Con troppe diagnosi non è facile guardare il lato positivo della vita ma, ci provo.

Andiamo avanti……..

Le malattie croniche influenzano moltissimo tutti gli aspetti della mia vita. Ho molteplici malattie e sindromi che si incrociano tra di loro, sono difficili da trattare e interferiscono completamente su tutte le parti del mio corpo, con pochissime esclusioni, forse nessuna.

Ho scritto molto del mio dolore, dolore cronico. Forse in pochi sanno che non ho solo la fibromialgia ma, diverse patologie/malattie/sindromi. Ho deciso di renderle pubbliche perché, in questi giorni, mi sento sola e incompresa anche da chi ti sta vicino e dice di capirti. Mi sento come una “macchina” trascorro le mie giornate con il pilota automatico e sogno ad occhi aperti il momento in cui posso finalmente stendermi sul mio letto e provare a dormire e/o riposare.

Forse qualcuno non troverà interessante quello che scriverò ma, è importante per me.

Voglio essere vista e conosciuta non per diventare famosa, non per protagonismo, non me ne frega nulla, desidero far sapere SOLO quello che vivo ogni singolo giorno; non deve essere un segreto, meglio si sa di chi vive come vivo io, meglio è; lo faccio anche per sentirmi meno sola nelle dure sfide della quotidianità.

Sono purtroppo affetta da: Fibromialgia, Artrite Psoriasica, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteoartrite di 4° livello alle caviglie che ha danneggiato gradualmente cartilagine e tessuti circostanti, tanto da non riuscire più a camminare per lunghi tratti, Neurolisi del nervo ulnare bilaterale, già operata una volta al braccio sinistro, Spasmofilia, Cefalea, Psoriasi, Gastrite, Discopatie, Ernie e altro, mi fermo nell’elenco perché potrei sembrare in fin di vita. In alcuni momenti, vi giuro che, mi sento finita dentro.

Sono una mamma, una donna, una moglie, una lavoratrice e volontaria. Ebbene, si. Sono tutte queste cose. A volte mi viene da pensare che se non fossi malata potrei essere una “wonder woman“.

Ognuno ha il proprio insieme di sintomi che rendono difficile affrontare le sfide della vita. Non è semplicemente convivere con il dolore cronico. Ci sono così tanti altri sintomi che interferiscono con tutte le mie attività quotidiane, sintomi alcuni invisibili che solo io so che esistono e che provo sulla mia pelle, su ogni parte del mio corpo.

Una giornata tipica della mia vita consiste in una moltitudine di decisioni che portano a una reazione a catena su come andrà il giorno successivo, o anche la settimana successiva. Tutto, dalla cosa, il lavoro, il volontariato: è un consumare energia tutte le volte che faccio qualcosa, e tutte le volte che ne faccio una mi chiedo sempre se avrò la forza per fare la seconda, la terza e così via. Non sono uguali i giorni. Ci sono giorni buoni e giorni poco buoni ed io sono sempre li che faccio una cernita delle mie attività. E’ sempre così, tutti i giorni che Dio mette in terra.

Sono una mamma.

Fare la mamma non è facile. Ho desiderato essere mamma. Ho avuto un figlio che adoro. Cerco di stargli accanto il più possibile, anche se ora è grande ma, la mamma è sempre tale anche quando i figli crescono e sono autonomi. Non si smette di essere mamma, mamma si è SEMPRE.

Sono moglie e donna

Ho la fortuna di avere un uomo accanto che, nonostante le differenze caratteriali, è un uomo bravo e comprensivo. Credo, anzi sono certa che, non è facile vivere accanto a persone malate come me, che hanno bisogno sempre di un sostegno, di una mano, di essere moglie sempre. In questo, mi reputo fortunata. Il mio uomo, c’è.

Sono una lavoratrice

Sono fortunata, perché ho un lavoro. So quanto è difficile oggi avere un lavoro stabile. Sono fortunata anche perché, essendo il mio lavoro, tele-lavorabile, svolgo la mia attività da casa. Qualcuno, potrebbe pensare che sono una “privilegiata”. Forse si o forse no, non giudicate senza sapere. Non è che lavorando a casa la mia situazione di salute migliora. Io sono una malata cronica e cronica rimango anche se sono una telelavoratrice. Quindi, non avrò certo tutte quelle difficoltà che hanno tutti quelli che si recano sul posto di lavoro: alzarsi presto, preparasi, traffico, e altro ma i miei dolori, le mie difficoltà a stare seduta e ferma per lungo tempo non aiutano la mia condizione. Ho tanti vantaggi, è vero ma, la situazione “dolore cronico” non cambia, quello non via neppure se sei a casa. C’è, punto.

Sono una volontaria

Le mie numerose malattie/patologie/sindromi non sono venute tutte insieme, un po per volta, sono state “educate” con me, si sono presentate, tutte casualmente diagnosticate, una alla volta. All’inizio, mi fu diagnostica la fibromialgia e poi a seguire tutte le altre. Con la fibromialgia è iniziata la voglia in me di fare qualcosa. Malattia poco conosciuta, difficile da diagnosticare, ancora carente di un marcatore per una esatta diagnosi, non riconosciuta dal nostro SSN, tanti “sciacalli” in giro per il mondo che, in virtù di tutto quanto sopra detto, ti proponevano di tutto e di più promettendoti la guarigione, associazioni che pur di fare cassa e mostrarsi in TV, ti promettevano l’impegno a prendersi cura di te. Niente di tutto questo è accaduto, anzi, nonostante il mio impegno in alcune di esse, ho lasciato definitivamente quell’ambiente e mi dedico all’Auto Aiuto e collaboro solo con quelle Associazioni che, seriamente, si impegnano in questa lotta infinita per il riconoscimento, la sensibilizzazione e altro per la fibromialgia e per un concreto sostegno nei confronti dei malati cronici, anche se invisibili. Sono facilitatrice di due gruppi di Auto Aiuto.

All’inizio con alcune associazioni ho preso parte a numerosi eventi. Organizzarli, non era facile. Però, per il bene comune, stringi i denti e vai avanti. Oggi, ho deciso di non organizzare più nulla. Se qualcuno mi propone una partecipazione, volentieri aderisco ma, non organizzo nulla e non desidero far parte di nessuna associazione di malati fibromialgici, mi viene l’orticaria solo al pensiero.

Ho anche una passione, in verità ne ho diverse ma, alcune, per le mie malattie, non posso più fare, ne ho lasciata solo una. La scrittura. Amo scrivere. Non scrivo poesie, non scrivo racconti. Tutto quello che scrivo riguarda la mia situazione di malata cronica, invisibile, ignorata, nella società, nel mondo del lavoro e dallo Stato. Riporto testimonianze di malati ma, anche di vita vissuta, scrivo della mia esperienza con i gruppi di Auto Aiuto. Credo che, scrivere certe testimonianze di vita con il dolore cronico, con le malattie invisibile sia un modo per far conoscere le difficoltà di vita di persone che vivono questa condizione e soprattutto sensibilizzare quanto più possibile sul tema.

Forse a qualcuno questo testo, nel leggero, gli avrà portato un po di depressione o disgusto. Non è certo un testo divertente, di divertente, nel descrivere la vita di un malato cronico, non c’è nulla.

La vita di un malato cronico è così e in alcuni casi, anche peggio.

Vi confesso che le mie giornate, non sono tutte uguali, il mio umore cambia in virtù dell’intensità del dolore, delle mie difficoltà nel fare qualsiasi cosa. Piango, si a volte mi capita anche di piangere dal dolore, e ripeto a me stessa: resisti, combatti, vai avanti, non arrenderti. Hai ancora tanto da fare, da dire, da vivere. Una cara amica ieri mi ha ricordato che devo anche sapere ascoltare la malattia e fermarmi quando è alta la sofferenza, il dolore. Ha ragione da vendere la mia amica, ha ragione. Mi impegnerò ancora di più.

E come ci diciamo sempre io e lei: andiamo avanti…..

Rosaria Mastronardo

Le questioni relative alla diagnosi e al trattamento del dolore cronico.

Quando si parla di gestione e trattamento del dolore cronico bisogna partire dall’inizio. La semplice ragione è che, prima di poter iniziare a parlare di gestione o trattamento, è necessario sapere che cosa è esattamente il dolore cronico. Per questo, hai bisogno di una diagnosi.

L’ Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) definisce il dolore cronico come: “dolore che si estende oltre il periodo di guarigione dei tessuti e/o con bassi livelli di patologia identificata che non sono sufficienti a spiegare la presenza e/o l’entità del dolore e persiste da più di tre mesi”.

Occorre anche conoscere la nuova classificazione del dolore secondo l’ultima Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11), che delinea il Dolore Cronico Primario e il Dolore Cronico Secondario.

Il dolore cronico secondario è suddiviso in sei sotto-categorie: dolore cronico correlato al cancro, dolore cronico post-chirurgico o post-traumatico, dolore neuropatico cronico, cefalea o dolore oro-facciale secondario cronico, dolore viscerale secondario cronico e dolore muscoloscheletrico secondario cronico.

Continua ad essere difficile per un operatore sanitario (HCP) diagnosticare il dolore cronico, poiché non ci sono strumenti facili a portata di mano per farlo. I controlli di routine come la pressione sanguigna, l’analisi del sangue, i raggi X o le scansioni MRI non mostrano l’esistenza di dolore cronico. Non è disponibile alcun test semplice. Qui abbiamo il primo ostacolo: non ci sono criteri per stabilire l’esistenza del dolore cronico.

Secondo un sondaggio condotto da Pain Alliance Europe (PAE) nel 2017 sulla diagnosi e il trattamento di 3.490 pazienti provenienti da 17 paesi europei , questo è un grosso problema. Uno su cinque ha affermato di aver dovuto aspettare oltre 10 anni per ottenere una diagnosi. Questo intervallo di tempo è stato conteggiato a partire dalla prima volta che hanno visto un operatore sanitario. Quasi sette su 10 hanno dovuto aspettare più di 12 mesi per essere diagnosticati.

Tenendo presenti i criteri IASP, i pazienti con dolore cronico di lunga data hanno convissuto con il dolore ben prima ancora di avere una diagnosi. Un ulteriore punto negativo è il fatto che le persone con dolore cronico di solito aspettano troppo a lungo prima di visitare i loro medici per i loro disturbi del dolore. Molte persone parlano di cercare aiuto, alimentate dallo stigma che circonda il dolore cronico. Pensano: “Sto invecchiando quindi dovrei aspettarmi un po’ di dolore”, “Non voglio disturbare nessuno, persevererò”, “Mi riposerò, farò di meno e passerà”, “Posso non andare dal dottore ogni volta che fa male”, “Nessuno capisce cosa sto passando”.

Alla fine, ho una diagnosi: dove vado dopo?

Poiché il dolore e il dolore cronico sono antichi come il mondo, ci si potrebbe aspettare che nel tempo si siano sviluppate buone pratiche per affrontare questo problema; eppure non è così. Perché è così?

Il dolore cronico è un problema di salute complesso. Ha elementi biologici, psicologici, sociali ed economici. Tutte queste sfaccettature sono correlate e la relazione tra di esse dipende dalle circostanze, dalle aspettative e dalle capacità di ciascun individuo. Stiamo parlando solo dal punto di vista della persona con dolore cronico. Questa interazione sarà influenzata anche dal modo in cui quella persona è vista dalla società e da quanto bene può affrontare tale controllo. Un’altra sfida importante per le persone con dolore cronico è avere l’opportunità di mantenere il proprio posto di lavoro o di trovare un nuovo lavoro adatto alle proprie capacità. Ciò ha un enorme impatto sulla loro indipendenza finanziaria.

Questo è il motivo principale per cui non sono state sviluppate terapie valide per tutti. Ciò che si è sviluppato nel tempo, quando il mondo scientifico ha iniziato a rendersi conto che una persona è qualcosa di più di un semplice corpo diviso in parti, sono i programmi multidisciplinari. Ma anche questi programmi non soddisfano le diverse esigenze di tutti i pazienti e spesso vengono sviluppati senza alcun contributo da parte delle persone con dolore cronico o dei loro rappresentanti.

L’indagine del PAE ha rilevato che a quasi quattro intervistati su 10 non è stata offerta alcuna terapia aggiuntiva, rimanendo invece sotto la supervisione del proprio medico di famiglia. Come se ciò non bastasse, quasi otto su dieci non sono rimasti soddisfatti della terapia offerta, riferendo che non ha soddisfatto le loro aspettative.

Abbiamo affrontato gli aspetti biologici del dolore cronico e cosa fare al riguardo. Tuttavia, sappiamo che ci sono altri componenti che influenzano la qualità della vita (QoL) delle persone con dolore cronico. I fattori sociali giocano un ruolo importante in questo: la situazione familiare del paziente, come reagiscono i suoi vicini, amici, parenti e datori di lavoro, e così via; e situazioni quotidiane che mettono i pazienti di fronte ai loro difetti. Il modo in cui la società e i datori di lavoro si avvicinano alle persone con dolore cronico è stato esaminato dal PAE nella loro indagine del 2019 su dolore e stigma ; e i risultati sono, francamente, scioccanti.

Nei contesti familiari, l’ambiente in cui le persone dovrebbero aspettarsi di sentirsi “al sicuro“, i pazienti con dolore cronico hanno riferito di essere stati confrontati con approcci stigmatizzati. Dai partner, il tasso è superiore a quattro su 10. Da parenti e amici, è superiore a sei su 10. Anche tra i caregiver, tre su 10 hanno riferito di sentirsi stigmatizzati.

È chiaro che queste circostanze possono contribuire a problemi psicologici come depressione, ansia e persino tentativi di suicidio.

Ma lo stigma associato al dolore cronico non è solo negli ambienti familiari, è ovunque. Le persone hanno riferito di averlo sentito da operatori sanitari, datori di lavoro e colleghi di lavoro, durante attività sportive e ricreative, in ristoranti e luoghi simili, anche in luoghi pubblici in generale dove l’interazione è anonima. È un problema sociale significativo, aggravato dalla realtà che è invisibile.

Influenza della pandemia

Da qualche tempo, il mondo sta affrontando una pandemia senza precedenti. Poiché le persone con dolore cronico sono persone normali, sentono anche gli effetti delle restrizioni.

Il PAE ha appena concluso un’indagine approfondita sulle conseguenze della pandemia di COVID-19 sulle persone con dolore cronico .I risultati mostrano quanto siano gravi gli effetti. Il QoL complessivo prima dell’inizio della pandemia era in media di 6,66 su una scala da 0 a 10. Ora, dopo un anno di pandemia, quel QoL è sceso a una media di 5,15, con un calo del 22%.

La metà degli intervistati ha riportato un aumento dell’intensità del dolore, la metà ha riportato un sonno peggiore e due su tre hanno riferito un umore peggiore. Tuttavia, il fatto più allarmante è stato che quasi tre persone su 10 hanno riferito di non avere nessuno con cui parlare dei propri problemi.

Riepilogo

1 Il problema principale per la persona con dolore cronico è una diagnosi rapida e accurata e una terapia adeguata adattata alle circostanze personali.

2 Dal punto di vista politico è imperativo che la definizione ICD-11 di dolore cronico sia adottata dagli Stati membri dell’UE ed esiste una chiara tabella di marcia paneuropea su come raggiungere questo obiettivo. È fondamentale consentire ai ricercatori di recuperare i dati per sviluppare opzioni di intervento mirate.

3 Dal punto di vista della prevenzione, è importante che venga avviata una campagna pubblica a lungo termine in modo che le persone si rechino prima dal proprio medico e si possa prevenire la “cronificazione” del dolore.

4 Per la società, è importante avviare una crescente accettazione del fatto che ci sono persone nella società che sono meno fortunate, ma che tuttavia meritano un posto nella società senza pregiudizi.

Quando ciò accadrà, noteremo che i costi legati al dolore cronico diminuiranno, la situazione economica per l’individuo migliorerà e la società nel suo insieme ne trarrà beneficio.

Riferimenti

Sondaggio PAE 2019 – short.indd (pae-eu.eu)

Short-Report-PAE-sondaggio-approfondito-su-Covid-19-e-CP.pdf (pae-eu.eu)

Mariana Branco

Coordinatrice Affari UE

Pain Alliance Europe

http://www.pae-eu.eu

Quando è l’ora di cambiare medico?

Un medico che ha frequentato la facoltà di medicina e ha conseguito una specializzazione ha sicuramente più esperienza nel campo prescelto rispetto ad una persona che non ha la stessa preparazione. Tuttavia, questo non garantisce sempre che saranno in grado di essere “giusti” per svolgere quella professione e anche se sono specializzati in un campo correlato alla fibromialgia, come la reumatologia o la gestione del dolore, non sempre questo significa che siano dei validi professionisti.

Trovare un medico che ti ascolti, che si prenda cura di te e sia ben informato sulla fibromialgia o almeno è disposto a imparare, può essere complicato; è complicato. Noi che viviamo con questa malattia lo sappiamo benissimo e per alcuni, la ricerca di nuovi medici può essere limitata da diversi fattori come ad esempio la posizione sociale e il proprio portafoglio. Tu che leggi e in questo momento sei alla ricerca di un “bravo” dottore per la tua fibromialgia, ti possono essere utili alcuni suggerimenti, alcuni “segnali di avvertimento” a cui dovresti prestare attenzione e che potrebbero aiutarti a determinare se questo medico sarà adatto a te.

Sappiate tutti che, meritate di essere trattati con rispetto e compassione, sempre. L’elenco dei suggerimenti è stato suggerito da una community presente sul web e che si occupa di dare informazioni, supporto e tanto altro a chi soffre di dolore cronico e in particolar modo di fibromialgia: https://themighty.com/

  • Se credono che la fibromialgia sia “psicosomatica“.

Quando leggete il termine “psicosomatico” nel referto dopo la visita oppure quando il reumatologo che vedi non prescriverà farmaci per alleviare il dolore perché secondo il suo parere la “fonte” del tuo dolore è il sovrappeso anche se ti ha appena diagnosticato una malattia cronica.

  • Se non ti ascoltano durante il tempo della visita.

Osservate il medico durante la visita; se gli avete portato degli esami, verificate che li legga e se trattasi di esami diagnostici, fate attenzione. Se legge il referto scritto dal professionista che ha eseguito l’esame oppure verifica il supporto magnetico, fa la sua differenza; se sono superficiali o annoiati durate il tempo della visita.

  • Se non sembrano preoccuparsi del tuo benessere.

Se il medico sembra insensibile o indifferente. Oppure non vuole impegnarsi per aiutarti a trovare anche il più minimo sollievo alla tua sofferenza.

  • Se liquidano i tuoi sintomi come: è “solo” depressione.

Quando suggeriscono che tutti i tuoi sintomi, anche quelli con evidenza diagnostica contraria, sono il risultato di una depressione, la tua depressione. Anche se gli fai notare che farmaci antidepressivi, con dosi doppie e farmaci per l’ansia che ti hanno già prescritto altri medici ma, che hanno poco o nessun effetto, non esitare.

  • Se non considerano la fibromialgia una sindrome e/o una malattia seria e reale

A quanti di voi che leggete vi è capitato di sentirvi dire: “la fibromialgia non esiste”? Non pensateci più di tanto.

  • Se non hanno una mentalità aperta riguardo alle opzioni terapeutiche e non ne discuteranno con te.

Quando, disperati e frustrati dal dolore cercate di far capire loro con quali sintomi state veramente lottando e chiedete cosa può consigliarvi e vi sentite rispondere: “Niente, fa solo parte della vita” senza neppure proporvi tante e tantissime “soluzioni alternative” che potreste provare oltre ai farmaci, desistete.

  • Se credono che tu stia “bene” perché tutti i tuoi test sono negativi.

Vi sentite dire: “sei sana come un pesce” mettendovi davanti agli occhi i fogli con gli esiti dei test e voi continuate a raccontare di quanto state male, di come non potete più alzarvi la mattina per lavorare, di quanta difficoltà avete per addormentarvi, di quanto dolore provate anche solo se sfiorati, lasciate stare, non capirà mai.

  • Se ti dicono di “essere più positivo“.

Quando vi dicono che dovete solo tirarvi su il morale e magari fare yoga, voi seguite pure il suo consiglio ma, cambiate medico.

Correte e correte lontano quando vi trovate davanti a casi come quelli sopraelencati. Un professionista serio, disposto ad ascoltarvi a prendersi cura di voi, c’è la fuori, non è facile ma c’è. Ricordatevi anche questo, una cura per la fibromialgia NON E’ STATA ANCORA INDIVIDUATA, tutto quello che possono suggerire qualche bravo e coscienzioso medico potrà solo alleviare il nostro dolore e non sottovalutate la vostra forza. Consapevolezza, conoscenza e determinazione sono ottimi “rimedi” per evitare cialtroni e venditori di fumo, il mondo è pieno di furbetti.

Rosaria Mastronardo

I comuni preconcetti che la fibromialgia è un disturbo psicosomatico o somatoforme, che non è curabile, che è una diagnosi di esclusione o un “cestino dei rifiuti” delle diagnosi e che la maggioranza dei pazienti fibromialgici sono degli ipocondriaci o dei “piagnoni” sono infondati e insopportabili!

David A. Nye, della Midelford Clinic.

La disabilità invisibile

Quanti di voi che hanno la fibromialgia o una o più malattie croniche si sentono giudicati per non essere “abbastanza disabili?”

So che può sembrare ridicolo, ma scommetto che non sono l’unica a sentirsi così, soprattutto quando si è in pubblico.

Mi è capitato ieri. Sono uscita di casa per recarmi in farmacia, ormai è una mia tappa quasi quotidiana andare in farmacia. Poche sedie e tanta gente in piedi. Le sedie erano occupate da donne e uomini un po più grandi di me, era palese. Non solo erano più avanti con gli anni rispetto a me ma, una donna era accompagnata da una badante e un signore aveva un bastone. Guardo il numero al tabellone luminoso e guardando il mio ticket preso all’ingresso, capisco subito che l’attesa sarà lunga; le poche sedie erano tutte occupate, cerco un posto dove appoggiarmi e non rompere nulla, non c’è; devo attendere il mio turno in piedi. Dopo un po che aspetto mi viene in mente che ho nella borsa il mio contrassegno per disabili, quello che ti permette di parcheggiare sugli appositi spazi riservati agli invalidi. In quasi tutti i negozi c’è una “corsia preferenziale” per i disabili e nelle farmacie, i disabili non sono obbligati a ritirare nessun ticket di attesa, possono recarci direttamente al banco ed essere serviti. Penso, ripenso. Il tempo passa. La mia schiena, la mia anca sinistra, le mie gambe, incominciano a vacillare. Resterò in piedi fino al mio turno oppure prendo il contrassegno e mi reco al banco riservato? Perché prendere poi il contrassegno mi son detta, e se avvicinandomi al banco qualcuno in sala dovesse ribellarsi, cosa faccio? Posso mostrare il contrassegno e poi gli faccio l’elenco delle mie malattie, pensavo.

Io ho un bastone in casa e in alcune circostanze lo uso ma a volte, per attraversare la strada sotto casa mia e recarmi in farmacia, evito di portarmelo con me preferisco prenderlo per tratti più lunghi oppure, resisto anche in quella circostanza e lo lascio a casa.

Ieri sera non ero in grado di stare in fila in piedi troppo tempo, dovevo fare qualcosa, dovevo fare una scelta ma, non era facile, consapevole di essere “giudicata non adeguatamente disabile” o “non abbastanza disabile” per passare davanti a tutti e utilizzare il bancone per i disabili.

Sono stanca di dimostrare ripetutamente la gravità della mia condizione per ottenere dei “benefici” che ho diritto di ricevere.

La natura invisibile del fibromialgia e/o altre condizioni simili porta le persone a fraintenderci e ad essere giudicati male, siamo trattali male dai governi, da membri della società spesso anche in famiglia e tutto questo ci causa dei sensi di colpa, aggiungi a questo anche il “rifiuto” in alcuni di noi ad essere considerati “disabili” si crea un circolo vizioso che non ci aiuta ad accettarsi per quelli che siamo realmente: “disabili invisibili”.

Ci sono persone su questa terra che distribuiscono memi sgradevoli che prendono in giro i disabili e i malati cronici, per favore evitatelo. Potrebbe essere divertente per voi ma, potrebbe ferire qualcun altro. Come quelli che lasciano biglietti arrabbiati sulle auto di estranei per dire che non sembrano disabili e quindi non dovrebbero usare quel parcheggio. Non giudicate senza sapere.

Ieri sera poi è finita bene, c’era così tanta gente in farmacia che molti andarono via ed io non sono stata costretta ad esibire il mio contrassegno evitando di passare davanti a chi per un motivo o per un altro forse ne aveva più diritto di me.

Ogni giorno che passa, questa mia condizione di “disabile invisibile” mi insegna qualcosa. Ieri ho imparato che se riesco ad andare avanti piano piano nonostante i dolori, la fatica, posso anche ignorare il giudizio degli estranei e credere di più in me stessa e nella mia condizione senza dover dimostrare nulla a nessuno.

Non è facile, ci provo tutti i giorni.

Rosaria Mastronardo

donna, mamma, moglie, lavoratrice e volontaria affetta da: Fibromialgia, Artrite Psoriasica, Psoriasi, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteoartrite di 4° livello alle caviglie, Neurolisi del nervo ulnare bilaterale e Spasmofilia. Spero di non aver dimenticata nessuna.

Perché la “fibro-fog”è un sintomo così devastante?

Testimonianza di una fibromialgiaca, una di noi. Helen.

La “fibro-fog” è una sorta di annebbiamento mentale nella fibromialgia. In un recentissimo studio americano si è dimostrando che le persone con fibromialgia, rispetto a individui senza questa sindrome, hanno maggiori difficoltà cognitive.

A quanti non è mai capitato di mettere il latte nella credenza e i cereali nel frigorifero? A quanti è capitato di aver smarrito le chiavi di casa e/o dell’auto; faticano a concentrarsi durante le conversazioni oppure hanno difficoltà a concentrarsi sulle scartoffie? Credo che a diverse persone sia capitato almeno una volta oppure più di una volta. Per chi soffre di fibromialgia, questi problemi si verificano più frequentemente e possono essere anche gravi.

La capacità di mettere insieme una frase e sapere che il frigorifero si chiama frigorifero, la capacità di capire ciò che qualcuno ti ha detto, la capacità di partecipare a una conversazione e la capacità di prendere decisioni sono cose che tutti diamo per scontate. Si tratta di competenze di base che la maggior parte degli esseri umani sviluppa fin dalla giovane età. Non pensi mai che queste cose semplici diventeranno un problema. I sintomi della fibromialgia, immagino, sono familiari a chi ha questa “bestia”. Tuttavia il sintomo che è più angosciante per me è la “fibro-fog“.

Mi siedo lì a conversare e dimentico quello che sto dicendo a metà frase. Non ricordo l’argomento di cui stiamo parlando. Faccio la spesa e quando entro mio figlio mi aiuta a mettere via il cibo. Mi chiede dove mettere le arance ma non mi viene in mente il nome così “segnalo con la mano” la forma di una ciotola e indico la fruttiera. Sono preoccupata per le decisioni che devo prendere, quindi chiedo a mio marito di farlo per me. Mi siedo in macchina e mi chiedo per un po’: dove sto andando? Poi: come ci arrivo?

Una volta ero una donna esuberante e indipendente. Sapevo cosa volevo e come l’avrei ottenuto. Ho avuto una carriera di cui ero orgogliosa e per cui ho lavorato sodo, ma ora sono una persona diversa. Sto perdendo la fiducia in me stessa, gli amici e una vita sociale. Sto perdendo la capacità di vivere la vita che avevo una volta. Devo pensare in modo diverso, ho cambiato il modo in cui faccio le cose e devo affrontare il fatto che ora sono una persona diversa. Devo usare il mio cervello in modo diverso e sto imparando nuovi modi per farlo. Tutto questo ha avuto un enorme effetto sulla mia famiglia.

Il deterioramento cognitivo è una manifestazione comune della fibromialgia e alcuni potrebbero sostenere che sia più invalidante del dolore e dell’affaticamento. Avendo avuto la fibromialgia per 15 anni, ho visto una progressione costante in tutti i miei sintomi, inclusa una riduzione della cognizione. Da quando ho sperimentato una significativa “fibro-fog“, in particolare durante le riacutizzazioni, che per inciso sono circa ogni 10-14 giorni, non sono stata in grado di lavorare. Il mio lavoro come infermiera specializzata comporta conversazioni su salute e malattia. Ho bisogno di competenze nel processo decisionale e la capacità di spiegare la fisiologia piuttosto complessa in modo comprensibile. Essere moglie, madre e custode di ogni cosa in casa richiede le stesse capacità. Non importa quale livello di successo accademico hai raggiunto o cosa fai di lavoro; la cognizione mentale compromessa ha un forte effetto devastante su tutti i fibromialgici.

Qualcuno afferma che ci sono prove scientifiche che la “fibro-fog” può essere accentuata se si è in uno stato depressivo, ansia, problemi di sonno, disturbi endocrini e dolore. Ciò che rimane poco chiaro è cosa causa questo forte disagio.

In uno studio del 2015 sono state osservate 60 persone, 30 con fibromialgia e 30 senza. I ricercatori hanno riscontrato vari disturbi dell’attenzione e della memoria nei pazienti con fibromialgia rispetto ai pazienti senza fibromialgia. Ma hanno anche scoperto che questi disturbi erano indipendenti dai sintomi depressivi, il che è significativo, poiché molti medici presumono la depressione quando si verificano problemi cognitivi.

Secondo PHF Bertolucci e FF de Oliviera in questo estratto che potete leggere qui: https://link.springer.com/article/10.1007/s11916-013-0344-9) ci sono prove che il sistema nervoso centrale è funzionalmente e strutturalmente influenzato dalla fibromialgia, ma non ci sono molecole o geni presenti in natura che possono essere identificati da esami diagnostici per rilevare e quantificare questi disturbi cognitivi. Esistono, tuttavia, varie teorie sulla riduzione dei livelli di ossigeno e sui disturbi in alcune sostanze chimiche del cervello che sono responsabili dell’annebbiamento.

La mancanza di prove fisiologiche significa che le scale e i test tradizionali o persino alcuni questionari sono attualmente l’unica forma di diagnosi. Nella pratica clinica questo può fornire una prova del deterioramento cognitivo in quelli di noi con fibromialgia; anche se, detto questo, non mi è mai stato proposto alcun test per identificare la gravità, e nel mio lavoro non mi sono mai imbattuta in test cognitivi specificamente progettati per la fibromialgia. Questo è importante poiché la “fibro-fog” è molto diversa da altri disturbi cognitivi perché aumenta e diminuisce nel corso della nostra vita. Sembra che la “fibro-fog” – come la pletora di altri sintomi – sia solo qualcos’altro con cui dobbiamo affrontare e convivere purtroppo.

Intanto, molti di noi sono costrette a lasciare il lavoro, soprattutto se è un lavoro di responsabilità. Tutto questo importa forse a qualcuno?

Rosaria Mastronardo

Giù la maschera

Nelle trasmissioni televisive a descrivere le sofferenze di un malato fibromialgico dovrebbero essere invitati i malati, mentre in medici, seduti di fronte, relegati ad ascoltare le loro testimonianze e le numerose domande, rimaste senza risposte ormai da anni.

Ieri in una nota trasmissione su RAI3, che si occupa di salute, si è parlato della fibromialgia ed è stato invitato in trasmissione un noto professore, dicasi esperto della malattia.

È stato anche mandato in onda un breve filmato con relativa intervista ad una donna fibromialgica, presentandola con nome e cognome, ma dimenticando di menzionare che la signora è la Vicepresidente della stessa associazione citata in trasmissione dal noto professore, che ne è invece il presidente. Tutto preparato e finalizzato all’assimilazione del concetto: “aiutati che il ciel ti aiuta”.

Non commento quello che il noto professore “fibrostar” ha riferito sulla malattia, io non sono un medico, sono una donna affetta da questa malattia dal 2015 e, come subìto dalla signora del filmato, la fibromialgia mi paralizzò le gambe. Trascorse quasi un anno prima di avere una diagnosi, perché, ripetendo le testuali parole usate dai medici durante il mio ricovero in ospedale, ero “sana come un pesce”. Avevo solo la fibromialgia. Mi dissero anche che non sarei guarita, mi dissero che non vi erano farmaci per curarla, che non sapevano cos’avesse scatenato la malattia e che era cronica. Ricordo che “cronica” significa: tutta la vita da convivere con una determinata malattia.

Piano terapeutico trimestrale con farmaci che dovevano solo alleviare il dolore. Farmaci con principi attivi come il pregabalin utilizzato per trattare l’epilessia, il dolore neuropatico e il disturbo d’ansia generalizzata negli adulti e la duloxetina, che è un inibitore della ricaptazione di serotonina e noradrenalina. Agisce impedendo ai neurotrasmettitori 5-idrossitriptamina (chiamata anche serotonina) e noradrenalina di essere riassorbiti dalle cellule nervose di cervello e midollo spinale.

Ecco cosa prescrivono ai fibromialgici, questo non è stato detto in trasmissione e non è neppure stato detto che questi farmaci creano dipendenza. Non è stato detto che non esistono farmaci specifici per la fibromialgia e che per questo motivo (forse) il mondo della medicina ha pensato di prendere a prestito i farmaci usati nella sfera psichiatrica, e non si voglia approfondire il motivo che ha fatto ricadere su questa scelta. Si comincia con piccole dosi e poi, via via, il corpo si abitua al farmaco, ma il dolore non passa, e se ritorni dal medico per riferirglielo, lui aumenta la dose. Alla fine, diventi completamente dipendente dal pregabalin e dalla duloxetina e ti riduci come uno “zombie”, con seri problemi di movimento e di attenzione, che possono arrivare ad incidere, anche pesantemente, sulla guida di veicoli e la conduzione di macchinari.

Con tutte queste sostanze in circolo nel tuo corpo e con il dolore che non si è affatto affievolito, tu, donna, uomo, devi continuare a fare tutto quello che facevi prima.

Nessuno ci riesce, nessuno. Questo, NON È STATO DETTO. Non sono state dette tante cose, tantissime, e come sempre invece di dare voce ai malati si dà voce al medico/specialista, presidente di una associazione che dovrebbe tutelare i malati, anche facendosene portavoce davanti allo Stato.

NON SI È PARLATO: delle difficoltà negli ambienti di lavoro;

NON SI È PARLATO: della rinuncia al posto di lavoro, dei licenziamenti “per giusta causa”;

NON SI È PARLATO: dell’isolamento ai quali sono relegati i fibromialgici;

NON SI È PARLATO: delle difficoltà in famiglia;

NON SI È PARLATO: del costo che le famiglie devono sostenere a causa dell’assenza dell’aiuto sanitario.

Il professore ha omesso di dire che l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, istituita nel 1948, che è l’Agenzia delle Nazioni Unite specializzata per le questioni sanitarie e tanto nominata durante la pandemia, definì la fibromialgia come una malattia reumatica riconosciuta cronica nel 1992, anno in cui venne inclusa nella decima revisione dello International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (ICD-10, codice M79-7), entrata in vigore il 1° gennaio 1993. L’OMS in tale frangente indicò a tutti gli Stati membri, di prendersi carico della cura e del miglioramento della vita quotidiana di questo tipo di malato, lasciandone però liberi i percorsi da attuarsi.

NON SI È DETTO che sono passati più di 30 anni da allora, e che le Istituzioni italiane in tutto questo tempo non hanno MAI riconosciuto questa malattia cronica ed invalidante.

Sia la signora in collegamento da Roma, che il professore in studio, hanno fatto riferimento, per “sollevare” i fibromialgici dal peso del loro dolore cronico, all’”autogestione” del paziente. La signora del filmato, inoltre, invitava al movimento. Avete provato a camminare anche lentamente con i dolori della fibromialgia? Io sì. E vi posso assicurare che non è affatto piacevole, anzi è un tormento quasi insopportabile. Lo faccio anch’io, perché è l’unico consiglio che danno a tutti i malati affetti da fibromialgia, ma nessuno capisce la fatica e il dolore che si prova nel sollecitare piedi e arti colpiti da fibromialgia.

Non si è detto neppure che la fibromialgia NON è una malattia causata da uno stato d’animo mutevole, e che non è solo una malattia che produce dolore; provoca stanchezza, insonnia e numerosi altri sintomi, tanti, tantissimi, forse quest’ultima cosa mi sembra di averla sentita, molto sommariamente, ma nessuno ha detto in studio che i sintomi sono più di 200.

Questa maledetta malattia colpisce anche con diversi livelli di incomprensione dal mondo esterno, fra quelli più rilevanti e importanti si trova l’incomprensione da parte di una serie di medici che rifiutano di aggiornarsi ed approfondire le conoscenze professionali sulla patologia fibromialgica, e che continuano a conservare antichi preconcetti nati nei secoli scorsi, quando la malattia era considerata di origine psicosomatica, come si soleva dire, di etiologia “non organica”. Non essendo ancora partita la famosa formazione dei medici di medicina generale, va da sé che chi di noi si imbatte in questo tipo di medico, subisce un approccio velatamente psichiatrico, come se la malattia fosse davvero mentale. A parte l’affronto psicologico subìto in ambulatorio, che può fare danni a livello di autostima, si tratta di un vero e proprio errore concettuale diagnostico. La scarsa conoscenza della malattia da parte di questi medici può essere letale. Sono medici che di fibromialgia ne sanno meno dei pazienti stessi, medici che applicando i soliti protocolli standard, se ne lavano le mani, prescrivendo le solite terapie a tutti in barba agli insegnamenti di Ippocrate, medici che non si aggiornano sulla letteratura scientifica da decenni, e nonostante ciò si permettono di pontificare sulla nostra responsabilità di autogestione della malattia e ci raccomandano di risollevarci il morale facendo passeggiate all’aria aperta, che ci suggeriscono di fare nuoto, ginnastica dolce, yoga, pilates, o di integrare con terapie non convenzionali come ad esempio la cannabis terapeutica (e qui si aprirebbe un mondo a parte).

Un altro importante livello di incomprensione è quello della responsabilità amministrativa e politica dello Stato, che sta da anni trascurando, anzi ignorando, attraverso le Istituzioni preposte, questi malati mantenendo una perenne inerzia fatta da un passo avanti e uno indietro, come si trattasse del famoso filo di Arianna. Tutto ciò aggravato dalla presenza di 20 autonomie legislative regionali in materia sanitaria, che creano discriminazione e privilegi a seconda della regione di residenza. Di ciò ha accennato anche il professore in studio. La cosa peggiore è che per opporsi a questa ingiustizia, devi prima essere in grado di alzarti e lottare, ma purtroppo molti pazienti non sono fisicamente in grado di farlo, ricordiamoci che i farmaci prescritti a dosi sempre più alte annichiliscono il paziente, e consapevoli di ciò, in molti se ne approfittano, a cominciare dal “ciarlatanaggio svuota-tasche” di ogni tipo: cure miracolose, diete miracolose, integratori miracolosi, soprattutto terapie miracolose. C’è tutta un’eletta schiera di avvoltoi che gira sulle nostre teste, che ci considera galline dalle uova d’oro, e molto spesso, si sa, i lupi portano i vestiti dell’agnello.

Personalmente, come malata ma anche come volontaria e facilitatrice di gruppi di auto-aiuto a tema fibromialgia, in cui incontro ed ascolto tante donne e uomini nelle stesse mie difficoltà, mi sarei aspettata qualcosa di più dal servizio mandato in onda, dal professore e dalla vicepresidente dell’associazione. Forse quei dieci minuti di servizio creano più danno che guadagno alla nostra situazione.

Basta “vetrine” pubblicitarie acchiappa-soci per le associazioni, basta chiacchiere da salotto tv, siamo stanche di essere prese in giro.

Un riconoscimento che tarda da 30 anni è una vergogna per il Paese, di QUESTO dovete parlare, si tratta di una vera e propria omissione di soccorso verso una schiera di almeno due milioni di concittadini malati fibromialgici considerati dalla legge normo-abili al lavoro. Se l’articolo 1 della nostra amatissima Costituzione sancisce che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, nel nostro caso questo dettato costituzionale non ha applicazione pratica, non viene tutt’ora fatto nulla affinché possiamo godere di tutte le tutele di cui abbiamo diritto come lavoratori, al pari di altri malati cronici normalmente valutati in commissione disabilità INPS, a cominciare dal diritto negato di poter essere inseriti nelle liste di collocamento mirato in base alla legge 68/99, per finire con l’avere rispetto della nostra effettiva, spesso grave riduzione della capacità lavorativa, mai quantificata, poichè allo stato attuale dell’arte, normativamente parlando, ci si colloca nell’invisibilità totale, nell’oblio, nell’indifferenza.

Basta commedie teatrali, basta fingere interesse per la questione fibromialgica. Non la si può più liquidare sommariamente in dieci minuti di trasmissione.

Il proverbio dice “Fra il dire e il fare…”

Ebbene, abbiamo permesso tanto DIRE, anche a sproposito, ma ora è il momento di FARE qualcosa per noi, ed anche il giornalismo di stampo nazionale ed istituzionale se ne deve prendere ampiamente carico, è una questione di coscienza, il vero giornalismo di cronaca ce l’ha, la coscienza.

Rosaria Mastronardo

I vantaggi di lavorare da casa con una malattia cronica come la fibromialgia

Riporto un testo trovato sul web che io condivido in pieno. Ho deciso di pubblicarlo perché ho intenzioni serie su questo tema. A gennaio inizierò una mia battaglia personale perché DEVO necessariamente far capire al mio datore di lavoro com’è difficile lavorare in presenza quando si vive con tante malattie croniche che purtroppo per me, sono tutte invisibile ad occhio nudo ma che mi rendono la vita difficile. Io non mi arrenderò MAI, e se potete vi invito a fare la stessa cosa anche voi. La sensibilizzazione DEVE iniziare da noi, non aspettate che arrivi dal celo, dal celo, oltre che la pioggia e la neve non viene giù nulla.

Le conversazioni con amici e colleghi in questi giorni spesso includono la domanda: “Come va lavorare da casa?” La mia azienda ha mandato tutti a casa a marzo e ha detto che rivaluterà la situazione a gennaio. Sebbene il motivo per cui siamo stati mandati a casa sia angosciante e abbia causato angoscia a così tante persone, la mia risposta è questa: lavorare da casa è fantastico. È stato così benefico per la mia salute che mi sento una persona diversa. Ho ripreso in mano la mia vita.

Cosa pensi che sia?” loro chiedono. “Perché è molto meglio?”

Ho la fibromialgia e la sindrome da stanchezza cronica . La risposta è complicata. Ogni piccola cosa sembra irrilevante di per sé, ma le piccole cose si sommano. La migliore analogia che riesco a trovare è il razionamento del cibo quando stai morendo di fame. Ogni pezzetto di cibo che non mangi ora è cibo che puoi mangiare più tardi.

Non più tardi di sei mesi fa, stavo vivendo una vita molto diversa. Dopo essere tornata a casa dall’ufficio, facevo spesso un pisolino. Svegliandomi un’ora o più dopo, mi sdraiavo lì e pensavo a tutte le cose che dovevo fare. Se cucinassi la cena, probabilmente non avrei l’energia per fare un po di esercizio fisico. Se mi esercitassi, non avrei l’energia per fare una commissione. A volte ero troppo stanca per fare la doccia. Quasi tutte le sere ero stanca morta e stavo sul divano alle 7 o alle 8 ore. Ho dovuto raccogliere le energie per alzarmi e andare a letto.

Di tanto in tanto incontravo un amico per un caffè il sabato mattina. Ciò significava praticamente che nient’altro sarebbe stato fatto quel giorno. Significava che non avrei avuto abbastanza energia per fare la spesa o pulire la casa. Avevo la spesa consegnata più spesso prima della pandemia che durante la pandemia.

In generale, i fine settimana venivano spesi per riprendersi dalla settimana lavorativa. E ogni lunedì mattina, ricominciavo l’intero processo, spingendo oltre il mio limite ogni giorno fino a quando non crollavo venerdì sera.

Poi, tutto incominciò a cambiare. Quando ho iniziato a lavorare da casa a causa del COVID-19, la mia vita ha cominciato a cambiare .

Dormo 45 minuti in più ogni mattina. Passo cinque minuti a prepararmi la mattina invece di 15 o 20. Non devo preparare il pranzo e non devo guidare. Guidare è uno dei miei più grandi problemi perché mi esaurisce completamente le poche energie che ho. Ci sono stati giorni, quando lavoravo in ufficio, in cui non ero sicuro di avere l’energia per tornare a casa. A proposito di pranzo, ora ho accesso alla mia cucina, il che significa che non sono limitata a pasti facili da mettere in un sacchetto o adatti al microonde. Mangiare meglio equivale a sentirsi meglio.

In ufficio lavoro a una scrivania in piedi e questo mi causa un mal di schiena che rende dolorosa la seduta. A casa, posso stare alla mia scrivania con comode scarpe da ginnastica invece che scarpe eleganti. Durante le chiamate in conferenza e le riunioni virtuali, posso partecipare da una posizione più comoda come sdraiata sul pavimento, che riduce il dolore, richiede meno energia e mi facilita la concentrazione. La fibromialgia porta con se tanti sintomi, uno di questi sono gli acufeni, quella percezione di rumore, solitamente un ronzio, un fischio, un fruscio o un sibilo, che si avverte nelle orecchie o nella testa in assenza di uno stimolo acustico esterno. L’esposizione a suoni, odori e luci sovra-stimola il mio cervello e crea affaticamento. Quando le persone in ufficio usano diffusori e deodoranti per ambienti o indossano lozioni o profumi, ho mal di testa e mal di stomaco e la mia stanchezza peggiora. In passato lavoravo spesso con la porta chiusa e a volte dovevo tornare a casa a causa degli odori. A casa mia ho il controllo quasi totale su questi stimoli.

L’erogatore dell’acqua, il bagno e la mensa sono più vicini alla mia scrivania a casa, il che significa che non spendo molta energia per spostarmi durante il giorno. Tornando alla mia analogia, è più cibo da mangiare più tardi.

Lavorando dall’ufficio, il mio lavoro consumava circa il 75 percento della mia energia quotidiana. Ora, è più vicino al 50 percento. Per non parlare delle pause che da casa sono realmente delle pause.

Una delle cose più importanti che posso fare per gestire la mia malattia cronica è fare delle pause tranquille per rallentare il mio sistema nervoso simpatico (lotta o fuga) e coinvolgere il mio sistema nervoso parasimpatico (riposare e digerire).

Le pause in ufficio a volte erano difficili da gestire. Quando potevo fare una pausa, stendevo il tappetino da yoga e mi sdraiavo sul pavimento dell’ufficio per fare stretching, fare esercizio o fare un pisolino. Ero preoccupata per la percezione di avere la porta chiusa. Le persone che hanno tempo per fare delle pause sono spesso percepite come non abbastanza impegnate o che non lavorano abbastanza duramente.

Ero preoccupata che qualcuno mi venisse addosso mentre allungavo le gambe in aria con il vestito intorno alla vita (questo, alcune volte è successo). Altri bussavano alla mia porta quando era chiusa, costringendomi ad alzarmi in piedi e mettere via le mie cose. Metterei a tacere il mio laptop e il mio cellulare, ma il mio telefono fisso squillerebbe inevitabilmente. Le interruzioni e le distrazioni erano all’ordine del giorno, il che significava che una pausa non era affatto una pausa.

Questi problemi non esistono a casa. Le pause a casa sono pause di qualità che riempiono la mia energia.

La statistica più convincente che posso condividere per illustrare la differenza che il lavoro da casa ha fatto sulla mia salute è la mia media di pisolini settimanali. Prima: 11 sonnellini a settimana. Ora: due.

Ricordo i giorni in ufficio in cui supplicavo l’orologio di mostrare un’ora che significasse che potevo sdraiarmi e chiudere gli occhi. Raramente mi sento così adesso.

Avere più energia significa migliore la mia concentrazione. Un altro vantaggio: posso prendere ore di malattia anziché giorni di malattia. Ci sono stati alcuni giorni in cui non mi sentivo bene. Mi sono sdraiata per un breve periodo e sono tornata al lavoro in un’ora o due. Se la stessa cosa si fosse verificata mentre lavoravo in ufficio, probabilmente avrebbe comportato un’intera o mezza giornata di ferie. Ieri sera, dopo il lavoro, sono andato a fare una camminata veloce di un’ora. Ho fatto la doccia, ho preparato la cena, lavato i piatti e svuotata la lavastoviglie. Ho portato il mio cane a fare una breve passeggiata. Ho spazzato il pavimento del bagno e piegato gli asciugamani che aspettavano nell’asciugatrice. Ho lavorato al mio progetto murale nel seminterrato e ho trasportato la grande scatola contenente la mia nuova scrivania. Quando finalmente mi sono seduta per una pausa, ho rivisto mentalmente tutto quello che avevo fatto. E ho sorriso.

Ricordatevi sempre questa frase del poeta, scrittore e drammaturgo francese Alfred De Musset: “Per riuscire nel mondo, prendete bene in considerazione queste tre massime: vedere, è sapere; volere, è potere; osare, è avere.”

Rosaria Mastronardo

Come stai?

La sensazione che chi ci circonda sia impegnato è comune a molte persone. La vita di oggi ha un ritmo frenetico e le giornate scompaiono dal calendario a grande velocità. È difficile per quasi tutti noi fermarci, accantonare per un momento doveri e occupazioni e pensare agli altri A volte, un semplice Come stai? può diventare la porta d’ingresso verso l’intimità con le persone che amiamo.

Cara amica che leggi oggi il mio post, ti chiedo: Come stai?

Tu, che fai finta di stare bene, tu, sotto il dolore, sotto la fatica, tu, proprio tu, dietro la fibromialgia o qualsiasi altra malattia cronica, la vera te insomma, come stai?

Quand’è stata l’ultima volta che qualcuno ti ha chiesto come stavi e voleva davvero sentire la tua risposta?

Quando è stata l’ultima volta che hai potuto essere onesta con chi ti circonda, anche con te stessa, riguardo al pesante fardello che comporta vivere una vita con una malattia cronica. Da una malata cronica all’altra, so come ci si sente a combattere costantemente con un corpo dolorante con l’esaurimento mentale ed emotivo di vivere costantemente con il dolore. Tu sola conosci la tua disperazione e non importa quanto cerchi di spiegarti agli altri, loro non riescono a capirlo. Vedi gli altri vivere la vita che desideri così disperatamente vivere e fa male. Quindi giochi al gioco della colpa, dai la colpa al tuo corpo, a te stessa, ma è qui che io, tu, noi, abbiamo sbagliato tutto.

Ti fermi mai a pensare a quanto sei fantastica? La forza che hai per vivere in un corpo malato cronico? Potresti pensare di non ottenere molto giorno dopo giorno, specialmente quando ti confronti con i tuoi coetanei, ma tu sei molto di più. Ogni giorno si combatte per le numerose barriere che incontriamo, e poi, il giorno dopo ancora, rifare tutto di nuovo, ti rende a dir poco straordinaria e coraggiosa.

Nessuno mai ti ha fatto notare questo? Certo, non è possibile sentirtelo dire da chi non vive come te ma, confessalo, non l’hai mai detto a te stessa. Come mai? Perché non ci diamo abbastanza credito per le sfide che nella normale vita quotidiana affrontiamo e superiamo. Pensiamo che la forza arrivi da persone che scalano montagne, che mostrano il loro coraggio nelle sfide della vita, oppure da chi cerca di cambiare il mondo, ma in realtà sono le cose che sopportiamo ogni giorno, tutti i giorni con le nostre “limitazioni” il nostro coraggio, la nostra forza. Ed è questo molto di più che scalare una montagna.

Tieni dentro di te forza e coraggio, ma anche pazienza, compassione, flessibilità e resilienza.

Pazienza – L’attesa delle diagnosi e gli interminabili viaggi dei medici.

Compassione – Vivere con una malattia cronica ti aiuta a mostrare compassione e amore per gli altri che potrebbero mancare alle persone che non hanno vissuto gli stessi problemi.

Flessibilità – La vita della malattia cronica è imprevedibile nel migliore dei casi, quindi questo ti ha insegnato a seguire il flusso della vita molto più della norma.

Resilienza – Affrontare la natura spesso irriverente di chi ti circonda fa male, ma ti ha anche reso resistente e robusto per affrontare le sfide della vita a testa alta.

E’ Sorprendente vero? Questo corpo pieno di limitazioni, questo corpo che incolpi così tanto.

Quindi ti chiederò di nuovo: come stai? Tu, oltre il dolore, oltre la fatica, oltre la fibromialgia, la persona che vedo – la vera te?

Come stai oggi? La mia risposta? Vivo con il dolore cronico da anni ma lotto ogni giorno affinchè quelli che non capiscono quello che provo, capiscano quanto è difficile per me “vivere

L’importanza di trovare un lavoro adatto alla tua malattia

Vivere con una malattia cronica e cercare di lavorare è una sfida.

Questa è una testimonianza di una donna ( Emilia Nelson) che soffre di fibromialgia la quale è stata fortunata nella ricerca di un lavoro adatto alla sua malattia cronica ma, quante di noi non sono così fortunate?

Stavo facendo il lavoro dei miei sogni lavorando con i bambini. Vedevo fino a 14 bambini in otto ore. Le sessioni erano di 30 minuti e un nuovo bambino attendeva una volta che finivo con l’ultimo. C’era poco tempo per completare i miei documenti e non potevo lasciare di perdere anche il mio tempo libero. Lo stress quando entravo dalla porta era sbalorditivo. Non pensavo di riuscire a superare la giornata nell’ultimo anno e mezzo. C’erano molti giorni in cui andavo nel mio piccolo ufficio, chiudevo la porta, spegnevo la luce e dovevo cercare di alleviare i miei attacchi di panico.

È stato dopo uno di questi attacchi di panico che ho capito che questo non era il posto per me. Amo quello che faccio, ma non l’azienda per cui lavoro. Non è una questione di soldi, la terapia pediatrica è importante, riguarda i bambini. Il mio compito è migliorare la loro vita. Ho iniziato a cercare un nuovo posto di lavoro, perché non potevo continuare a stare male.

Una domenica, cercando online un nuovo lavoro ho fatto domanda per un posto più vicino a casa. Il giorno dopo ho ricevuto una telefonata dal proprietario e abbiamo parlato per 45 minuti. Era accomodante e mi ha offerto il lavoro pochi giorni dopo. È stata una benedizione per me e non mi aspettavo una cosa così. Ora, non so cosa fare con tutto il mio tempo extra.

Mi ha detto apertamente: “Potrei fare più soldi e darti più pazienti, ma ti esaurirai e mi lascerai“. Come a qualcuno il cui stress crea dolore fisico, questa era la cosa migliore che un capo potesse dire. La mia vita ora ha meno stress e meno dolore.

Dobbiamo trovare la carriera perfetta che nutra la nostra anima e ci dia un modo per soddisfare i nostri limiti.

È possibile.

Continua a provare.

Non rinunciare alla ricerca.

Non è facile trovare un lavoro oggi ma non è giusto lasciare che i nostri datori di lavoro non capiscono il nostro stato di salute, ove possibile “alzate la voce” non distruggetevi che ci pensa già il nostro dolore.

Grazie

Cercare sempre di non dimenticare i brutti momenti con il dolore cronico.

Mi mancano il corpo e la mente che avevo una volta. Avevo un “futuro promettente“. Una volta facevo due lavori mentre andavo anche a scuola, a tempo pieno, studiando per due corsi differenti. Dieci anni fa, ho avuto una carriera in cosmetologia e adoravo colorare, tagliare e acconciare i capelli. Ho immaginato un lungo futuro con avanzamento nel settore. Ho avuto una vita frenetica con la famiglia e gli amici. Il mio vocabolario era ampio e potevo reggere in quasi tutte le discussioni. Le persone mi hanno chiamato per trovare soluzioni ai problemi e sono stata in grado di aiutare le persone che stavano attraversando momenti difficili. Potrei andare per giorni senza dormire, o avere solo un paio d’ore, e stare comunque bene. Il mio livello di energia era sempre piuttosto alto e raramente ero ferma.

Poi, intorno ai 22 anni, dopo aver avuto il mio primo figlio, il mio corpo ha iniziato a cambiare drasticamente. Era come se qualcuno avesse premuto un interruttore e tutto avesse cominciato ad andare storto. All’inizio mi è stata diagnosticata la mononucleosi e l’anemia perniciosa, poiché il sintomo più evidente era la mia completa mancanza di energia anche con un sonno e un’alimentazione adeguati. Man mano che andava avanti, sembrava che, qualunque cosa avessi fatto, sarei sempre finita in ospedale dolorante, disidratata e malnutrita. C’erano settimane in cui mi sentivo un po’ meglio, poi mi colpiva di nuovo come se fossi stata investita da un camion. Alla fine mi sono state fornite più diagnosi e più trattamenti per ciascuna malattia, pur continuando a lavorare in un salone. Ho lottato per gestire ogni giorno, ma stavo facendo funzionare il tutto.

Poco dopo aver avuto il mio secondo (e ultimo) figlio, con molte complicazioni e un parto prematuro, ho dovuto subire un intervento chirurgico per fermare l’emorragia dopo la nascita. Alcuni mesi dopo, ho dovuto subire un altro intervento chirurgico per rimuovere una ciste e parte dell’ovaio. Stavo ancora lavorando anche dopo questi interventi chirurgici finché non ho iniziato ad avere troppo dolore. La mia energia è scomparsa del tutto. Ad oggi ho subito 15 interventi chirurgici e dopo questi mi sento come se non fossi mai tornato indietro. Sono sempre un po’ più stanca e provo un po’ più di dolore. Ho 38 anni, ma mi sento come immagino debba essere avere 70 anni o più. Mi sono sentito molto più vecchio della mia età dalla fine dei miei 20 anni.

È estenuante per la maggior parte del tempo e imbarazzante più di quanto mi piaccia ammettere. Da qualche parte nella mia mente, la parte intelligente, ben parlata e logica di me sa che la mia incapacità di fare le cose a cui ero abituato non è sotto il mio controllo. Non è qualcosa sulla quale lavorare per migliorare, o continuare la mia istruzione per promuovere i miei progressi. Anche se faccio assolutamente tutto perfettamente in mio potere, il mio corpo continuerà a fare cose pazze. Avrò ancora riacutizzazioni di dolore e giorni in cui la nausea è così forte che non riesco davvero a muovermi. I miei reni produrranno ancora calcoli renali, anche se bevo solo liquidi chiari e ho cambiato la mia dieta in ogni modo possibile. Lavoro meglio con le cose su cui ho almeno un certo controllo.

È stato estremamente difficile per me accettare ciò che non posso controllare. Non credo che sarò mai in grado di accettarlo e di non avere giorni in cui lotto con esso, ma l’ho accettato nella misura in cui almeno non lo faccio ogni singolo minuto ora. A volte piango per la mente e il corpo che avevo, ma ho anche deciso che preferirei che qualcuno come me dovesse affrontarlo piuttosto che qualcun altro. Lotto quasi ogni giorno per non sentirmi inutile, ma sono ancora qui.

Nei giorni davvero brutti, i miei figli mi fanno passare tutto. Il desiderio di vederli crescere e creare famiglie proprie, a volte è l’unico motivo per cui riesco ad alzarmi dal letto. Il mio bisogno di restare con loro durante i tempi difficili della prima età adulta mi impedisce di lasciarmi completamente devastare emotivamente da una qualsiasi delle mie condizioni mediche. Ho imparato a prendere le nuove questioni con passo svelto, anche a volte con umorismo, perché essere triste a riguardo? Essere depressi o costantemente preoccupati non farà che peggiorare le cose. Peggiorare le cose non aiuterà me, o la mia famiglia.

Ho avuto così tanti problemi medici che in realtà me ne dimentico alcuni. Una volta tenevo un elenco organizzato per i medici (probabilmente dovrei tornare a farlo perché rende la loro vita più facile), ma ora per lo più dico loro di controllare la mia cartella clinica perché le cose “cadono attraverso le crepe” con il mio cervello annebbiato. Spesso ho seri problemi a trovare le parole di cui ho bisogno. Quando scrivevo, avevo a malapena bisogno di fare una bozza approssimativa perché potevo scriverla quasi perfettamente la prima volta. Ora, devo fare almeno due bozze, molte volte anche di più, per farlo bene. Frustrante, ma non devastante.

Vedi, anche se devo fare le cose in un modo completamente diverso, sto ancora lavorando per essere utile dove posso. Ci vuole un po’, ma sto lentamente trovando piccole cose che posso fare per aiutare ancora le persone, e anche alcune per guadagnare un po’ di soldi. La parte del reddito è utile poiché è piuttosto difficile trovare un datore di lavoro che ti permetta di lavorare solo quattro ore o giù di lì al giorno, forse tre o cinque giorni alla settimana. Questo è il tipo di programma di cui ho bisogno per evitare di esagerare. Avrebbero anche bisogno di darmi la flessibilità per andare agli appuntamenti dal dottore e per essere occasionalmente ricoverato in ospedale. Sì. Buona fortuna con quello, eh?

Ho imparato (a mie spese) che vivere nella negazione e spingere il mio corpo troppo oltre non fa altro che peggiorare ulteriormente la situazione a lungo termine. Quindi, cerco ogni piccolo modo possibile per sentirmi ancora utile. Se hai lo stesso problema, capisci quanto può essere frustrante rendersi conto che tutti i piani e gli obiettivi che avevi, ora devono essere drasticamente adattati in base a ciò che sarà fisicamente possibile.

Quando mi è stato detto che avevo tutte queste condizioni mediche che alla fine sarebbero progredite, ho immaginato di avere almeno un po’ di tempo prima che mi raggiungessero davvero. Beh, non è esattamente così che è andata. Per i primi anni è andato un po’ lentamente, ma poi ho attraversato diversi mesi di stress molto elevato e ho lavorato molte ore straordinarie al servizio clienti. Durante questo periodo c’era anche la stagione influenzale e, naturalmente, ho beccato tutto ciò che girava. Alla fine ho dovuto lasciare quel lavoro perché ho passato troppo tempo ricoverato in ospedale. Non mi sono mai ripreso da quel tratto e da allora non sono stato formalmente assunta. Questo è stato poco più di due anni fa. Quei due anni mi hanno insegnato parecchio su me stessa. Ho lottato, in più di un modo, ma sono sopravvissuto e sto lavorando per capirlo.

Anche se può essere difficile, non lasciare che i sentimenti di depressione e inutilità ti consumino perché non sei quelle cose. Avere una malattia cronica non ci rende inutili, ci fa imparare a essere più forti e ci costringe a trovare un modo diverso per contribuire alla società. Cerca quei piccoli modi in cui puoi ancora sentirti utile. Scrivi articoli, presta ascolto compassionevole a un amico, petizioni ai tuoi legislatori su una causa che ti sta a cuore: ci sono così tanti modi per avere ancora un impatto sul mondo e su coloro che ti circondano. Approfittane e fatti sentire meglio mentre fai del bene nel mondo, ma ricorda sempre che non sei mai inutile.

L’ennesima testimonianza di una donna forte come te, lei si chiama: Candida Reece