nemmeno dal più stolto degli uomini con il camice bianco.

Ecco l’elenco, non in ordine di diagnosi medica:

Fibromialgia, Artrite Psoriasica, Psoriasi, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteocondrite di 4° livello alle caviglie , Spasmofilia, Artrosi mani e piedi.

Quali sono i dubbi che oggi mi assalgono?

Sono fibromialgica e tutte queste malattie sono correlate ad essa?

Non sono fibromialgica e quel giorno, il giorno in cui le mie gambe erano diventate di cemento e avevo perso la sensibilità, non erano altro che una sorte di “campanello di allarme” di tutto quello che poi è venuto dopo?

Come sapete tutti, non sono un medico, non ho studiato medicina, ma da malata mi pongo tante domande, ragiono tanto su tutti questi anni, 8 lunghissimi anni passati con dolori sempre più forti, anni in cui ho dovuto necessariamente gestire e sopportare incomprensioni, accrescere consapevolezza e coltivare pazienza, in mezzo a visite, esami e tanto tanto altro che non mi va di raccontare, ma che purtroppo ho vissuto. Sono giunta ad una conclusione e ripensando ad un proverbio che recita “E’ un gran medico chi conosce il suo male” ho maturato l’idea che la fibromialgia sia solo un campanello d’allarme, un’avvisaglia, e come tale sia la punta dell’iceberg di altre malattie.

E non essendo un medico, da anni parlo e scrivo solo per raccontare la mia esperienza personale, e quando nei gruppi che facilito, ascolto le storie di persone che soffrono come me, mi accorgo che in maniera simile a me, negli anni della loro vita di “fibromialgici” hanno sviluppato ben altre malattie, molte di esse di origine autoimmune.

Quindi ciò che mi domando sempre più insistentemente è: la Fibromialgia esiste come malattia a sé stante, oppure è una sindrome vera e propria, un insieme di sintomi che si manifestano in presenza di altre malattie che per comodo non vengono più ricercate, coperte dal mantello Fibromialgia, lasciando che esse stesse progrediscano fintanto che non esplodono nella loro gravità?

Sono dubbi legittimi, di una malata cronica che non ne può più di sopportare il male che non passa mai, e l’immobilismo, l’ignoranza, la mancanza di empatia e di ascolto.

Rosaria Mastronardo

I sintomi della fibromialgia peggiorano nel tempo?

N.B.

Tutte le informazioni mediche incluse in questo testo si basano su esperienze personali. Per domande o dubbi riguardanti la salute, si prega di consultare un medico o un professionista, SEMPRE.

La fibromialgia è una condizione progressiva?

È una domanda controversa che circola frequentemente nella comunità dei fibromialgici. Molti professionisti medici dicono di no, ma molti pazienti tendono a non essere d’accordo. Questo articolo non intende “prendere una posizione“, ma piuttosto avviare una discussione condividendo sia la ricerca che le esperienze vissute di chi soffre di fibromialgia.

Innanzitutto, è importante chiarire esattamente cosa significa “progressiva“. Secondo la National Library of Medicine degli Stati Uniti , una malattia progressiva è definita come: “Una malattia o disturbo fisico il cui decorso nella maggior parte dei casi è il peggioramento, la crescita o la diffusione della malattia.” Le malattie possono essere rapidamente progressive (in genere da giorni a settimane) o lentamente progressive (da mesi ad anni). Diverse malattie che sono state ufficialmente riconosciute come progressive sono la fibrosi cistica, l’artrosi, il morbo di Alzheimer e alcuni tipi di sclerosi multipla. In breve, una malattia progressiva peggiora nel tempo e fa sì che la persona peggiori dal punto di vista della salute e della sua capacità funzionale.

Anche se molti pazienti con fibromialgia hanno dichiarato che i loro sintomi sono peggiorati nel tempo, molti professionisti medici ritengono che la fibromialgia non possa essere definita una condizione progressiva, poiché non segue sempre la stessa traiettoria per ogni paziente.

Alla domanda se la fibromialgia è progressiva, il dottor Kevin Fleming della Mayo Clinic Fibromyalgia and Chronic Fatigue Clinic ha dichiarato al National Pain Report :

In breve, no. La fibromialgia (FM) è considerata un disturbo dell’elaborazione del dolore nel sistema nervoso centrale, in particolare nel cervello. I sintomi della FM aumentano e diminuiscono e possono progressivamente peggiorare in alcuni pazienti, ma la FM non è progressiva nel senso medico che è non deformante, non degenerativa e non fatale (a differenza, ad esempio, del lupus o del morbo di Parkinson).

Più a lungo si hanno sintomi di dolore, maggiore è stato il dolore e più sono presenti anche sintomi fisici non dolorosi, più è probabile che i sintomi rimangano cronici. Ma i sintomi possono e migliorano, consentendo la normale funzione quotidiana, anche se i sintomi del dolore non si risolvono mai completamente. Sebbene l’origine della FM rimanga poco chiara, la fibromialgia è probabilmente in parte una risposta a fattori ambientali in individui geneticamente predisposti“.

Il Dr. Richard Podell invece, del The Podell Medical Practice nel New Jersey ha aggiunto:

Per la maggior parte delle persone con fibromialgia moderata o grave, ci sono periodi migliori e peggiori, ma di solito non è una progressione importante. Per altri si verifica la progressione. Per questo motivo il medico dovrebbe controllare se vi sono altre condizioni coinvolte nel peggioramento, ad esempio diagnosi come Lyme, problemi di sonno, depressione, dischi spinali, ecc.

Gli studi hanno dimostrato che quelli con fibromialgia possono sperimentare sintomi fluttuanti per tutta la vita. È possibile che le condizioni di una persona diminuiscano, quindi migliorino e così via, ed è anche possibile che le persone affette da fibro sperimentino periodi di remissione. Ognuno è diverso, quindi ne consegue che non esistono due persone che condividono lo stesso identico viaggio con la loro condizione.

Ma anche se molti professionisti medici potrebbero non credere che sia corretto classificare la fibromialgia come progressiva, ciò non significa che siano tutti contrari all’idea che i sintomi della fibromialgia possano peggiorare nel tempo per alcune persone. Alcuni medici ritengono che una progressione dei sintomi possa essere attribuita a fattori quali:

  • Sintomi non ben gestiti;
  • Alcune cause sottostanti (sono necessarie ulteriori ricerche);
  • Non essere in grado di essere auto-sufficiente a causa del dolore;
  • Mancanza di educazione sulla condizione;
  • Condizioni di comorbidità;
  • Fattori di rischio come stress cronico, depressione o disturbi del sonno.

La mia opinione personale che dettaglierò, nasce dalla mia esperienza con la FM. Almeno così sembrava essere la diagnosi dei medici, la prima volta che fui portata al Pronto Soccorso nell’anno 2015, per parestesie alle gambe.

Chi ha letto la mia storia con questa “bestia”, così ho sempre definito la FM, conosce bene cosa è accaduto dal 2015 ad oggi. Mi hanno visto tanti medici, reumatologi, neurologi, ortopedici, algologi, immunologi, tantissimi; ho fatto analisi di ogni tipo, farmaci a quantità smisurata che, oggi mi hanno reso farmaco-resistente, non si placa il dolore, il mio dolore, nessun antidolorifico se non iniettato in vena ma, anche quello, svanisce dopo appena 24 ore; ho assunto anche cannabis terapeutica, Bedrocan con 19% di THC, mi ha quasi ucciso; ho avuto dopo circa 9 mesi, un episodio di sincope. Oggi, nel 2023 come stanno le cose? Sono sempre fibromialgica? La malattia, nel mio caso, è peggiorata nel tempo?

Come nel 2015 la mia fibromialgia è sempre uguale; I tender points (o punti tender, punti fibromialgia o ancora tender points da fibromialgia) che ricordo, sono aree di dolore localizzato appartenenti a muscoli, tendini, legamenti, nelle giunzioni mio-tendinee (strutture “di passaggio” tra tendini e muscoli) o a livello delle borse, quando il tender points è presente, ovvero il paziente riferisce dolore alla palpazione di tale punto, lo specialista, spesso un reumatologo, considera positiva la presenza della FM, nel mio caso, nel 2015 questi tender erano 18 e 18 sono oggi nel 2023. Qua l’è la differenza tra il 2015 e il 2023 di questa manovra che, oggi il medico che mi segue, controlla sempre? L’intensità. Per me, quel toccare il punto dolente, è diventato INSOPPORTABILE. E’ talmente forte che il dolore arriva al cervello, è fa malissimo. In questi 8 anni, non c’è solo questo forte, insopportabile dolore causato dalla “manovra” dei tender points, c’è molto altro che, voglio sottolineare, non è emerso dal medico che in quel momento, mi seguiva ma, per casualità.

In alcuni casi, non si è voluto accertare, si leggete bene. NON SI E’ VOLUTO accertare la presenza di una malattia cronica e degenerativa solo perché, il medico di turno, si atteneva ad un protocollo vecchio, obsoleto, sorpassato, superato, si perché io risultavo essere negativa agli esami ematici (presenza di anticorpi, proteine deputate alla risposta immunitaria) peccato che il maledetto medico ha ignorato anche tutte le RM, ecografie ed RX che mostravano chiaramente gonfiore a livello articolare, alterazioni a livello ungueale, dolore ai talloni e caviglie, gonfiore delle estremità come caviglie, ginocchia e gomiti, tendini di spalle e caviglie lesionati, cartilagine assente e persino un buco nell’osso della caviglia, neppure queste chiari ed evidenti segnali hanno spinto questo maledetto dottore a non volere accettare/capire/ammettere che io avessi anche l’artrite psoriasica perché siero negativa. Ad oggi mi domando ancora se questo medico ignorasse che un paziente può avere l’artrite psoriasica ed essere siero negativo. Nell’ordine, da quel 2015, hanno della diagnosi di FM, sono in queste condizioni croniche, invalidanti e devastanti per me ma, non solo, per tutta la mia famiglia che mi ha vista, letteralmente, cambiata:

Fibromialgia;

Artrite Psoriasica;

Tiroidite di Hashimoto;

Sindrome di Reynaud;

Osteoartrite di 4° livello alle caviglie che ha danneggiato gradualmente cartilagine e tessuti circostanti, tanto da non riuscire più a camminare;

Neurolisi del nervo ulnare bilaterale, già operata una volta al braccio sinistro;

Spasmofilia;

Psoriasi;

Tendinosi spalle, entrambe;

Conflitto subacromiale con lesione tendine sovra-spinoso entrambe le spalle;

Formazione di tipo cistico spalla sinistra che deforma il sovraspinato già di per se lesionato;

Sindrome del tunnel carpale bilaterale.

Per ritornare al quesito di questo documento: I sintomi della FM possono peggiorare nel tempo? Io rispondo come ha risposto il Dr. Richard Podell del The Podell Medical Practice nel New Jersey:

Per la maggior parte delle persone con fibromialgia moderata o grave, ci sono periodi migliori e peggiori, ma di solito non è una progressione importante. Per altri si verifica la progressione. Per questo motivo il medico dovrebbe controllare se vi sono altre condizioni coinvolte nel peggioramento”.

Nel mio caso c’erano, eccome se c’erano ma, non sono state considerate. Sono state totalmente ignorate, tanto da rendere la mia vita, solo dolore. E’ una NON VITA, questa mia.

Siete liberi, se volete, di raccontare la vostra esperienza.

Rosaria Mastronardo

159 giorni di attesa. Inaccettabile.

nulla è più ingiusto che far parti uguali tra disuguali” Don Milani

Una mia lettera al Presidente della Regione Toscana e all’assessore alla Sanità Toscana

Buongiorno,

mi chiamo Rosaria Mastronardo, vivo a Firenze. Sono una donna, una mamma, una lavoratrice e volontaria, nonostante le mie precarie condizioni di salute.

Sì, perché sono affetta da: Artrite Psoriasica Sieronegativa, Fibromialgia, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteoartrite di 4° livello alle caviglie, che ha danneggiato gradualmente cartilagine e tessuti circostanti, tanto da non riuscire più a camminare che per pochi brevi tratti; in più affetta da Neurolisi (già operata una volta), da Spasmofilia e da una leggera Psoriasi. Infine, si fa per dire, sono in lista di attesa per un intervento “complesso” alla spalla sinistra, compromessa da Artrosi, problemi del sovraspinato e da una formazione di tipo cistico, plurisettata e pluriconcamerata che deforma il muscolo stesso e non mi permette di sollevare il braccio.

Vi scrivo per manifestarvi tutta la mia rabbia, la mia incredulità, il mio disappunto, la mia delusione, il mio dispiacere, il mio rammarico e rincrescimento per la questione che illustrerò, che mi riguarda personalmente, ma che deduco, dai fatti che racconterò, possa riguardare tanti cittadini nelle mie stesse condizioni.

Per la mia condizione di disabile cronica ho fatto richiesta nel 2021 del contrassegno del parcheggio per disabili.

La prima volta, nel 2020, dopo una prima visita presso il distretto sanitario dell’Azienda Usl Toscana Centro, in via Lungarno Santa Rosa a Firenze, presso l’ambulatorio della medicina legale, la dottoressa ritenne opportuno rilasciarmi solo per 1 anno il contrassegno, che ritirai presso la sede del Parterre, sempre a Firenze. Dopo un anno la mia condizione è peggiorata, tant’è che, dopo essere ritornata nella stessa struttura e con la stessa dottoressa, quest’ultima firmò un documento per il secondo contrassegno con validità triennale.

Come mio solito, avendo tante scadenze, tra visite mediche, esami ematici e diagnostici, ancora di più attualmente poiché seguo una terapia biologica, pensai fosse utile occuparmi del contrassegno ben prima della scadenza, anzi, MOLTO PRIMA DELLA DATA DI SCADENZA indicata sul secondo contrassegno, numero 061520 con scadenza 19 marzo 2023: chiamo il numero unico di prenotazione del CUP metropolitano e chiedo l’appuntamento per il rinnovo del contrassegno. La chiamata al CUP viene fatta il giorno 21 novembre 2022, AVETE LETTO BENE, 21 novembre del 2022. L’operatrice che prese la mia chiamata, dispiaciuta, quasi non voleva dirmelo, mi comunicò che il primo appuntamento libero per la “TERZA” visita presso il distretto sanitario alla medicina legale era per il giorno 29 aprile del 2023 (159 giorni dopo); quando le feci presente che sul contrassegno la data di scadenza era il 19 marzo 2023 e che la sottoscritta per ben 41 giorni doveva sospenderne l’utilizzo, dispiaciuta, mi rispose che non poteva fare altro; mi suggerì di richiamare il CUP per verificare altre disponibilità liberatesi per disdette e/o altro, cosa che ho ripetutamente fatto senza successo, rimanendo pertanto con la mia data originale di appuntamento: 29 aprile 2023

Io vi chiedo se questa incresciosa deplorevole, deprecabile, fastidiosa, seccante e sgradevole, situazione, si possa accettare.

Aspettare 159 giorni per una visita legale che mi serve per avere un contrassegno di parcheggio per disabili nelle mie condizioni? NON E’ ACCETTABILE. Ho cercato di capire, chiamando il numero verde 800339891 (numero di Firenze per Permessi ZTL Invalidi e Posto Personalizzato), cosa poter fare per avere una sorta di “copertura” per quei 41 giorni che mi separavano dalla visita medica; sono stati gentilissimi, erano al corrente di questi ritardi, ma la risposta è comunque stata che non potevano far nulla, perché questa struttura è tenuta al rilascio dei contrassegni solo dopo una visita alla medicina legale. Sono venuta a conoscenza, successivamente, che questo enorme ritardo nell’evasione degli appuntamenti, a carico della medicina legale, era dovuto al fatto che a Firenze, vi era solo 1 (UNO) medico che si occupava, presso il distretto di Lungarno Santa Rosa, di fare gli accertamenti in ambulatorio monocratico, e che anche andando fuori dalla città di Firenze, la situazione non cambiava più di tanto.

Tutti sapevano, tutti erano al corrente di questa situazione, ma NESSUNO ha provveduto a porvi rimedio.

Ora, per carità, non “attaccatevi” alla solita giustificazione del Covid, no, vi prego, non offendete la mia intelligenza. Durante la pandemia, tutti a dire le stesse cose: dobbiamo cambiare, più medici, più infermieri, più fondi alla ricerca, più di tutto nella Sanità. TUTTO DISATTESO, anzi è TUTTO peggiorato, si sta peggio oggi che durante il periodo pandemico.

Forse aveva ragione don Milani che diceva: “nulla è più ingiusto che far parti uguali tra disuguali

Spiegatemi, cortesemente perché una donna affetta da una serie di malattie croniche CERTIFICATE debba essere sottoposta a questa via crucis burocratica periodicamente? Si pensa forse che io guarisca? Che io migliori nel tempo?

Qualcuno ancora crede che dalle malattie croniche e degenerative si possa guarire? Io sono una malata cronica e cronica rimango perché non c’è nulla che faccia guarire dalle malattie croniche, altrimenti verrebbero chiamate in altro modo.

In attesa di una vostra cortese risposta, saluto.

Rosaria Mastronardo

Cosa mi aiuta a vivere la vita con le mie malattie e sindrome croniche?

Non sempre funzionano, però ci provo.

Come molti altri nella mia situazione, ho dovuto imparare a convivere con delle malattie e sindrome debilitanti. La fibromialgia, l’Artrite Psoriasica, la Tiroidite di Hashimoto, la Sindrome di Reynaud, una Osteoartrite di 4° livello alle caviglie che ha danneggiato gradualmente cartilagine e tessuti circostanti, tanto da impedirmi di fare le mie belle passeggiate, la Spasmofilia, la Psoriasi, Neuropatie varie, carpale, ulnare e alle spalle, che hanno tutti influenzato il mio modo di vivere.

Cosa faccio per superare tutte le difficoltà legate a queste condizioni di cronicità?

Mi rilasso:

Non mi rilasso con nessuna tecnica nota a tanti di voi, come fare Yoga, Respirazione o altro, io mi rilasso leggendo e scrivendo, nonostante faccia moltissima fatica con le varie neuropatie. Ho provato anche a fare Pilates ma, non fanno per me, ho scelto quello che mi dava più risultati positivi per la mia persona, scrivere e leggere. Sono e rimango una donna dinamica e fare esercizi di Yoga, Respirazione e tutta quella roba li, non facevano per me; Ho desistito.

Assumo dei farmaci:

La cosa non mi fa piacere. Non faccio i salti di gioia, anche perché di “saltare”, nelle mie condizioni, non è il caso, però, li devo prendere. Non sono tanti. Assumo quelli per la fibromialgia e poi, ultimamente, perché i farmaci più comuni per l’Artrite Psoriasica non facevano nessun effetto, assumo un biologico. Mi attengo, rigorosamente, a quanto detto e prescritto dai medici, oltre, non vado, anche perché, diciamola tutta, per i dolori a me, non c’è farmaco che tenga;

Semplificare al massimo:

Una piccola confessione per questo concetto. Ho una macchina per caffè espresso, è costata poco, è di quelle che fanno il caffè come al bar. Parte del mio concetto di semplificazione al massimo, è mantenere solo le cose che mi rendono felice. Il caffè mi rende molto felice! A te che leggi, ti chiedo: Cosa ti rende felice? Tienilo e sbarazzati di tutto il resto, ti fa bene, credimi;

Socializzo:

Sono fortunata ad avere una meravigliosa cerchia di familiari e amici che capiscono quando cancello all’ultimo minuto o rifiuto delle buone opportunità perché so come probabilmente mi sentirei dopo. A volte sono in grado di partecipare e a volte no, però se una cosa mi interessa molto, ho adottato un sistema. Mi metto a letto e cerco di riposarmi, così da non stare malissimo i giorni a seguire. Lo faccio se ne vale la pena, se non vale la pena, desisto, tanto non muore nessuno;

Faccio volontariato:

Diversi anni fa, ebbi una bellissima idea, volevo far nascere un gruppo di auto aiuto sulla fibromialgia. Mi sono formata e oggi sono la facilitatrice di due gruppi di auto aiuto. E’ la seconda cosa più bella che io abbia mai realizzato, la prima è stata quella di aver messo al mondo un figlio, che adoro. La forza di andare avanti è in questi due gruppi, io trovo un po di forza nei gruppi. Nei gruppi di auto aiuto, le persone affette da una malattia cronica, possono trovare un sostegno emotivo da parte degli altri membri che comprendono la tua sofferenza e il tuo disagio, puoi condividere emozioni e preoccupazioni, puoi confrontarti sulla gestione della tua quotidianità, aumentando la sicurezza in te e l’autostima, riducendo l’isolamento e favorendo un percorso di accettazione ed elaborazione della tua condizione. Nei gruppi si ascoltano e si raccontano le esperienze di vita; questa condivisione permette di imparare a gestire il proprio problema e a trovare nuove strategie che consentono di migliorare la qualità della propria vita. Sono gratuiti. I gruppi, sono luoghi dove nessuno è giudicato, nei gruppi si trovano quei sostegni reciproci che restituiscono fiducia.

Durante questa esperienza, ho trovato donne e uomini uguali a me, nei gruppi ci confrontiamo, organizziamo, creiamo, ci divertiamo, ridiamo e piangiamo, ed è tutto condiviso. Ho trovato nuovi amici, nuove emozioni. Non tutti i giorni sono uguali, però quelle energie che sprigiona il gruppo, mi fa stare bene, mi aiuta. Certo, non guarirò da tutte le malattie e sindrome elencate sopra ma, quel dolore, quella sofferenza è in egual misura ripartito in quel cerchio e ha meno peso per me e per tutti quelli all’interno di quel cerchio.

Sentiti gratificato:

È facile cadere nel buco dell’autocommiserazione. Succede, qualche volta, anche me, vi ricordo che sono un comune essere umano, succede anche a me. Ma alzarmi presto al mattino, perché non riesco a dormire la notte e leggendo articoli di ogni genere che mi aiutano a scrivere, comunicare qualcosa sui problemi della vita di un malato cronico; prendere il mio caffè come se stessi al bar, pensare ad organizzare la mia giornata, sarà schiocco ma, mi aiuta a non pensare ai tanti dolori che provo.

Questi sono solo alcune cosa mi aiutano a vivere la vita con le mie malattie e sindrome croniche. Non sempre funzionano, però ci provo. Un giorno, ne scelgo uno e lo seguo fino in fondo. Per me sono come una “cassetta degli attrezzi” che decido di usare quando ne ho più bisogno.

Ecco, voglio terminare con un suggerimento. Prepara anche tu la tua “cassetta degli attrezzi”, mettici dentro quello che tu ritieni giusto per te, per vivere al meglio la tua vita.

Non solo per vivere, ma per vivere bene .

Rosaria Mastronardo

Come individuare i primi segni della psoriasi che diventa artrite psoriasica.

di Tracy Davenport, Ph.D. divulgatore di medicina e scienza. Tracy Davenport, Ph.D. è fondatrice di Tracyshealthyliving.com. Utilizza le ultime ricerche scientifiche per aiutare le persone a vivere una vita sana, ha condiviso fino ad ora più di 1000 articoli relativi alla salute. tratto e tradotto da: https://www.healthcentral.com/

Può sembrare un grande salto passare da problemi di pelle legati alla psoriasi (PsO) a dolori articolari che possono accompagnare l’artrite psoriasica (PsA). Ma succede. Ma quando vivi con la psoriasi, è davvero importante capire che entrambe le condizioni sono correlate allo stesso sistema immunitario iperattivo e la loro stretta relazione significa che se ne hai uno, sei più vulnerabile allo sviluppo dell’altro. Qui, gli esperti spiegano esattamente come sono collegate le malattie, alcuni segni precoci comuni di artrite psoriasica di cui le persone con psoriasi dovrebbero essere a conoscenza e cosa dovresti fare se sospetti di sviluppare l’artrite psoriasica (PsA).

Come la psoriasi può diventare artrite psoriasica

Nella psoriasi, l’infiammazione porta a una sovrapproduzione di cellule della pelle che si accumulano per produrre un’eruzione cutanea rossa e squamosa“, afferma Michele Green, MD, dermatologo al Lenox Hill Hospital di New York City.Nell’artrite psoriasica(PsA), c’è anche l’infiammazione, che colpisce le articolazioni e porta a dolori articolari, rigidità e gonfiore“. La buona notizia è che non tutti coloro che hanno la psoriasi svilupperanno l’artrite psoriasica. “Tuttavia, poiché l’artrite psoriasica (PsA) si presenta nel 30% delle persone con psoriasi, la psoriasi è considerata un fattore di rischio per lo sviluppo dell’artrite psoriasica“, afferma il dott. Green. Nessuno sa con certezza chi avrà entrambe le condizioni, ma sembra esserci un fattore di rischio genetico. Ci sono alcuni geni che predispongono gli individui alla psoriasi, all’artrite psoriasica e ad altre malattie infiammatorie. Conoscere i segni dell’artrite psoriasica (PsA) è importante perché secondo recenti studi , la diagnosi precoce dell’artrite psoriasica (PsA) è fondamentale. Ora comprendiamo che ritardare una diagnosi di PsA può portare a danni articolari permanenti e disabilità.

Con la psoriasi, fai attenzione a questi primi segni di malattia psoriasica

Non esistono due persone che soffrono di artrite psoriasica allo stesso modo: è una malattia le cui caratteristiche variano da persona a persona. Ciò che può creare ancora più confusione è che alcuni dei primi sintomi di PsA possono essere simili ad altre condizioni come l’artrite reumatoide e l’osteoartrite. Anche con queste incertezze, ci sono segni precoci comuni da tenere d’occhio che possono aiutare a distinguere l’artrite psoriasica (PsA) da altre malattie quando si vive con la psoriasi.

Dolori articolari

I dermatologi sono in prima linea nella scoperta della PsA nei pazienti, ritiene Christopher Sayed, MD, professore associato di dermatologia, che esercita presso l’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill. “Se un paziente nota sintomi articolari, può chiedere ai propri dermatologi se questo problema è collegato alla sua malattia della pelle“, afferma. Il dolore articolare che potresti provare a causa della PsA può variare da lieve a grave e può interessare qualsiasi parte del tuo corpo. Il dolore può manifestarsi a ondate, noto come riacutizzazione della malattia e remissione.

Mal di schiena

Per molte persone con psoriasi, il mal di schiena causato da PsA è un comune segno precoce della malattia, con circa il 25-70% dei pazienti con artrite psoriasica che hanno un coinvolgimento della colonna vertebrale assiale. (Quando la colonna vertebrale è interessata, è nota come artrite assiale o spondilite.) Secondo la Arthritis Foundation , gli studi dimostrano che la maggior parte delle persone con spondilite può avere sintomi alla schiena fino a 10 anni prima che venga fatta una diagnosi.

Sempre ricordando che ognuno persona è diverso dall’altro, se hai la psoriasi, fai attenzione in particolare al mal di schiena che dura per più di tre mesi, un’insorgenza graduale del mal di schiena prima dei 40 anni, miglioramento del mal di schiena con l’esercizio, nessun miglioramento del dolore con il riposo e mal di schiena dolore notturno (con miglioramento quando ci si alza). Tutti questi possono segnalare PsA secondo la rivista Rheumatology and Therapy .

Gonfiore articolare

Il gonfiore di un dito delle mani o dei piedi, noto come dattilite, (la dattilite è un disturbo caratterizzato dal gonfiore di uno o più dita di mani e piedi causato da un’infiammazione sottostante) è una caratteristica distintiva della PsA. Quando si verifica la dattilite, c’è così tanta infiammazione tra le articolazioni che l’effettivo gonfiore articolare individuale non può più essere riconosciuto e sembra che l’intero dito sia gonfio. La dattilite si verifica nel 16-49 % dei pazienti con PsA e spesso si manifesta all’inizio della malattia come uno dei primi sintomi. A differenza di altri tipi di artrite infiammatoria, nella PsA, la dattilite è solitamente asimmetrica, colpisce il lato destro più del lato sinistro, coinvolge i piedi più delle mani e spesso colpisce più dita delle mani o dei piedi contemporaneamente.

Infiammazione agli occhi

La stessa infiammazione che può avere un impatto sulla pelle con la psoriasi può anche avere un impatto sugli occhi quando la condizione si evolve in artrite psoriasica. Quando si tratta di PsA, circa il 7% di quelli con la condizione svilupperà uveite o infiammazione dell’occhio. Questo può essere causato da diverse malattie, quindi è importante mantenere esami oculistici regolari se hai già la psoriasi, per assicurarti che eventuali cambiamenti possano essere monitorati da vicino. Assicurati che il tuo oculista sappia che vivi con PsO (anche se sei in remissione) può consentire al tuo medico di controllare se hai anche l’artrite psoriasica (PsA).

Cambiamenti delle unghie

La psoriasi riguarda solo la tua pelle, ma i cambiamenti alle tue unghie sono un indizio importante che l’artrite psoriasica. La psoriasi delle unghie è un predittore di PsA, affermano gli esperti, con fino all’80% delle persone con artrite psoriasica colpite da alterazioni delle unghie. Il sintomo più comune correlato alle unghie nella PsA è la vaiolatura delle unghie, depressioni superficiali all’interno del letto ungueale. Ma possono verificarsi anche altri cambiamenti. Oltre alla vaiolatura delle unghie, potresti notare la separazione dell’unghia dal letto ungueale, macchie sulle unghie o altri scolorimenti insoliti. Le tue unghie possono improvvisamente sembrare più friabili o addirittura più spesse. Ognuna di queste modifiche può indicare PsA.

Se hai la psoriasi, cosa dovresti fare?

Secondo George Han, MD, dermatologo al Lenox Hill Hospital di New York, la diagnosi di PsA può essere una sfida ovunque. Ma se hai già la psoriasi, in qualche modo, hai un vantaggio nel prendere la PsA. “Le situazioni più frustranti che incontriamo generalmente sono pazienti che iniziano a sviluppare sintomi di PsA senza segni evidenti di psoriasi sulla pelle“, afferma.

Se sospetti l’artrite psoriasica, ma non ti stai avvicinando a una diagnosi, una cosa che puoi fare è cercare qualsiasi cosa che possa suggerire l’evoluzione della psoriasi cutanea, inclusa la forfora grave“, aggiunge il dott. Han. In alcuni casi, può essere utile esami più sensibili come una risonanza magnetica, per fornire informazioni più dettagliate.

Ancora più importante, non arrenderti se sei preoccupato che la tua psoriasi diventi artrite psoriasica e non stai ottenendo le risposte di cui hai bisogno. “Cercare cure specialistiche nella fase iniziale può essere utile“, afferma il dott. Han. “Fai il primo passo e chiama per un appuntamento da un bravo reumatologo.”

La disabilità invisibile

Quanti di voi che hanno la fibromialgia o una o più malattie croniche si sentono giudicati per non essere “abbastanza disabili?”

So che può sembrare ridicolo, ma scommetto che non sono l’unica a sentirsi così, soprattutto quando si è in pubblico.

Mi è capitato ieri. Sono uscita di casa per recarmi in farmacia, ormai è una mia tappa quasi quotidiana andare in farmacia. Poche sedie e tanta gente in piedi. Le sedie erano occupate da donne e uomini un po più grandi di me, era palese. Non solo erano più avanti con gli anni rispetto a me ma, una donna era accompagnata da una badante e un signore aveva un bastone. Guardo il numero al tabellone luminoso e guardando il mio ticket preso all’ingresso, capisco subito che l’attesa sarà lunga; le poche sedie erano tutte occupate, cerco un posto dove appoggiarmi e non rompere nulla, non c’è; devo attendere il mio turno in piedi. Dopo un po che aspetto mi viene in mente che ho nella borsa il mio contrassegno per disabili, quello che ti permette di parcheggiare sugli appositi spazi riservati agli invalidi. In quasi tutti i negozi c’è una “corsia preferenziale” per i disabili e nelle farmacie, i disabili non sono obbligati a ritirare nessun ticket di attesa, possono recarci direttamente al banco ed essere serviti. Penso, ripenso. Il tempo passa. La mia schiena, la mia anca sinistra, le mie gambe, incominciano a vacillare. Resterò in piedi fino al mio turno oppure prendo il contrassegno e mi reco al banco riservato? Perché prendere poi il contrassegno mi son detta, e se avvicinandomi al banco qualcuno in sala dovesse ribellarsi, cosa faccio? Posso mostrare il contrassegno e poi gli faccio l’elenco delle mie malattie, pensavo.

Io ho un bastone in casa e in alcune circostanze lo uso ma a volte, per attraversare la strada sotto casa mia e recarmi in farmacia, evito di portarmelo con me preferisco prenderlo per tratti più lunghi oppure, resisto anche in quella circostanza e lo lascio a casa.

Ieri sera non ero in grado di stare in fila in piedi troppo tempo, dovevo fare qualcosa, dovevo fare una scelta ma, non era facile, consapevole di essere “giudicata non adeguatamente disabile” o “non abbastanza disabile” per passare davanti a tutti e utilizzare il bancone per i disabili.

Sono stanca di dimostrare ripetutamente la gravità della mia condizione per ottenere dei “benefici” che ho diritto di ricevere.

La natura invisibile del fibromialgia e/o altre condizioni simili porta le persone a fraintenderci e ad essere giudicati male, siamo trattali male dai governi, da membri della società spesso anche in famiglia e tutto questo ci causa dei sensi di colpa, aggiungi a questo anche il “rifiuto” in alcuni di noi ad essere considerati “disabili” si crea un circolo vizioso che non ci aiuta ad accettarsi per quelli che siamo realmente: “disabili invisibili”.

Ci sono persone su questa terra che distribuiscono memi sgradevoli che prendono in giro i disabili e i malati cronici, per favore evitatelo. Potrebbe essere divertente per voi ma, potrebbe ferire qualcun altro. Come quelli che lasciano biglietti arrabbiati sulle auto di estranei per dire che non sembrano disabili e quindi non dovrebbero usare quel parcheggio. Non giudicate senza sapere.

Ieri sera poi è finita bene, c’era così tanta gente in farmacia che molti andarono via ed io non sono stata costretta ad esibire il mio contrassegno evitando di passare davanti a chi per un motivo o per un altro forse ne aveva più diritto di me.

Ogni giorno che passa, questa mia condizione di “disabile invisibile” mi insegna qualcosa. Ieri ho imparato che se riesco ad andare avanti piano piano nonostante i dolori, la fatica, posso anche ignorare il giudizio degli estranei e credere di più in me stessa e nella mia condizione senza dover dimostrare nulla a nessuno.

Non è facile, ci provo tutti i giorni.

Rosaria Mastronardo

donna, mamma, moglie, lavoratrice e volontaria affetta da: Fibromialgia, Artrite Psoriasica, Psoriasi, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteoartrite di 4° livello alle caviglie, Neurolisi del nervo ulnare bilaterale e Spasmofilia. Spero di non aver dimenticata nessuna.

Quando non ti senti “abbastanza disabile” da meritare aiuto

Una testimonianza tratta dalla community di https://themighty.com/

Condivido questa testimonianza perché mi ci sono rivista. Anch’io ho un bastone in casa ma, mi rifiuto di prenderlo quando esco, eppure ne avrei bisogno. Per appoggiarmi quando sono stanca, perché ho paura di cadere e farmi male ancora di più. Ho la fibromialgia anch’io ma, ho anche un osteocondrite di 4° livello alle caviglie con un buco nell’osso tra il perone e la caviglia, tendini lesionati e altro. Non lo porto con me volentieri il bastone perché vorrei “resistere” e vi dirò che se mi trovassi in difficoltà in un mezzo pubblico non esiterei a chiedere di occupare un posto riservato agli invali, se questo fosse libero. La disabilità cosiddetta “invisibile” non è un nostro problema ma della società e delle istituzioni. Sulla disabilità invisibile si possono fare tante cose ma, manca la volontà e non è mia la colpa, quindi se mi sento stanca, se non posso stare in piedi e c’è un posto libero con l’insegna per gli invalidi, io l’ho occupo, perché anche se il buco nell’osso non lo vede nessuno, io ce l’ho.

“Vuoi sederti?” A quanto pare questa persona stava parlando con me. Mi ci è voluto un momento per capire perché mi chiedessero se volevo un posto quando c’erano una dozzina di altre persone in piedi che guardavano verso di me. Ho guardato in basso e ho visto il mio bastone. Mi son detta, questi, pensano che io sia disabile e non posso stare in piedi. Non sono poi così disabile. Altre persone probabilmente hanno bisogno di sedersi più di me. Il motivo per cui porto con me il bastone è per aiutarmi comunque a stare in piedi. Tanti pensieri mi passavano per la testa. Mi sono convinta che il mio bastone è un sostegno per rendere più visibile la mia malattia invisibile, invece di accettare che ho davvero bisogno di usarlo.

Tutto è iniziato quando stavo prendendo i mezzi pubblici. Ho visto persone sedute sui sedili per disabili che sembravano non avere una disabilità, mentre io ero rimasto in piedi. Ero così tentata di dire qualcosa del tipo: “Scusami, se non hai una disabilità, ti dispiacerebbe lasciarmi sedere lì perché ne ho una?” ma non sono riuscita a trovare il coraggio. Invece ho semplicemente spostato il mio peso avanti e indietro sui miei piedi – piedi che mi facevano male come se avessi lavorato un turno di 12 ore correndo all’impazzata e ho cercato di ignorare il dolore alle articolazioni e la stanchezza cronica che mi stava implorando di sdraiarmi sul pavimento per i restanti 45 minuti. Quando il treno raggiunse la mia stazione, dovetti appoggiarmi al muro e sedermi per riprendere fiato prima di procedere verso la mia destinazione. Allora avevo davvero bisogno di un posto, e questa volta non ha fatto eccezione.

Ho la fibromialgia, ma ho sempre segretamente pensato che potrei non averla davvero e anche se ce l’avessi, non è poi così male rispetto ad altre persone. Mia madre ha la fibromialgia e il suo dolore è ovunque. Riesce a malapena a muoversi e quando lo fa geme costantemente per il dolore. Quella non sono io. Certo, ho dolori , emicranie croniche e forse qualche danno ai nervi, ma voglio dire che non è poi così male, giusto? Ci convivo ormai da tanto tempo. Ma mi ha infastidito il fatto che avrei potuto usare i posti a sedere per disabili e tuttavia non ho avuto il coraggio di chiedere.

Sono consapevole che quei posti a sedere per disabili non sono per quelle che come me soffrono di fibromialgia e ho pensato che l’uso di un bastone avrebbe aiutato a dimostrare che ho una disabilità e ho il diritto di sedermi lì anche se sono giovane e sembro in buona salute. Ho provato questo e ha funzionato. È stato un enorme sollievo. Ma poi ho notato qualcos’altro: il bastone mi ha davvero aiutato! Se non riuscivo a trovare un posto a sedere, almeno avevo questo bastone su cui appoggiarmi e quando camminavo poteva alleviare un po’ il dolore alle articolazioni. Ne ho parlato con il mio medico e lei ha accettato che avrei dovuto usarlo, il che ha contribuito a convalidare i miei sentimenti. Continuo a non pensare di averne bisogno, ma sicuramente aiuta.

Allora perché è così difficile accettare aiuto? Questa brava persona ha visto che potevo essere in difficoltà e si è offerta di aiutarmi, ma ho rifiutato. La verità è che stavo davvero lottando per stare in piedi e volevo sedermi, ma non mi sentivo degno e non volevo fare una scenata. Era abituata a provare quel tipo di disagio e potevo cavarmela proprio come faccio sempre. Tranne che questa volta non dovevo soffrire, ma ho scelto di farlo comunque. È come se mi fossi invalidata così tanto che anche se posso dire “ho una disabilità“, ho difficoltà quando mi rendo conto che gli estranei mi vedono come un non disabile e degno di ricevere una sistemazione speciale come chiunque altro con una disabilità visibile. Mentre il tempo passava e altri posti si liberavano, finalmente potevo sedermi e riposare. Quando è stato il momento di rialzarmi, ho sofferto così tanto per alzarmi che ho giurato a me stessa che non avrei mai più rifiutato un posto a sedere in un mezzo pubblico.

So anche di non essere la sola a sentirsi “non abbastanza disabile“. È difficile quando ci sono così tante condizioni invalidanti là fuori e ci confrontiamo costantemente tra di noi, senza mai pensare che la nostra condizione richieda un aiuto extra ogni tanto per semplificarci la vita. Quindi, per tutti voi che lottate per sentire che la vostra disabilità è valida ed esiste, vi dico: Sei “abbastanza disabile“. La tua disabilità è legittima. Il tuo medico lo riconosce, quindi dovresti farlo anche tu. Perché lottare quando qualcuno tende una mano? Accetta l’assistenza con gentilezza e apprezza il momento di sollievo dal dolore che ottieni. Te lo meriti tanto quanto chiunque altro e ne sei degna.

La realtà di gestire la mia salute e un lavoro

La mia vita non è solo concentrata a gestire la mia salute da sola, ma ho anche un lavoro una famiglia e una passione: scrivere sulla fibromialgia e non solo. Faccio anche volontariato, sono facilitatrice di due gruppi di auto aiuto. Le mie giornate sono piene, sono mamma, moglie e lavoratrice. Ho 60 anni ma, nonostante la mia precaria condizione di salute, lavoro ancora.

A me, lavorare piace, mi gratifica contribuire in questa società con il mio lavoro, sono un tecnico informatico, mi piace molto il mio lavoro ma, sta diventando faticoso se unito a tutte le altre cose.

Mentre i medici ai quali fui affidata per i miei inspiegabili sintomi studiavano il mio caso, sono rimasta a letto diverso tempo, impossibilita a muovermi e a fare tutte le cose che facevo prima.

In attesa della diagnosi, avevo paura, non sapevo cosa fare e pensare, mi assalì la depressione, l’ansia di non potermi muovere più, di rimane paralizzata. Quella sensazione di sabbie mobili, il dolore strisciante che sale di centimetro dopo centimetro poi la diagnosi: fibromialgia.

Dopo diverso tempo da questa prima diagnosi che già aveva “rotto” qualcosa dentro di me, poi sono arrivate tante e altre diagnosi, per me inspiegabili, forse anche per i medici. All’inizio, ho lottato, come un leone, ad un certo punto mi era sembrato di averla sconfitta quella “bestia nera” ma quando a questa si sono unite le altre, sono nuovamente ricaduta nello sconforto, nella rabbia, nella disperazione.

Non riuscivo neppure a trovare il linguaggio giusto per esprimere a medici come mi sentivo, perché queste continue riacutizzazioni del dolore. Ci sono voluti anni, cambi di centri di riferimento per la malattia, specialisti diversi e in questo tempo, tu sei li che aspetti un farmaco, una terapia, un qualcosa che ti faccia stare non bene, non voglio la luna, vorrei solo un dolore meno pungente, meno devastante.

La mia condizione con il dolore cronico non migliora, lui è sempre li, in agguato, presente.

Provateci voi a convivere con : la fibromialgia, con l’artrite psoriasica, con la tiroidite di Hashimoto, con la sindrome di Reynaud, con una osteoartrite di 4° livello alle caviglie che ha danneggiato gradualmente cartilagine e tessuti circostanti, tanto da non riuscire più a camminare bene, ormai zoppico, con la spasmofilia, con la psoriasi e una cefalea che mi fa compagnia dall’età di 9 anni.

Mi è stato detto che sono una paziente “difficile”, difficile perché tutte le terapie suggerite non hanno portato a nulla, io devo convivere con il dolore cronico.

Ho provato anche con terapie, cosiddette alternative, ho provato l’omeopatia, ho provato di tutto, all’inizio sembra funzionare poi di colpo, non più.

Anche la cannabis, che qualcuno diceva essere la panacea del mio male. Quanto è durato? 9 mesi e poi di colpo, si è scatenato l’inferno e ho dovuto lottare per farmi credere.

Cosa ti rimane? Non ti rimane nulla. L’accettazione delle malattie e tutto quanto esse comportano. Vivere, convivere con il dolore nell’indifferenza di tutti, soprattutto da parte dei medici che nulla possono, perché diciamocelo, nulla c’è.

Con tutto questo devo anche lottare per far capire al mio datore di lavoro che sono una malata cronica, che non ho solo una malattia cronica, ne ho diverse. Sono fortunata mi hanno detto, sapete perché? Perché io usufruisco del telelavoro, si, perché la mia attività è tele-lavorabile. Fortunata!!!!!! Tu dici a me che sono fortunata, come se a casa, davanti al mio portatile di lavoro io non soffra, come se davanti al portatile io non avessi crampi, male alla schiena, alle gambe. Di quale fortuna stiamo parlando? Io amo il mio lavoro, con il mio lavoro ho contatti in tele-assistenza con tutti i colleghi della mia P.A. ci lavoro, collaboro con loro e li aiuto nelle soluzioni dei problemi informatici ma, non dirmi che sono fortunata. Fortunata perché lavoro? Grazie a Dio, vinsi un concorso e stavo bene allora, ora non sono in grado di sostenere il ritmo e nessuno comprende. L’assurdo è che ogni anno, ogni anno io devo anche rinnovare la mia richiesta di telelavoro. Ma, porco giuda, sono una malata cronica, a meno di un miracolo io non guarirò MAI, perché mai devo rinnovare una domanda di un diritto acquisito?

Credetemi, ho molta voglia di arrendermi, ma sarebbe impossibile per me lasciare qualcosa che amo. La mia salute spesso sembra un enigma che non riesco a risolvere, Scrivere, lavorare, fare volontariato sono le mie passioni ma oggi, mi sono resa conto che non posso fare tutto.

La creatività, quando scrivo, mi impedisce di impazzire, impedisce all’ansia e alla depressione di aggredirmi perché amo fare queste cose. Non mi dispiace avere molto da gestire, anche se in rare occasioni può essere opprimente, stancante. Devo sempre lottare per trovare l’equilibrio giusto che mi aiuta ogni giorno ma anche questo è diventato difficile.

Siamo tutti colpiti dalla fibromialgia e/o da altre malattie in modo diverso. Uno specialista un giorno mi ha detto di continuare a muovermi, facile per lui dirlo! Non si era accorto che le mie caviglie si erano letteralmente consumate, accidenti a lui e al suo consiglio di camminare. Le mie giornate sono molto occupate, sono piene.

Ognuno ha un approccio diverso alla salute e al benessere. Ovunque tu sia con la fibromialgia e/o con altre malattie croniche, se c’è qualche consiglio che ho, è di ascoltare il tuo corpo e onorarlo. Conoscere me stesso, i miei sintomi e conoscere tutte le mie malattie mi ha letteralmente salvato la vita.

Salva la tua vita, impara a conoscerti meglio.

Rosaria Mastronardo

Corona di spine

Quando non voglio pensare a nulla, ascolto musica. Musica leggera o musica classica, mi rilassa e mi aiuta a non pensare al dolore, alla sofferenza, alle ingiustizie, a tutto. Mi isolo. Però ascolto con attenzione le parole della canzone che passa alla radio in quel momento.

Oggi mi è capitato di ascoltare in macchina una canzone, un pò triste. Non conoscevo l’artista, la cantante, chi avesse scritto il testo, dal ritornello però ho capito che il titolo poteva essere Corona di spine e una volta a casa, ho fatto una ricerca.

La cantante si chiama Meg, il titolo l’ho avevo azzeccato, Corona di spine ed è la colonna sonora del film documentario Camorra.
Meg, la cantante, ex componente dei 99 Posse, è la voce narrante del film Camorra. Sua è anche la colonna sonora.

E’ stato il ritornello che mi ha colpito.

È solo che una corona di spine
È così facile da portare
Dopo un po’ ti sembra normale
È solo che una corona di spine
È così facile da portare
Dopo un po’ non ti fa più male

Ascoltando quelle parole, in quel ritornello, più volte ripetuto ho pensato al dolore, al mio dolore cronico e a tanti come me che ne soffrono. Il dolore è come una “corona di spine“, facile da portare che dopo un po’ ti sembra normale.

Che brutta bestia che è il dolore cronico ma è molto più brutto pensare a chi scrive tanto sul nostro dolore cronico e non fa nulla per alleviarlo e quindi dopo un pò, quella “Corona di spine” ci sembra normale.

Vi invito, se lo volete, ad ascoltare il testo della canzone. Io ho pensato al dolore forse perchè la mia “Corona di spine” fa più male?

Rosaria Mastronardo

Malattia cronica: un lavoro a tempo pieno che non ho scelto

Finirò mai di sperare?

Da quando mi è stata diagnosticata la mia prima malattia cronica, la fibromialgia, tutto è cambiato nella mia vita. Non ho idea di cosa l’abbia causata, nessuno lo sa o di come sia successo, ma tutta la mia vita è stata capovolta. E poi ho dovuto capire come vivere di nuovo la mia vita, ma questa volta con il doppio delle preoccupazioni rispetto a prima. Forse anche di più.

Ma ancora molto di più, quando via via, un giorno dopo l’altro, sono comparse, le altre malattie e sindromi croniche: artrite psoriasica, tiroidite di Hashimoto, sindrome di Reynaud, osteoartrite di 4° livello alle caviglie che ha danneggiato gradualmente cartilagine e tessuti circostanti, tanto da non riuscire più a camminare come ero abituata prima, spasmofilia e psoriasi.

Essere malati cronici è già abbastanza difficile quando devi “vivere” con il dolore e sopravvivere attraverso i numerosi e orribili sintomi. La parte peggiore è il lavoro infinito che devi fare per vivere una vita “normale“, beh, il più normale possibile. Avere una malattia cronica è un lavoro a tempo pieno che nessuno di noi ha chiesto, ha scelto, ma non possiamo dire di no. Non c’è scelta qui. Quindi, aggiungiamo questo enorme carico di lavoro alle nostre vite, oltre a tutti i normali compiti che abbiamo nella quotidianità della nostra vita, come fare la spesa, studiare, socializzare, cucinare e tenere in ordine la casa e il proprio lavoro, quello “reale“. Ricordo però che, questi “compiti normali” non sono facili per nessuno ma, sono estremamente più difficili per noi.

La gestione della malattia consiste nel carico di appuntamenti dal medico, ricerche senza fine, imparare a far fronte ai tuoi nuovi livelli di energia e sintomi, adattando ogni singola piccola cosa per gestirla al meglio, conviverci senza stravolgimenti, gestire i farmaci e i loro possibili effetti collaterali, gestire tutti i tuoi medici affinché siano d’accordo con il trattamento che ogni singolo specialista ha prescritto per te, per la tua malattia, gestire le riacutizzazioni casuali delle tue condizioni e…….. e l’elenco può continuare all’infinito. Prendersi cura della nostra salute e dei bisogni extra è un lavoro complicato che non ci paga ma ci “costa” molto, tantissimo. È difficile immaginare la forza, il tempo e lo sforzo che ci vuole ogni singolo giorno. Oltre al fatto che le malattie croniche sono imprevedibili, c’è anche l’incertezza che ogni giorno porta a nuove sfide. Non è incredibile come riusciamo a tenere tutto insieme? A volte finiamo per cadere sfiniti, ma non ci arrendiamo mai e diciamocelo, non abbiamo la possibilità di farlo, non abbiamo scelta. Devi fare così ed ogni volta ricominciare; all’inizio sembra impossibile ma, ti abitui e facciamo sempre del nostro meglio per adattarci.

I nostri giorni migliori a volte sono i giorni cattivi di qualcun altro. Ma abbiamo imparato a goderci le piccole cose e a vedere la grazia in ogni piccola vittoria. Ogni persona è diversa; ognuno gestisce una malattia cronica in modo diverso. Ma qualcosa che è comune a tutti noi è quanto sia difficile tutto questo e quanto questo possa avere un impatto sulla tua salute mentale e fisica. Sarà per questo i malati cronici amano le gioie semplici della vita?

Ogni giorno è una battaglia, un duro lavoro; quando chiediamo aiuto, quanto è difficile chiedere aiuto e ammettere che il tuo corpo non è in grado di fare qualcosa, è perché realmente, seriamente siamo in difficoltà, è più difficile del solito. Sì, abbiamo un lavoro a tempo pieno, sporco, nascosto, per tutta la vita che non abbiamo mai chiesto e scelto. Le nostre vite sono difficili e complicate e a volte vorremmo non viverle così. Ma lo facciamo. E continuiamo. Restiamo forti e, in qualche modo, andiamo avanti con speranza.

Rosaria Mastronardo