Leggendo l’articolo a questo link:
https://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=48759
le cose che più mi hanno colpito sono state queste:
- Note dolenti però arrivano sulla conoscenza della legge 38. Il 63% di chi ha risposto alla scheda non la conosce e il 70% non sa che la legge obbliga le strutture sanitarie a misurare il dolore e ad annotarlo su una cartella clinica insieme alla terapia prescritta e ai risultati ottenuti. Risposte diverse, ma non troppo, anche in questo caso a seconda dell’età e del titolo di studio. Chi conosce “meglio” l’esistenza della legge sono il 49% dei laureati, chi la conosce peggio il 68% di chi si è fermato alla scuola primaria. E rispetto all’età, conoscono la legge “solo” il 42% dei soggetti tra 60 e 74 anni, la ignorano il 77% di quelli tra 18 e 29 anni.
- L’informazione. E l’informazione non arriva in modo fluido dai medici di famiglia (a cui si è rivolto il 64% dei pazienti) che difronte al dolore prescrivono farmaci, ma non consigliano quasi mai (solo il 35% lo fa) il ricorso ai Centri di terapia.
Cosa si potrebbe fare, mi sono domandata; come si potrebbe ovviare a questa poco informazione di una legge così importante?
Oggi, il dolore costituisce un’esperienza negativa soggettiva che coinvolge non solo la sfera fisica ma l’insieme della persona. E’ possibile ottenere il controllo completo del dolore in quasi tutte le situazioni cliniche, anche le più complesse. La legge italiana del 15 marzo 2010 definisce la terapia del dolore “l’insieme di interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate , allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutico per la soppressione e il controllo del dolore “(art. 2, b). Ogni malato ha diritto di essere curato per il suo dolore, e di ottenere tutta l’attenzione e la competenza necessaria al miglior controllo del suo dolore.
In generale la lotta al dolore richiede una serie di cambiamenti culturali, professionali ed organizzativi: si tratta infatti di affiancare, nella pratica quotidiana, così come nelle scelte strategiche, al concetto di cura della malattia il concetto di valutazione e trattamento del dolore. Ciò implica l’attuazione di una serie di misure finalizzate – ad esempio – a introdurre la rilevazione del dolore al pari degli altri segni vitali, quali la frequenza cardiaca, la temperatura corporea ecc., a far aumentare l’attenzione del personale sanitario affinché vengano messe in atto tutte le misure possibili per contrastare il dolore, a favorire un radicale cambiamento di abitudini e atteggiamento nella popolazione attraverso campagne di sensibilizzazioni.
L’articolo 11 della Carta Europea dei Diritti del Malato (2002), afferma: “Ogni individuo ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile, in ogni fase della sua malattia.”
Ciascun individuo ha diritto a vedere alleviata la propria sofferenza nella maniera più efficace e tempestiva possibile. In passato ignoranza, pregiudizi e rassegnazione hanno impedito che si affrontasse in maniera adeguata il dolore connesso alla malattia. In realtà il dolore è un sintomo che va curato con la stessa attenzione riservata alle patologie per evitare che si cronicizzi e diventi esso stesso “malattia”.
Ogni individuo ha diritto di sapere che il dolore non va necessariamente sopportato, ma che gran parte della sofferenza può essere alleviata e curata intervenendo con la giusta terapia. Il dolore deve essere eliminato, almeno, attenuato in tutti i casi in cui sia possibile farlo poiché esso incide in maniera pesante sulla qualità della vita.
Tutti gli individui hanno diritto ad essere ascoltati e creduti quando riferiscono del loro dolore.
Il dolore è caratterizzato da una forte componente soggettiva, poiché la sofferenza è influenzata da numerosi fattori individuali, come avvalorato anche dalla letteratura. Per intervenire nella maniera più adeguata, gli operatori hanno il dovere di ascoltare, prestare fede e tenere nella massima considerazione la sofferenza espressa. Il cittadino deve essere libero di riferire il dolore provato, con la terminologia che gli è propria, e assecondando le proprie sensazioni, senza temere il giudizio dell’operatore, che deve impegnarsi ad interpretare al meglio quanto il paziente cerca di comunicare.
Ciascun individuo ha diritto ad accedere alle cure necessarie per alleviare il proprio dolore. Hanno quindi pari diritto di essere curati nel loro dolore non solo quanti affrontano le fasi terminali della vita e/o i malati oncologici, ma anche coloro che soffrono di dolore cronico non da cancro e acuto (da parto, da trauma, da intervento chirurgico, o che necessitano di primo intervento al pronto soccorso); in particolare, tutte le donne dovrebbero essere messe nelle condizioni (compatibilmente con la situazione clinica) di poter partorire senza dolore.
Ciascun individuo ha diritto a ricevere assistenza al dolore, nel rispetto dei più recenti e validati standard di qualità. Ogni persona ha diritto a ricevere assistenza al dolore da operatori adeguatamente formati e aggiornati, in maniera che sia garantito il rispetto degli standard di qualità internazionali.
Ogni persona ha diritto a vedere alleviata la propria sofferenza con continuità e assiduità, in tutte le fasi della malattia. Particolare attenzione rispetto alla continuità della cura va posta nel passaggio dall’ospedale al territorio, evitando situazioni di discontinuità.
Ogni decisione riguardante la terapia del dolore presuppone un’informazione corretta, completa e comprensibile, che tenga conto del livello culturale del paziente e del suo stato emotivo. Ogni intervento terapeutico finalizzato ad alleviare la sofferenza va concordato e modulato, nella qualità e nell’intensità, in accordo pieno e consapevole con la volontà del paziente, secondo i principi sui quali si fonda un valido consenso. In ogni Unità Operativa di un qualsiasi Ospedale devono essere identificati un responsabile medico e un responsabile delle professioni sanitarie non mediche che avranno lo specifico mandato di divulgare la cultura della prevenzione del dolore a tutti i professionisti sanitari, affinché ogni persona possa avere informazioni utili per prevenire e contrastare il dolore da parte di tutti i professionisti della salute che incontra nel percorso di diagnosi e cura.
Ogni persona ha diritto a partecipare attivamente alle decisioni sulla gestione del proprio dolore. Ogni intervento terapeutico finalizzato ad alleviare la sofferenza va concordato e modulato, nella qualità e nell’intensità, in accordo pieno e consapevole con la volontà del paziente, secondo i principi sui quali si fonda un valido consenso. Ogni persona ha il diritto di ricevere risposte pronte ed esaurienti ai suoi interrogativi, e di disporre di tutto il tempo necessario ad assumere le decisioni conseguenti.
I bambini, gli anziani e i soggetti che “non hanno voce” hanno lo stesso diritto a non provare dolore inutile. La paura e l’ansia, presenti in tutti i soggetti a contatto con la malattia, assumono infatti caratteristiche peculiari nei piccoli malati, nelle persone con disagi psichici o con gravi handicap mentali e in alcuni anziani.
Chiunque debba sottoporsi ad esami diagnostici, in particolare quelli invasivi, deve essere trattato in maniera da prevenire eventi dolorosi, (informazione sulla possibilità di essere sedati).
Ecco cosa si potrebbe fare: “Una Carta dei Diritti della Persona con Dolore”, come quella descritta sopra che ho “preso in prestito” dall’Azienda Ospedaliera di Padova.
Altre Aziende Ospedaliere in altre zone d’Italia, hanno una Carta dei Diritti della Persona con Dolore? Se, mancante, prendete esempio, fatene una e fatela rispettare perché è bene sempre ricordare, l’articolo 11 della Carta Europea dei Diritti del Malato (2002), che afferma:
“Ogni individuo ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile, in ogni fase della sua malattia.”
Rosaria Mastronardo