L’araba fenice

Questa è la mia storia, una parte della mia vita vissuta con una malattia cronica ed invalidante. L’ho scritta in pieno periodo del lockdown. Oggi, nel 2023, non siamo più chiusi in casa e il virus SARS-CoV-1 è diventato una semplice influenza, così dicono gli scienziati.

Ricordo che era il 31 dicembre 2019 e la Cina comunicava la diffusione di un “cluster” di polmoniti atipiche di origine virale. Da quella data, panico nel mondo. C’è chi minimizzava e chi enfatizzava. Alcuni Stati, come l’Italia, senza un Piano di Emergenza per una Pandemia, ci chiudono in casa ed io per non annoiarmi, oltre a lavorare da casa, mi mettevo a scrivere. Pensai che sarebbe stato interessante scrivere un libro sulla vita di chi vive con una malattia cronica, attraverso le testimonianze delle dirette interessate, cioè di chi, tutti i giorni, con i figli, con un lavoro o senza, vive, si fa per dire, con una malattia cronica ed invalidante, non riconosciuta dall’Italia ma definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come una malattia reumatica inclusa, nello stesso anno, 1992, nella decima revisione dello International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems con questo codice: ICD-10, codice M79-7, entrata in vigore poi il 1° gennaio 1993. Mi hanno sempre fatto credere che io avessi la fibromialgia per poi scoprire, in seguito, per puro caso, di non avere solo quella ma, altro, molto altro di più. Di quello che scoprirò dopo la fibromialgia, ho intenzione di raccontarlo in seguito, si comincia da qui, dalla Fibromialgia.

La mattina è sempre più difficile alzarsi: è durissima, ma devo lavorare. Non posso ancora andare in pensione: sono ancora troppo giovane secondo i regolamenti.

Compirò 61 a luglio del 2023, ma anche se lavoro da tanto tempo non ho i contributi sufficienti che mi permetterebbero finalmente di godermi un po’ di riposo.

Ho sempre contratto problematiche di salute da piccola. All’età di tre anni, sono stata operata alle tonsille perché non respiravo bene: mi hanno levato anche le adenoidi. Tra i dodici e i quindici anni ho accusato i primi mal di testa. Mio padre, comprensivo, mi portò da numerosi medici.

Per alcuni di loro, le mie condizioni erano dovute allo sviluppo del menarca precoce, sviluppato a dieci anni. Più tardi ho avuto problemi di vista, ed ho messo gli occhiali: certamente il tutto non soddisfaceva la mia famiglia che si adoperava a farmi fare più consulti per vedermi stare meglio ma poi altri problemi si ripresentavano. All’età di diciotto anni, mi rimossero dei polipi all’interno del naso perché avevo sempre dei forti raffreddori che duravano mesi. Forse poca cosa rispetto a problemi più gravi ma, in ogni modo, si andava avanti si sopportava una cosa dopo l’altra. Ero giovane e, vuoi l’età, vuoi qualche soluzione provvisoria, la mia vita scorreva così.

Nel 1985 mi sono sposata e sono andata a vivere in un’altra città. Sono nata a Napoli, sono una donna del sud e con mio marito mi sono trasferita in Toscana. Per quindici anni ho vissuto in provincia di Arezzo ma poi ci siamo trasferiti a Firenze: vivo in questa Regione ormai da quasi quaranta anni. Nel 1992 nasce il mio unico figlio, Davide, con parto cesareo.

Dal 1985 fino ai primi anni del ‘90 ho avuto problemi alla schiena. Discopatie, ernie che mi hanno portato forti dolori che risolvevo, quando mi era possibile (economicamente parlando) sia con esercizi inerenti alla ginnastica posturale sia con massaggi: quando i dolori erano insopportabili ricorrevo ad antidolorifici con prescrizione medica.

Inoltre come se non bastasse emersero problematiche di cefalee, che si presentavano e continuano a presentarsi frequentemente, spesso anche costringendomi a far riferimento al centro specializzato di un noto ospedale della città. Dopo la maternità, questa problematica è incrementata e non è mai andata via del tutto.

Iniziano poi i problemi allo stomaco. Gastriti, ulcere, mucosa di Barrett , problemi che mi costringono ancora oggi a gastroscopie da fare una volta all’anno o quando il gastroenterologo lo consiglia.

Non basta: analisi e rettoscopia mi diagnosticano il colon irritabile da stress.

Nell’anno 2016 subisco un intervento al braccio sinistro per compressione del nervo ulnare, fui costretta perché non avevo più l’uso del braccio.

Precedentemente ho avuto problemi anche alle spalle, soprattutto quella destra, ed oggi anche quella sinistra: per l’assottigliamento di un nervo, il reumatologo da me consultato voleva intervenire chirurgicamente.

Dopo essermi informata tramite colleghe col medesimo problema e constatato che, nonostante l’operazione, nessuna di loro aveva riscontrato miglioramenti, decisi di desistere. Ancora oggi ho fortissimi dolori.

Nel 2015 il mio primo contatto con la fibromialgia.

Iniziai a non sentirmi bene: ero particolarmente stanca e pensavo fosse influenza, oppure la stanchezza della mie frenetica routine.

Mi facevano male le gambe e facevo fatica a camminare: dolori ovunque.

Pensai ad un virus influenzale e presi il paracetamolo. Andai avanti così per qualche tempo ma i dolori aumentarono a tal punto che mi accorsi di non avere più sensibilità dal bacino in giù.

Purtroppo ricordo bene quel periodo, perché fu l’anno della tesi di mio figlio. Strano vero? Tuo figlio, sempre andato bene a scuola, borse di studio, premi, soddisfazioni enormi: arriva il giorno della laurea e tu sei più felice del solito, sei si stanca ma felice perché vedi realizzare un sogno, uno dei bei sogni del tuo ragazzo e di tutta la famiglia. Era il 1 dicembre del 2015: non posso dimenticare quello che è avvenuto dopo.

Mi portano così al pronto soccorso. Quel giorno lo ricordo bene. Avevo paura, tanta paura. Mi sottopongono a numerosi esami ma fortunatamente sono tutti buoni; gli stessi medici che mi visitano non sanno spiegarsi quei sintomi. Alla fine, il medico di turno mi disse che mi avrebbe fatto visitare da un neurologo e fece lui stesso le carte per affidarmi a questo specialista.

Fui fortunata: mi affidarono al primario di neurologia di quella struttura. Intanto la mia paura aumentò insieme ai miei dolori: quella sensazione di non avere sensibilità, quelle scosse che avvertivo quando mi toccavo le gambe erano sempre li : sentivo le gambe pesantissime come se fossero di cemento.

Passano 9 mesi tra esami di tutti i tipi, risonanze al cervello, radiografie, ecografie, esami ematici di tutto e di più. Nel frattempo perdo i capelli. Stress, confermato anche da un dermatologo al quale mi rivolgo.

9 mesi durante i quali mi imbottiscono di farmaci per alleviare i dolori, i quali si attenuano ma non di tanto, quel poco da permettermi di non stare ferma immobile nel letto.

Farmaci che mi portarono anche ad un notevole aumento di peso che non aiutava; mi si continuava a dire che non sapevano cosa darmi e che, soprattutto, non sapevano cosa io avessi.

Alla fine, quando tutti gli esami furono finiti e non vi era nulla che giustificasse quella condizione, il neurologo pronunciò la diagnosi: fibromialgia.

Ricordo ancora oggi la mia perplessità: chiesi subito al medico cosa fosse, che cos’era questa malattia, perché non ne avevo mai sentito il termine.

Non è una malattia, è una sindrome.” Sì, perché la fibromialgia non è riconosciuta come malattia.

La fibromialgia non è riconosciuta come malattia: per molti medici, sia per la scarsa formazione sulla malattia, sia per incredulità e sfiducia nei confronti di molti/e di noi, la fibromialgia non esiste per alcuni medici. Spesso si crede che sia un’invenzione, o comunque un surrogato utilizzato come capro espiatorio per altre problematiche.

Non ci sono farmaci che la curano e si sa poco o nulla; c’è, diciamo, una sorta di confusione scientifica, discordanze tra branche specialistiche della medicina.

La mia seconda domanda, lo ricordo come se fosse oggi, fu se questa sindrome fosse ereditaria: avendo un figlio mi preoccupai subito per lui, pensai che se fosse stata ereditaria io mi sarei sentita responsabile anche di aver trasmesso una malattia a mio figlio.

Il medico mi tranquillizzò. Ad oggi alcuni studi affermano che la sindrome è ereditaria ma su linea femminile. Tirai un sospiro di sollievo. La ricerca, la poca ricerca che è stata fatta su questa sindrome, ha rilevato nel mondo pochi casi di fibromialgia in soggetti maschi. Oggi che c’è più consapevolezza sulla sindrome, se ne parla e se ne discute di più e questa tesi è smentita da tantissimi esperti reumatologi, algologi e neurologi che se ne occupano: non solo sono colpiti in misura minori anche i maschi ma si è a conoscenza anche di casi di fibromialgia su bambini e adolescenti ma si continua a non conoscerne la causa.

Iniziò così la cura a base di farmaci che servirono solo ad alleviare i dolori. Sono farmaci che curano l’epilessia e la depressione. Questi farmaci agiscono sul sistema nervoso e alleviano i dolori. Altre cure non ce sono, esistono solo espedienti e rimedi farmacologici per alleviare i dolori.

Mi prepararono un piano terapeutico che ogni tre mesi dovevo rinnovare composto da Cymbalta 60 mg, (contiene la duloxetina, un principio attivo che serve per il trattamento delle depressioni maggiori, dei disturbi d’ansia e dei dolori causati da neuropatie periferiche) e da Lyrica 75 mg (Pregabalin è un antiepilettico-anticonvulsivante che trova indicazione specifica nel trattamento del dolore neuropatico centrale e periferico).

Tutto questo a vita, se volevo stare bene e condurre una vita normale.

Mi fu consigliato anche di condurre una vita normale senza stress e senza preoccupazioni.

Utopistico e irrealizzabile, ma furono queste le uniche raccomandazioni del neurologo al quale fui affidata quel 1 dicembre del 2015.

Sembrerà strano ma alla fine di questo calvario mi ero un po tranquillizzata, poiché sapevo cosa mi aveva colpito: nonostante fosse una sindrome sconosciuta e senza cura, sapevo. La mia mente non era più invasa da pensieri cattivi, non sarei morta, non era un male di quelli che fanno paura anche a parlarne: il cancro. No, nulla di tutto questo.

La fibromialgia, detta anche sindrome fibromialgica o sindrome di Atlante, è una sindrome reumatica idiopatica e multifattoriale che causa l’aumento della tensione muscolare, specie durante l’utilizzo degli stessi, ed è caratterizzata da dolore muscolare e ai tessuti fibrosi (tendini e legamenti) di tipo cronico – diffuso, fluttuante e migrante – associato a rigidità, astenia (calo di forza con affaticabilità), insonnia o disturbi del sonno, alterazioni della sensibilità (come eccessiva percezione degli stimoli) e calo dei livelli di serotonina, con possibili disturbi d’ansia e depressivi in parte dei pazienti. E’ conosciuta anche come la malattia dei 200 sintomi.

Ecco cosa mi aveva colpito. Sono una donna molto curiosa, mi piace leggere, mi piace documentarmi, mi piace studiare e comincio le mie ricerche su questa sindrome.

Mi imbatto in diverse associazioni o presunte tali. Li contatto, scrivo lettere per documentarmi, per avere delle risposte, informazioni più dettagliate, più “fresche”.

Vorrei fare una premessa, mi sento in dovere di farla. Non conoscevo il mondo delle associazioni dei malati ma, già dal mio primo contatto che prendo con il presidente di una di queste, capisco che sarà dura interagire con esse.

Noi malati di fibromialgia proviamo in tanti modi a farci sentire ma essendo una malattia di cui ancora la scienza non ha scoperto la causa non c’è attualmente nessun esame diagnostico che ne dimostra la presenza nell’individuo: siamo poco ascoltati, non considerati e in molti casi non creduti. In più i medici tendono a pensare che sia una malattia da depressione, il che può essere anche vero visto che con dolori continui tutto il giorno in depressione è possibile caderci davvero. E’ ovvio che c’è qualcosa di più. Ma cosa sia attualmente ancora non si sa.

La prima di queste associazioni nella veste del presidente mi chiama anche sul cellulare. Quando scrivo a qualcuno, lascio sempre tutti i miei recapiti, desidero essere “visibile” e rintracciabile. Dice che capisce tutto, comprende perché in casa sua lui vive la stessa condizione con la moglie, insomma un sacco di parole ma non è che mi soddisfi più di tanto. Comincio a documentarmi da sola con Internet. L’inferno, la confusione più totale, trovo di tutto, santoni o presunti tali che affermano di guarirla, che promettono miracoli con prodotti naturali, insomma il caos assoluto.

Nel frattempo i farmaci che assumo incominciano a darmi noia allo stomaco. Mi rivolgo al medico e questi ne aggiunge un altro. Un “salva stomaco”, si chiamano comunemente così, servono a questo, proteggono la mucosa dello stomaco per non fartelo “bucare” ma per il mio corpo, è un farmaco aggiunto.

Tra le mie ricerche nel mondo della rete, mi imbatto in un sito dove si parla di cannabis terapeutica.

La cannabis terapeutica, definita anche “l’oro verde”, viene utilizzata in tante patologie.

Si va dall’emicrania alla sclerosi multipla, passando per glaucoma, Parkinson, Alzheimer, dolori cronici e neuropatici, anoressia, cachessia, diverse forme di epilessia e molte altre patologie.

Insomma, era interessante e mi sono detta perché non provarla? Mi informo sulle strutture dove viene prescritta e trovo quella più vicina a me.

Incontro un medico il quale, dopo avergli raccontato tutto il mio calvario, mi propone la cannabis terapeutica. In quella struttura c’era e vi è ancora un protocollo da seguire.

Mi attengo al protocollo. Inizio l’assunzione della cannabis terapeutica, prima in decotto dal sapore discutibile e poi successivamente, sempre attenendomi al protocollo, inizio con l’olio di cannabis.

Betrocan in olio, da assumere una volta al giorno, la sera, per 15 gocce al giorno THC 19%. Via via sospendo interamente tutti i farmaci.

Devo ammettere che per i primi mesi cominciai a star molto meglio. Non sentivo più la stanchezza, mi sentivo più in forma, avevo sempre i miei dolori ma in modo molto più attenuati. Faccio tanto, mi dedico all’attività di volontariato per la mia sindrome, raccolgo firme, invio email a tutte le testate giornalistiche, mi occupo come sindacalista delle problematiche sul lavoro per tutti quelli che sono nella mia stessa condizione, dormo bene e meglio: insomma, la vita scorre, va avanti. I farmaci ormai sembrano un lontano ricordo ma non vengono sospesi del tutto.

Ecco però che incominciano i primi problemi.

Iniziano i primi mal di testa. Come accennavo prima, ho sempre sofferto di cefalee, ma questi dolori alla testa erano diversi. Io la cefalea la conoscevo bene, questi dolori non erano simili a quelli che ricordavo aver avuto.

Avevo la sensazione di avere dei chiodi piantati, una volta in fronte e altre volte alle tempie ed erano dolorosissimi.

La frequenza inizialmente era di una o due volte al mese, poi diventarono sempre più numerosi fino ad arrivare tutti i santi giorni.

Per non parlare poi dei cambi di umore, della rabbia per futili motivi, della pressione alta, delle palpitazioni, della sincope che mi colpì, dell’aumento della pressione oculare, insomma una serie di sintomi che via via accusavo e che non avevo mai avuto prima, una problematica alla volta, si presentano una alla volta e me li dovevo tenere e curare naturalmente.

Soldi spesi tra visite specialistiche e nuovi farmaci da assumere.

Sono ancora in contatto con il medico che mi aveva prescritto e continuava a prescrivermi la cannabis confermando il piano terapeutico anche se al corrente di tutti questi numerosi effetti collaterali.

Continuo ad attenermi alle regole, seguo tutte le indicazioni: alla fine, dopo l’ennesimo mal di testa della giornata, non resisto più e rinuncio alla cannabis, perché gli effetti collaterali da me elencati, sono tutti da imputare alla cannabis terapeutica secondo a quanto dicevano i medici ai quali mi rivolgevo per i miei problemi di salute. Quindi inizio la sospensione della cannabis: alla fine cede, dietro mia insistenza, anche il medico che mi aveva suggerito di assumerla, non senza polemiche.

Ormai ero distrutta.

Ritorno mio malgrado ai farmaci con gradualità e dietro naturalmente prescrizione medica. Non stavo benissimo, avvertivo rigidità alle gambe, pesantezza, difficoltà nella deambulazione, mi sembrava di essere tornata allo stato iniziale della malattia.

A marzo del 2018 cambio medico e struttura ospedaliera. Da lì a poco avrei dovuto rifare tutti gli esami: già tre giorni fissati in una nuova struttura ospedaliera per degli day service dove sarei stata sottoposta nuovamente a tutti gli esami. Qualcuno potrebbe chiedersi il perché mi sia sottoposta a tutti gli esami sapendo di avere questa sindrome.

Questa è seriamente è una delle cose più tristi di questo mio calvario.

Quando mi sono recata in questa nuova struttura ospedaliera per il mio caso e faccio presente che sono anni che convivo con questa condizione , il medico che mi è stato affidato dal S.S.N., dopo avergli fatto vedere tutte la lunga documentazione riconducibile alla mia sindrome e dopo avergli detto che stavo malissimo, che avevo dolori ovunque nonostante i farmaci che assumevo elencati sopra, disse che lui non metteva in discussione le certificazioni dei professionisti che mi avevano visto in tre anni prima di lui, ma suggerì di ricominciare dall’inizio.

Le sue parole furono queste:

Vede signora, non metto in dubbio tutto quelle che lei mi riferisce circa la sua condizione di salute ma di solito i medici quando i pazienti dopo i vari esami ai quali li sottopongono, non riscontrano nulla, affermano che è fibromialgia. Se permette, vorrei ricominciare dall’inizio per essere certo che lei, seriamente non abbia nulla oppure potremmo scoprire qualcosa che è sfuggito ai miei colleghi che mi hanno preceduto o ancora, ultima ipotesi il suo problema è di ben altra natura”.

Non voglio e non ho voluto sapere a quale natura stesse pensando quel medico, non voglio, mi rifiuto di pensare, mi rifiuto.

Quando sono uscita da quella struttura, mi sono venute in mente le parole del primo medico al quale mi affidarono, ricordo che era il primario di neurologia dell’ospedale dove fui portata la prima volta.

Signora, non si preoccupi, non si allarmi, lei deve solo condurre una vita normale, il più normale possibile ma soprattutto, mi raccomando, conduca una vita quanto più serena possibile, senza troppi stress e senza troppe ansie”.

Dopo i tre giorni di day service in questa struttura, dai numerosi esami alla quale fui sottoposta è risultato che, oltre ad essere affetta dalla sindrome fibromialgica, sono affetta da spasmofiliaca concomitante e ipovitaminosi D (carenza di vitamina D).

Ebbene, oggi alla luce di tutto quanto mi è accaduto mi sta accadendo e non so ancora quanto finirà questa storia, io vi chiedo: può una donna che ha passato gli ultimi anni in queste condizioni, rimanere tranquilla e serena? Voi lo sareste?

Lascio la risposta a chi leggerà questa mia storia, nel frattempo io vado avanti, cerco di fare tutto quello che la mia poca forza mi permette di fare ma credetemi, rimanere serena in questo modo, è la cosa più difficile che io possa fare. Io non ci riesco, ma mi sforzo tantissimo!

Però, come dice sempre una mia carissima amica, io riesco sempre in tutto, sono forte, lei mi dice che sono come la “fenice”.

L’ araba fenice è un essere mitologico. Un uccello che vive 1000 anni, poi emigra in Africa in Etiopia dove prende fuoco e brucia. Quando il fuoco si spegne restano solo le ceneri che al sorgere del sole fanno nascere una nuova fenice. Essere una fenice significa non abbattersi, significa rialzarsi quando ti danno già per spacciato.

Non voglio deludere la mia amica, in fondo credo che abbia ragione. Sono come l’araba fenice. Mi sono sempre rimboccata le maniche, mi sono sempre rialzata e ho sempre combattuto per le ingiustizie, per i più deboli, ho fatto tanto e voglio continuare a combattere anche nelle mie condizioni di salute non del tutto buone.

Oggi, purtroppo il mio stato di salute è peggiorato. Sono sopraggiunti altri sintomi ed è ricominciato per me, per la mia famiglia, nuovamente, il travagliato girovagare tra medici, esami e strutture ospedaliere alla ricerca di una cura, di risposte che spesso, molto spesso, contrastanti tra loro.

Quello che ho scoperto, hanno scoperto i medici ai quali mi sono rivolta, in un prossimo racconto, se avrete la voglia di seguirmi e di leggerlo, sarà interessante, intrigante, e stimolante.

A questo punto del racconto, mi piace ricordare, non solo per non deludere la mia amica ma per chi leggerà, una frase di Antonio Gramsci:

Anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio“.

L’ho fatto, purtroppo. Tutto è ricominciato e lo scoprirete in un successivo post.

Rosaria Mastronardo

Quelle perdite che ti fortificano

Per quelli di noi che hanno a che fare con il dolore cronico, tutto il giorno, tutta la vita, fa parte della/e malattie che ti hanno diagnosticato, siano esse visibili o non visibili. Con una, due e forse più malattie croniche, perdi molto, tanto. Le prime cose che perdi sono di tipo personale; lentamente il tempo passa inesorabile e ti rendi conto che il tuo corpo non è quello che conoscevi una volta. In effetti, in un certo senso piangi quella perdita, piangi il corpo che non c’è più. Piangi per non poter fare quello che facevi prima, ti senti come si ti mancasse una parte di te. Questo è il primo colpo, la prima vera e grande perdita.

Poi arriva la perdita della tua credibilità. Per quanto le persone intorno a te sappiano che ti è stata diagnosticata una malattia cronica, e/o anche più di una, resta il fatto che all’esterno tu sembri normale. Quei giorni in cui sei così stanco e dolorante, non li vede nessuno, li senti solo tu. Anche quando lavarsi i denti richiede tutta la tua forza o quando sei così confusa con quella maledetta “fibro fog” che sembra non nulla abbia senso, eppure tu sei “dentro” una nuvola che ti confonde, ti disorienta, mentre tu vivi questa brutta esperienza, gli altri pensano che tu stai esagerando e ti invitano a fare qualcosa, a reagire.

Poi c’è la tua vita sociale. Man mano che impari ad affrontare il tuo nuovo “stato” di vita con i tuoi dolori che non passeranno mai, rifiutare o accettare diventa il tuo nuovo stile di vita. Gli occhi degli amici sono sempre su di te e pensano di te le cose più fastidiose: sei diventata maleducata perché rifiuti ancora una volta un loro invito a cena, al cinema, al matrimonio dell’amico, ti isoli, non balli, stai sempre seduta e non vedi l’ora che tutto finisca. Sei un peso, sei persino odiosa, per qualcuno. La delusione più grande per te e che nessuno dei tuoi amici, pensa che stai facendo uno sforzo nell’accettare l’invito a quel matrimonio, che ti stai sforzando di tenere i tuoi piedi in scarpe nuove e non comode per te ma che tu hai dovuto indossare per l’occasione e che tutto questo lo “sconterai” domani e forse anche per tanti giorni dopo. Tu stai dando il massimo di te e non hai neppure la comprensione da un amico, è deludente.

Non sanno, quelli che non hanno malattie croniche come le nostre che, stiamo facendo un grande sforzo per apparire “normali”, non lo sanno.

Cosa c’è di più da perdere? Bene, te stessa, noi stessi. Credo che non si possa affrontare la vita portando la cartella clinica sotto il braccio in modo che le persone riconoscano la tua malattia. Inoltre, non puoi continuare a cercare di apparire normale spingendoti al massimo dei tuoi limiti al lavoro, a casa o in società. Credimi, cercare di apparire normale è mentalmente estenuante, fisicamente impossibile e, francamente, non è un modo di vivere. Accetta questa nuova te, nel bene e nel male.

Accettiamoci. Accettatevi.

Le malattie croniche sono una costante battaglia quotidiana e doverti spiegare, nasconderti e fingere, ti mangerà, ti divorerà. Allora mi sono detta e vi dico: conta quello che hai perso e conta quello che hai vinto. Tu ed io siamo qui! Noi stiamo combattendo! Personalmente, sulla mia strada ho perso molte cose, e va bene perché questa “nuova persona” che sono diventata, è più forte di quella vecchia me .Combatto contro il dolore e la stanchezza ogni giorno. Alcuni giorni vinco, altri giorni perdo, ma va bene perché ho accettato che la mia malattia che non se ne andrà, ma nemmeno io.

Provate a fermarvi.

Rosaria Mastronardo

Faber est suae quisque fortunae

ciascuno è artefice della propria sorte

Ogni persona è responsabile del proprio destino e della scelta della propria vita, giusto? Che strano però, non ricordo di aver scelto di vivere con delle malattie croniche!!! Questa cosa è strana, è divertente, si fa per dire. La maggior parte dei giorni, mi sento come se il destino si fosse scagliato contro di me. Vivo la mia vita con le mie compagne sempre presente, la fibromialgia e tutte e altre patologie croniche, ebbene si, diciamolo, sono una donna pluripatologica. Delle bastarde e subdole malattie delle quali nessuno si accorge mai, a volte anche chi ti sta accanto, ti incontra per caso, si accorgono che sono sola e godo di ottima salute. Molti medici non hanno rilevato la presenza di queste compagne di vita e nel caso della fibromialgia, l’hanno attribuita a ipocondria o ad una malattia mentale. La fibromialgia, è una delle malattie, poi ci sono le altre, artrite psoriasica, psoriasi e ancora ma, poi ci sono tutte quelle che sono legate solo alla fibromialgia, la lista è lunga: ansia, emicrania, nebbia del cervello, stanchezza cronica… l’elenco, ripeto, è lungo.

Noi fibromialgiche, forse è capitato a qualcuna di voi, siamo il bersaglio di barzellette, di scherni “sei solo vecchia“, “ormai, hai raggiunto una certa età”. Quelli che si rivolgono a noi in questo modo, non sanno che ci sono donne e anche uomini giovani che vivono con la fibromialgia fin dall’età adolescenziale. A quell’età invece, ti senti dire che sei pigra, che non hai voglia di fare nulla, che trovi sempre delle scuse. Non è così, ci vuole molta forza per realizzare quello che facciamo in un giorno. Non avete la più pallida idea di quello che proviamo; state zitti e non giudicateci. C’è chi prova di tutto per non sentire più dolore, quel dolore si, perché il dolore della fibromialgia, non è il solito dolore alla testa che ti prende perché, magari sei stanco, no, non è quello, oppure il dolore su tutto il corpo quando hai l’influenza. Il dolore fibromialgico è fluttuante, è bruciante, è tagliente, ti toglie il respiro.

Cerco di stare attenta a quello che mangio, cerco di dormire regolarmente, sto sempre attenta a non “strafare” anche perché se vado oltre le mie possibilità so benissimo che domani le mie compagne me la faranno pagare per quelle trasgressioni. Purtroppo, mi capita di pagare delle trasgressione senza accorgermene. Mi è capitato ieri. Mi ha chiamato una cara amica. Andiamo fino ai giardini, è uscito un bel sole, dai ci farà bene. Avevo voglia di uscire, avevo voglia di stare con la mia amica. Ci siamo incamminate verso i giardini ma, senza accorgersene, mentre si chiacchierava ci siamo allontanate troppo. Lei, stava bene. Io, no. Gli ho chiesto di tornare indietro, perché ho avvertito un forte dolore all’anca. Il ritorno verso casa è stato dolorosissimo. Mi sono buttata sul letto e svegliata più volte durante la notte dai dolori. Oggi al mio risveglio, mi sento tutta rotta come se mi avessero investita.

Lavoro a tempo pieno anche se da casa, sono in telelavoro. Questa modalità di lavoro mi aiuta molto ma, ho perso i contatti con i miei colleghi che sento solo al telefono oppure in una video chat, e credetemi, non è la stessa cosa. Ho la fortuna di fare volontariato, sono facilitatrice di gruppi di auto aiuto per la fibromialgia e questo mi ha permesso di “rinascere”. Non solo mi aiuto ma aiuto l’altro/a uguale a me. Con il volontariato ho evitato l’isolamento. Molte persone con la Fibromailgia, si isolano, perdono amici, in alcuni casi anche la famiglia. Fortunatamente ho una buona resilienza e ne vado fiera.

Sono padrona del mio destino? Sinceramente, non lo so. E’ un dubbio che mi perseguita. Sono, almeno credo, una donna intelligente, energica, e quindi capace di utilizzare al meglio ciò che la natura mi offre per essere artefice del mio destino. Nel mio destino è compresa anche la pluripatologia? A quanto pare, è così. La scienza non ha ancora capito perché ci ammaliamo, non ha ancora capito perché tanto dolore e tanti sintomi collegati alla fibromialgia mettono in ginocchio tanta gente. Mentre studiosi, chiusi nei loro laboratori, in giro per il mondo alla ricerca di un qualcosa che allievi le nostre sofferenze, io mi sento ancora in grado di fare qualcosa su questa terra e lo desidero fortissimamente, lo voglio ma, aiutatemi a farlo senza sentirmi come se un tir mi avesse preso in pieno.

Grazie

Rosaria Mastronardo

Come relazionarti con la tua disabilità invisibile.

Incominciamo da noi.

Siamo fratelli, figli, amanti, amici, e colleghi. Se apprezzi l’equità e l’inclusione, questi valori dovrebbero estendersi anche nelle tue relazioni, non ti pare? Spesso, con chi ha una disabilità, soprattutto invisibile, non sempre questi valori emergono. Gli esseri umani prosperano nelle relazioni e in queste relazioni però si ignora la disabilità. Bisogna ricordarsi invece che come, genitori, sorelle, amici e datori di lavoro, avete l’opportunità di aiutare a rimuovere le barriere che si frappongono al vivere pienamente le vite delle persone che vivono la disabilità, sia essa visibile che non visibile.

Vivere una vita con disabilità, sia essa visibile o invisibile è una dannata sfida. È sicuramente la cosa più difficile che io abbia mai affrontata. Più difficile che crescere in una casa non sicura, vivere una relazione violenta, vivere al di sotto della soglia di povertà, non lo so, so però com’è vivere la mia vita con una disabilità invisibile. Nel 2015, mi è stata diagnosticata la fibromialgia, poi via via tante altre malattie autoimmuni una dietro l’altra. Ho vissuto con i sintomi di queste malattie per molto tempo, malattie che tendono a fluttuare a seconda anche dei fattori di stress, dal clima e quant’altro e che, attualmente mi stanno destabilizzando. Durante le riacutizzazioni, il dolore è più difficile di quanto si possa descrivere e i sintomi cognitivi ed emotivi che le accompagnano mi fanno sentire malissimo.

Per un po di tempo, all’inizio, temendo il rifiuto, mi sono chiusa molto, evitavo i rapporti con gli altri. Avevo tanta paura, non capivo cosa stesse succedendo. Ho faticato a condividere i miei sintomi, le mie sfide e persino il nome della mia prima diagnosi, la fibromialgia.

Questo timore non era infondato. Quando ho iniziato questa mia “via crucis” ho scoperto la completa assenza di un sistema di supporto. In famiglia ti guardavano in modo diverso, non eri più la stessa di prima, non capivano, cercavano di aiutarti ma, erano in difficoltà anche loro; con le associazioni, non ne parliamo, tante pacche sulle spalle, tanti: “ti comprendiamo” e poi…. Il nulla. A lavoro, eri diventata la fannullona e non importava tutto quanto fatto negli anni precedenti, ai loro occhi, eri quella che non voleva più lavorare. L’isolamento veniva da se. Poi, capisci e comprendi che se continui così, sei come “morta” ed io non ero morta, ero solo una “malata invisibile” agli occhi di tanti, di molti. Ho capito, ad un certo punto che dovevo “difendermi” difendere me stessa. Questo sai, è difficile quasi quanto vivere con il dolore perché comunicare i miei bisogni, le mie richieste di aiuto, i miei diritti poteva essere accolto con il rifiuto, la negazione e chi sa cos’altro. Ne sono stato testimone nella mia vita così come tutti quelli che mi sono stati vicini. E’ stato un altro grosso fardello che ho sopportato.

Ho pensato, ad un certo punto che dovevo fare qualcosa. Chi vive una condizione di disabilità, senza rendersene conto, ha il potere di essere più inclusivo rispetto ad altri che non vivono la stessa condizione. Tu, hai il potere di educare te stesso, in primis, poi con la conversazione, con la partecipazione attiva, quanto ti puoi permettere di esserlo, devi sforzarti di cercare di rimuovere le barriere che si sono alzate davanti a te, devi cercare l’accessibilità ove possibile. La comunicazione negli ambienti di lavoro è importante. Ho fatto anche quello. La cosa importante è cercare di far conoscere a quante più persone possibili la condizione di “disabile invisibile”. Sensibilizzare in ogni modalità che ritiene possa essere di aiuto, fallo. Sensibilizza, fai. Esistono molte patologie invalidanti ma poco evidenti, questo porta ancora troppe persone a pensar male. Ci sono purtroppo tantissime persone che ogni giorno affrontano la propria lotta in silenzio, vivendo con patologie croniche o condizioni che limitano le attività del quotidiano. Oltre alle problematiche di dover gestire quotidianamente la patologia, queste persone affrontano stigmatizzazione e fraintendimenti sociali, poiché gli altri spesso non riconoscono la loro difficoltà, anche nel compiere semplici azioni come fare la fila al supermercato, sui mezzi pubblici….

Purtroppo, tutti noi “partiamo sempre” in quarta di fronte a quelle che crediamo ingiustizie e nel caso di un disabile invisibile rischiamo di metterlo a disagio; la disabilità in quella persona esiste, ma non è così evidente. L’abitudine a persone che si comportano in maniera scorretta induce a pensare che tutti siano in malafede. Le persone con malattie invisibili ci educano a non fermarci all’apparenza, a non giudicare un libro solo dalla copertina. Come sempre, le realtà vanno conosciute a fondo prima di esprimere giudizi. Oggi, purtroppo si è spesso portati a pensare che la disabilità sia un problema solo di chi la vive, che deve sempre far valere i propri diritti, anche quando sono evidenti. Figuriamoci cosa accade quando la disabilità non è neanche visibile!

Ecco perché, noi in primis, malati invisibili, dobbiamo metterci in prima fila e sensibilizzare il più possibile e se ci aiutano anche chi ci sta accanto, in famiglia, nella società, a lavoro, in chiesa, è apprezzato.

Vivere in questo mondo con disabilità è già abbastanza impegnativo, per favore non renderlo più arduo. Credo che tu abbia il potere e l’umanità per istruirti, imparare quali disposizioni sarebbero apprezzate e aiutare ad abbattere le barriere che dobbiamo affrontare. Come genitori, sorelle, amici e datori di lavoro, vi imploro di cogliere questa opportunità e di darci la possibilità di vivere le nostre vite al massimo.

Rosaria Mastronardo

Cosa è la Fibromialgia? Chi è la persona fibromialgica? Quali sono i sintomi? Qual è la causa? Diagnosi e terapia. Impatto sulla vita lavorativa. L’informazione alla persona affetta da Fibromialgia

Tante domande. Facciamo un po di chiarezza, scopriamola di più.

Chi è la persona fibromialgica?

Il fibromialgico è una persona che prima di approdare ad una diagnosi certa rimbalza per mesi, a volte anche per anni, da uno specialista all’altro: neurologo, ortopedico, infettivologo, psichiatra, reumatologo, ecc. Il problema vero è diagnostico. Le cause di questa sindrome non sono del tutto chiare e altrettanto incerti i suoi meccanismi. Difficile distinguere la Fibromialgia da altre patologie, visto che i sintomi riguardano più organi e più apparati, e non esistono test biologici. La persona affetta da Fibromialgia, per la particolare sintomatologia che si trova ad affrontare, spesso si sente attribuire la definizione di “malato immaginario”. Il dato fortemente emerso è proprio quello legato al persistere del dolore che non influisce solo direttamente sulla persona, ma coinvolge l’individuo anche nei suoi aspetti esterni come il lavoro, la famiglia, l’amicizia e i rapporti sociali.

Cosa è la Fibromialgia?

Il termine Fibromialgia (FM) deriva dal latino “fibra” che indica i tessuti fibrosi (come tendini e legamenti) e dal greco “mya” (muscolo) unito ad “algos” (dolore) e pertanto significa dolore muscolare. La FM è una forma reumatica extra-articolare caratterizzata non solo da dolore muscolo scheletrico diffuso, ma anche da profondo affaticamento e da numerose altre manifestazioni cliniche a carico di diversi organi ed apparati. Sono tanti i sintomi associati alla malattia che comunque ha prognosi benigna ossia non è una malattia degenerativa o fatale.

La medicina la definisce: “una sindrome da sensibilizzazione centrale caratterizzata dalla disfunzione dei neurocircuiti preposti alla percezione, trasmissione e processazione delle afferenze nocicettive, con prevalente estrinsecazione del dolore a livello dell’apparato muscoloscheletrico”.

In Italia, la FM, ha una incidenza fra il 2% e il 4% della popolazione e colpisce principalmente le donne in età fertile e lavorativa, con un rapporto di 9:1 nei confronti degli uomini, oggi il rapporto è cambiato, 7:3.

Quali sono i sintomi?

Dolore cronico diffuso

La FM comporta una tensione muscolare che provoca dolore, che in alcuni casi è localizzato (le sedi più frequenti sono il collo, le spalle, la schiena, le gambe), ma talvolta è diffuso in tutto il corpo e non ha limiti per intensità e diffusione. Può manifestarsi come dolore continuo, ma anche variare a seconda della parte del corpo affetta; secondo la durata e la frequenza, può manifestarsi come sindrome del “tutto fa male” oppure come dolori migranti. I pazienti lo descrivono come un profondo dolore muscolare, bruciore, crampo, dolore lancinante, come un colpo di coltello o come un coltello conficcato. In alcuni casi il dolore può diventare così intenso da interferire con l’esecuzione di normali attività di vita quotidiana come ad esempio compiere lavori domestici, vestirsi, lavarsi…

Rigidità

La sensazione di difficoltà nel movimento, generalizzata oppure localizzata al dorso o a livello lombare, è solitamente presente al risveglio, ma anche se si resta per qualche tempo fermi nella stessa posizione (seduti o in piedi). Alcuni fattori esterni come microclima e l’umidità possono peggiorarla. I muscoli tesi provocano rigidità e possono limitare i movimenti o dare una sensazione di gonfiore a livello delle articolazioni; è come se lavorassero costantemente per cui sono sempre stanchi e si “esauriscono” con grande facilità. Generalmente questa condizione non permette di riposare in modo adeguato: chi è affetto da FM ha un sonno molto leggero, si sveglia più volte durante la notte e alla mattina, anche se gli sembra di avere dormito, si sente più stanco di quando si è coricato.

Affaticamento ed astenia

La gran parte delle persone affette da Sindrome Fibromialgica riferisce astenia (affaticamento) moderata o severa, ridotta resistenza alla fatica, e/o comunque quella tipica stanchezza che ricorda quella riferita in corso di influenza.

Disturbi del sonno

Oltre che la difficoltà ad addormentarsi, il riposo notturno è caratterizzato da frequenti risvegli tanto da essere definito “sonno non ristoratore”.

Mal di testa e dolore facciale

Il mal di testa si caratterizza come cefalea nucale, temporale o sovra-orbitaria oppure emicrania, molto spesso ad andamento cronico (cioè la persona affetta da FM dichiara di soffrire di mal di testa da sempre). Frequentemente i fibromialgici presentano dolore a livello mascellare o mandibolare e in questi casi la sintomatologia viene confusa con una artrosi o una disfunzione della articolazione temporo-mandibolare.

Disturbi della sensibilità

Vista: annebbiamenti, difficoltà di messa a fuoco, facile affaticabilità, fastidio per esposizione a sorgenti di luci intense, naturali o artificiali.

Tatto: in particolare formicolii, diffusi in tutto il corpo oppure limitati ad un emisoma (cioè la metà destra o la metà sinistra del corpo) o ai soli arti. Inoltre è presente diminuzione della sensibilità, senso di intorpidimento o di “addormentamento” con la stessa distribuzione.

Udito: acufeni, fischi o vibrazioni possono essere percepiti all’interno delle orecchie, originati da spasmi dei muscoli tensivi del timpano.

Disturbi gastrointestinali

Difficoltà digestive, acidità gastrica, reflusso gastroesofageo, gastrite e dolori addominali spesso si manifestano in persone con FM anche in relazione ai cambiamenti climatici o a fattori stressanti. A questa condizione si associa generalmente la sindrome del colon irritabile (la cosiddetta “colite spastica”): alternanza di stipsi e diarrea con dolori addominali e meteorismo.

Disturbi urinari

Caratteristica della FM è una aumentata frequenza dello stimolo ad urinare o una vera e propria urgenza minzionale (in assenza di infezione delle vie urinarie). Più raramente si può sviluppare una condizione cronica con dolore a livello vescicale.

Dismenorrea

Molte delle dismenorree di notevole entità e scarsamente responsive alla terapia sono giustificate da una FM non diagnosticata. Anche il vaginismo (dolore durante il rapporto sessuale) è caratteristico della FM.

Alterazioni della temperatura corporea

Alcune persone affette da Fibromialgia riferiscono sensazioni anomale (non condivise dalle altre persone che stanno intorno a loro) di freddo o caldo intenso diffuso a tutto il corpo o agli arti. Non è rara una eccessiva sensibilità al freddo delle mani e dei piedi, con cambiamento di colore delle dita che possono diventare inizialmente pallide e quindi scure, cianotiche.

Alterazioni dell’equilibrio

Caratteristici il senso di instabilità, di sbandamento, vere e proprie vertigini spesso ad andamento cronico e che vengono spesso imputate all’artrosi cervicale o a problemi dell’orecchio. Poiché la FM coinvolge anche i muscoli oculari e pupillari, i pazienti possono presentare nausea e visione sfuocata quando leggono o guidano l’automobile.

Tachicardia

Episodi di tachicardia con cardiopalmo portano spesso i pazienti con FM a chiamare il Pronto Soccorso, per paura di una malattia cardiaca, soprattutto se si associa dolore nella regione sternale (costocondralgia), frequente nella FM.

Disturbi cognitivi

Difficoltà a concentrarsi sul lavoro o nello studio, “testa confusa”, perdita di memoria a breve termine (in inglese tali manifestazioni vengono definite “fibro-fog”, cioè annebbiamento fibromialgico).

Sintomi a carico degli arti inferiori

A carico delle gambe ci sono i sintomi rappresentati spesso da crampi, meno frequentemente da movimenti incontrollati, che si manifestano soprattutto di notte. Caratteristica nei pazienti con fibromialgia è la “sindrome delle gambe senza riposo”.

Sensazione di gonfiore

La soggettiva sensazione di tumefazione, dei tessuti molli descritta dai fibromialgici, può indirizzare erroneamente la diagnosi nel senso di una forma artica iniziale. Coinvolge per lo più le dita delle mani, ma anche i piedi e le ginocchia.

Parestesie

Questo termine indica una alterazione della sensibilità cutanea che determina,anche in assenza di stimoli, la percezione di sensazioni fastidiose quali formicolii o trafitture di spilli agli arti, alle mani o al tronco; bruciore e calore.

Allergie/Intolleranze

Una buona parte delle persone fibromialgiche riferiscono ipersensibilità a numerosi farmaci, allergie alimentari di vario tipo, allergie stagionali. Pur essendo queste manifestazioni comuni nella popolazione generale, in alcuni pazienti affetti da FM le allergie sono molteplici e rappresentano un aspetto preminente della malattia tale da impedire la normale alimentazione, lo svolgimento della attività lavorativa, ecc. In questi casi viene a configurarsi il quadro della cosiddetta “Multiple Chemical Sensitivity Sindrome”, o Sindrome da Intolleranza Chimica Multipla, nella quale i pazienti risultano ipersensibili a moltissime sostanze, dai farmaci ai cibi a sostanze chimiche di vario tipo, con gravi limitazioni nella vita quotidiana.

Aspetti psicologici

A volte, si arriva a scoprire di avere la Fibromialgia dopo lunghi pellegrinaggi tra medici specialisti, e questo, paradossalmente, porta a sperimentare una sorta di sollievo al momento della diagnosi: la sofferenza ha finalmente un nome, un’etichetta. Tuttavia, subito dopo, i sentimenti di tristezza, paura, rabbia, frustrazione, sconforto, incertezza, caratterizzano il vissuto emotivo di quasi tutte le persone che affrontano il momento nel quale si apprende di avere una malattia a carattere cronico. Ovviamente non esiste un modo unico di reagire, e spesso i disturbi psicologici derivano dalla difficoltà a gestire emozioni forti e assolutamente soggettive, che dipendono dalla capacità di adattamento alla patologia, dalle possibili modificazioni allo stile di vita e relazioni con gli altri, dalla propria storia personale e dalla capacità di comprensione da parte dei parenti. In questo senso, conoscere e distinguere le proprie emozioni, sapere che possono essere normali, può aiutare a rimodularle e non riversarle su sé stessi o su chi è accanto. Per questo è fondamentale condividere con partner, familiari e caregiver (ovvero coloro che assistono e prestano cure) informazioni corrette e complete sugli aspetti più salienti legati alla malattia, rafforzando e interpretando la propria situazione, attivando risorse personali e sociali, ed eventualmente ricorrere all’aiuto di professionisti.

Ansia e Depressione

Termini quali ansia e depressione sono spesso abusati, ed utilizzati nel linguaggio comune per definire stati di tristezza o agitazione. Definire queste due condizioni da un punto di vista psicodiagnostico e clinico è però complesso, e implica necessariamente la presenza di un quadro di sintomi per un certo periodo di tempo. Molte persone affette da FM raccontano di manifestazioni ansiose e/o depressive (a volte con attacchi di panico). Questa associazione ha fatto sì che in passato la Fibromialgia venisse considerata come un processo di somatizzazione, e purtroppo, ancora oggi, molti medici sono legati a questa ormai superata definizione. I numerosi studi sul rapporto tra ansia/depressione e FM hanno dimostrato inequivocabilmente che gli eventuali sintomi depressivi o ansiosi sono un effetto piuttosto che una causa della malattia. È infatti fondamentale distinguere tra depressione reattiva e depressione maggiore: la prima è una ‘’risposta” ad un evento doloroso (es. un lutto o appunto la diagnosi di malattia cronica), la seconda ha aspetti più accentuati ma difficilmente legati ad un fattore chiaro e scatenante. In alcuni casi, ad esempio, la depressione è legata a quel senso di solitudine che molte persone con FM raccontano, a causa della non visibilità della maggior parte dei sintomi da parte di chi condivide con loro l’ambito familiare, sociale o lavorativo. Spesso infatti ci si sente dire: ‘’Ma ti trovo benissimo!”, con gravi ripercussione sull’umore, sul senso di identità, dei rapporti di fiducia. Anche ansia e stress sono tipici delle fasi di acquisizione e riadattamento alla malattia, e non è raro che insorgano come manifestazioni tipiche ‘’anticipatorie”. È utile comprendere, però, se la risposta d’ansia si attiva in presenza reale di pericolo, se è proporzionata alla sua entità, e se, in assenza di quel pericolo, essa scompare. Ogni persona sperimenta ansia in diversi momenti della vita, ma per alcuni questa emozione può diventare un problema. L’ansia, generata dalla percezione di un pericolo, di una minaccia, implica una attivazione fisiologica fisica e mentale che sottrae energie al normale svolgimento delle proprie attività, e tutta la capacità di concentrarsi ed essere attenti è diretta alla fonte di paura. In tutti i casi, ciò che è fondamentale, è non reprimere le proprie emozioni, anche se sono negative, comprendere quali sono i propri bisogni, ed attivarsi nella ricerca di un sostegno ed un supporto, anche immaginando un percorso psicologico che aiuti ad affrontare la situazione in senso globale ed in ragione della sua complessità.

Qual è la causa?

Molte persone non sono in grado di identificare un particolare evento che abbia determinato l’insorgenza dei sintomi; nei casi in cui sia possibile risalire all’evento scatenante, questo è solitamente attribuito ad un trauma fisico o psichico, oppure fasi e periodi di particolare stress. Gli studi volti a capire le cause della malattia hanno documentato numerose alterazioni dei neurotrasmettitori a livello del sistema nervoso centrale, cioè di quelle sostanze di fondamentale importanza nella comunicazione tra le cellule nervose. Le due caratteristiche principali della FM sono infatti la iperalgesia e la allodinia. Per iperalgesia si intende la percezione di dolore molto intenso in risposta a stimoli dolorosi lievi; per allodinia si intende la percezione di dolore in risposta a stimoli che normalmente non sono dolorosi. Uno degli effetti della disfunzione dei neurotrasmettitori è la iperattività del Sistema Nervoso Neurovegetativo (una parte del nostro sistema nervoso che controlla con meccanismi riflessi numerose funzioni dell’organismo tra cui la contrazione dei muscoli, ma anche la sudorazione, la vasodilatazione e la vasocostrizione, ecc.) che comporta un deficit di irrorazione sanguigna a livello muscolare, con insorgenza di dolore ed astenia e tensione. Tipico della FM, come di altri disturbi neurovegetativi, è che l’andamento dei sintomi varia in rapporto a numerosi fattori esterni che sono in grado di provocarne un peggioramento: c’è una evidente influenza dei fattori climatici (i dolori peggiorano nelle stagioni “di passaggio”, cioè primavera e autunno e nei periodi di grande umidità), dei fattori ormonali (peggioramento nel periodo premestruale, peggioramento in caso di disfunzioni della tiroide), dei fattori stressanti (discussioni, litigi, tensioni sul lavoro e in famiglia).

Diagnosi e terapia

La diagnosi può essere formulata sia con i vecchi criteri classificativi del 1990, che richiedono la presenza di dolore muscoloscheletrico diffuso da almeno 3 mesi e la positività di almeno 11 trigger points sui 18 previsti, sia con i più recenti criteri diagnostici, formulati dall’ACR nel 2010, in cui, oltre al dolore cronico diffuso, viene attribuita maggiore importanza ai sintomi extra-scheletrici. Fino ad una decina di anni fa la FM veniva raramente diagnosticata, anche perché si riteneva che tale diagnosi non fosse di alcuna utilità, in quanto, si considerava la FM una patologia di natura psicogena e pertanto difficilmente curabile. Grazie alla scoperta dei meccanismi alla base della FM possiamo oggi utilizzare farmaci in grado di correggere i deficit implicati nella malattia (in particolare il deficit di serotonina). L’impostazione di un programma terapeutico per il paziente fibromialgico non può, però, essere basato solo sul sintomo cardine, ossia il dolore muscoloscheletrico; in alcuni casi i sintomi extrascheletrici, come le alterazioni del sonno e l’astenia, possono rappresentare, più del dolore, la causa del peggioramento della qualità della vita. È necessario considerare, inoltre, nel singolo paziente, i diversi sintomi e la variabilità temporale degli stessi. La terapia, pertanto, deve essere individualizzata e deve rappresentare un processo in continuo divenire; solo l’esperienza e la sensibilità del medico possono trovare il giusto mix per “quel paziente”. Un approccio terapeutico combinato ai problemi “mente-corpo” (ad esempio terapia farmacologia associata ad una psicoterapia e ad un adeguato esercizio fisico) potrebbe avere un effetto sinergico.

Impatto sulla vita lavorativa

La disabilità afferente al fibromialgico è ampiamente dimostrata da vari studi, disabilità che incide significativamente sull’attività lavorativa. Il dolore e l’astenia cronica sono elementi che generano disabilità e deficit, da semplici limitazioni (ad esempio per orario di lavoro) a limitazioni più complesse e sostanziali che possono portare anche alla perdita del lavoro stesso per scelta indotta. Tutto è reso più difficile anche e soprattutto perché, sulla quasi totalità del territorio italiano, la FM non è riconosciuta; per tanto è auspicabile che i nostri organi di Governo e i responsabili delle politiche sociali, rivolgano una maggiore attenzione al paziente FM, troppo spesso non valutato nella sua disabilità e nella sua non ottimale qualità di vita, con interventi finalizzati a migliorare tale svantaggio sociale.

L’informazione alla persona affetta da Fibromialgia

La richiesta più ricorrente espressa da chi soffre di FM, ribadiamo spesso etichettati come malati “immaginari”, è una maggiore attenzione all’ascolto, il riconoscimento di persona affetta da una patologia invalidante, accedere a percorsi multidisciplinari per affrontare, accettare e convivere al meglio con la cronicità legata alla malattia. Per ricostruire o conservare il senso di fiducia e un controllo sulla propria vita, è infatti fondamentale raccogliere informazioni, confrontarsi con altre persone con Fibromialgia, approfondire con letture certe e fonti attendibili, chiarire dubbi con professionisti, ed assumere un ruolo attivo senza identificarsi mai completamente nel ruolo di malato.

La cura di questo testo è del Dr Antonio Marsico e del Dr Angelo Semeraro (Reumatologi) e della Dr.ssa Ilaria Cinieri (Psicologa e Psicoterapeuta)

Come è di difficile spiegare la fibromialgia

Succede spesso quando discuto delle mie malattie croniche, come la fibromialgia e tutte le altre con uno qualunque, che non mi conosce bene e prova a mettere in relazione la propria esperienza personale e i suoi acciacchi con le mie malattie croniche; ho sempre l’impressione che non ha idea di come io mi senta veramente, sento questo “qualunque”, lontano chilometri e chilometri. Da un lato, apprezzo che stia almeno tentando di mettere in relazione la/le sue problematiche con le mie per potermi capire, dall’altro mi sento frustrata perché sembra proprio che accondiscende come se quello che racconto, non fosse vero e non faccia così male.

La fibromialgia non è “solo dolori muscolari“, come quello che provi dopo una giornata di lavoro pesante. È un dolore diffuso – su tutto il corpo, la maggior parte delle volte, è grave, è forte e ti lascia senza fiato. E’ un dolore “anormale”. Dolore , non solo dolori. “Il mio dolore cronico, da fibromialgia e tutto il resto, è molto di più che quel “solo dolore”.

La fibromialgia non è “solo stanchezza”, quella stanchezza che provi anche se ti diverti ballando o saltellando. È l’ estremo affaticamento e esaurimento delle tue forze fisiche, e non importa quanto tu possa riposarti o quanti farmaci prendi insieme a tutti gli integratori del mondo farmaceutico, quella stanchezza, quell’affaticamento saranno sempre lì anche dopo un mese di vacanza senza fare nulla, perché i nostri corpi non riposano come quelli degli altri.

La fibromialgia non è “solo avere problemi a dormire“. È una grave interruzione del ritmo del sonno, e talvolta una grave insonnia, che i farmaci non aiutano, senza considerare i numerosi effetti collaterali di questi farmaci. Non puoi lavorare o fare commissioni, perchè il giorno dopo rischieresti di addormentarti alla scrivania o al volante.

La fibromialgia non è “come avere l’influenza“. Sì, alcuni dei sintomi possono sembrare simili ma, i dolori e quel tipo di dolore sono molto peggio di quelli che avverti quando hai l’influenza, sono un po simili a quelli che avvertono tutti o quasi tutti, dopo una caduta da un dirupo oppure investiti da un’auto, però i tuoi, quelli della fibromialgia, non passano.

La fibromialgia non è “solo depressione“. La depressione stessa può essere debilitante, quindi non è una cosa facile da gestire, ma troppe persone pensano che quelli di noi con la fibromialgia abbiano solo bisogno di cure per la salute mentale invece di capire che questa malattia è principalmente fisica. A mio parere personale, l’aspetto depressivo è causato dai sintomi fisici che proviamo. È piuttosto difficile soffrire 24 ore su 24, 7 giorni su 7 con uno schema del sonno costantemente interrotto, e non finire depresso. Quando la pensi in questo modo, sembra piuttosto sciocco pensare che sia il contrario, specialmente quando così tanti di noi hanno dimostrato di essere in grado di stare bene mentalmente prima che i sintomi fisici diventassero troppo gravi. Molti con fibromialgia si spingono a fare tutto bene a un livello superiore a quello che dovrebbero per paura di deludere le persone. Le malattie invisibili sono più difficili da accettare e riconoscere per le persone.

La fibromialgia non è “una scusa“. È il motivo per cui non siamo in grado di fare tutto ciò che può fare una persona sana. Possiamo ancora vivere, dobbiamo solo farlo in un modo molto diverso da quello che la società ci impone.

Le malattie croniche, sia fisiche che mentali, ad esempio, non sono solo “malattie normali“. Sono implacabili. Colpiscono tutti gli aspetti della nostra vita, ogni giorno. Alcune sono invisibili, causando ancora più complicazioni. Dobbiamo imparare a convivere con loro perché non ci sono cure e, a volte, pochissimi trattamenti. Viviamo una vita complicata sotto tutti i punti di vista, ed è stancante, credetemi, vivere questa vita tentando anche di far capire quello che gli altri non vedono con gli occhi o toccano con mano, il “dolore”.

La malattia cronica non è “una scusa“. È il motivo per cui non siamo in grado di essere operativi come quelle persone sane.

La fibromialgia e il dolore ad essa collegato è difficile da spiegare. Spero di aver dato un piccolo contributo per comprenderla un pò meglio.

Rosaria Mastronardo

I numerosi cambiamenti delle abitudini dei pazienti fibromialgici.

Quando sviluppi la fibromialgia, stanne certo, potresti ritrovarti a fare cambiamenti nel tuo stile di vita per adattarti al meglio alla tua malattia. Che si tratti di dolore cronico, affaticamento, annebbiamento del cervello o depressione, i sintomi possono influenzare ogni aspetto della tua vita. Per gestire questi cambiamenti, siamo costretti ad assumere comportamenti che diventeranno in seguito la nostra routine per aiutarci a superare le numerose sfide fisiche ed emotive che dobbiamo affrontare.

Le abitudini più comuni “confessati” da alcuni pazienti di una comunità del web: https://themighty.com/

Ho sviluppato l’abitudine di non condividere i miei problemi di salute con nessuno, per paura di essere presa in giro, giudicata o essere discreditata. È diventato così grave che non solo taccio con amici e familiari, a volte evito di parlarne anche con i dottori, tanto faticano anche loro a credermi”.

Non mi trucco più. Perché farlo se sono costretta ad andare a letto tante di quelle volte per riposarmi un po? Ho smesso completamente di farlo”.

Ho la cattiva abitudine di digrignare i denti, mordermi la lingua o bloccare la mascella quando sono concentrata oppure ho molto dolore. Non me ne rendo conto, lo noto solo quando mi parte il dolore in faccia più tardi”.

Sono così stanca più di mattina che non ho nessuna sveglia, non fisso nessun appuntamento nella mattinata e il mio telefono è sempre in modalità silenziosa durante le mie normali ore di sonno”.

La rabbia è una mia abitudine. Mi sento come se fossi “cronicamente” arrabbiata. Sembra che nessuno capisca e tutti si aspettano che io sia una normale ventenne. Ho avuto la fibromialgia e la stanchezza cronica da quando avevo 4 anni. Quindi sono arrabbiata”.

Controllo costantemente le porte quando esco o vado a letto perché ho sempre il dubbio di non averle chiuse a chiave.”

Quando ho una “buona giornata”, esagero sempre. Ogni singola volta. Mi costringo a fare il più possibile prima di crollare definitivamente. Ho così tanti giorni in cui tutto ciò che posso fare è sdraiarmi a letto, quindi quando arriva quella “buona giornata” con un lieve dolore, non posso fare a meno di provare a fare tutto ciò che di solito non ho fatto quando stavo malissimo con il dolore. Ma lo pago sempre caro il giorno dopo, e a volte anche per un’intera settimana”.

Ho sempre in mente come risparmiare passi. Ne ho così tanta in me di energia e non posso permettermi passi extra se devo superare la giornata. Odio doverci pensare tutto il tempo invece di godermi le cose come vengono

Con la mia fibromialgia, ho sintomi di emicrania quasi costanti. Quindi ho sviluppato l’abitudine di coprirmi gli occhi se entro in una stanza con luci molto forti. Per me i cambiamenti della luce, dell’illuminazione possono essere dolorosi o travolgenti. Ricevo degli sguardi strani da persone che non mi conoscono

Quando preparo le valigie per una gita veloce e come se la facessi per un lungo viaggio. Devo assicurarmi di avere acqua, le mie medicine, un piccolo cuscino, un libro, le cuffie, salviette per neonati, utili perché la mia medicina mi fa sudare tanto e poi le mentine, le medicine mi fanno venire la nausea. Piccoli viaggi che sembrano grandi e lunghi viaggi. Devo essere preparata per qualsiasi situazione. La mia famiglia mi prende in giro, afferma che la mia “borsa” è come quella di Mary Poppins”.

Ho l’abitudine di dire: “Sto bene, sono sola stanca” se qualcuno chiede se c’è qualcosa che non va. Rispondo, solo “Sto bene” se qualcuno mi chiede come sto in generale”.

Mettere un cuscino tra le ginocchia e/o dietro il collo, sotto il braccio, ecc. Le ginocchia che si toccano, il collo contro il divano o il letto o la pelle che tocca un tavolo può essere così doloroso che non riesco a mettiti comoda, quindi ho cuscini ovunque”.

Una cattiva abitudine che ho preso da anni di stigmatizzazione medica è ridurre al minimo il mio dolore e in un certo senso non parlare di ‘sintomi minori’ finché non li ritengo ‘abbastanza importanti’. Perché non voglio essere vista come esagerata o ipocondriaca”.

Ho preso l’abitudine di tenere un’agenda nella borsa. Tutto viene scritto lì, nel caso perdessi il cellulare, e poi un post-it sul retro del mio telefono con momenti salienti/appuntamenti per la settimana”.

Prendermi cura di me seriamente. Prima della mia diagnosi, non pensavo all’impatto che aveva il prendersi cura della propria salute. Ora, i più piccoli atti di cura della mia persona hanno un maggiore impatto su di me, sia fisicamente che mentalmente. E con il fibromialgia, il benessere mentale va di pari passo con il tenere a bada i sintomi fisici”.

Ogni volta che tocco accidentalmente qualcuno, mi scuso immediatamente e chiedo se sta bene. Le persone ridono di me per questo, perché ‘ovviamente’ non ho fatto loro del male, ma è perché piccoli tocchi casuali possono ferirmi che abitualmente devo assicurarmi di non aver ferito accidentalmente nessuno”.

Manipolo costantemente le mie articolazioni. Scatto, scoppiettio, schiocco ogni mattina e alzo costantemente il collo e spingo verso il basso sui punti di innesco”.

Sono terrorizzata all’idea di fare progetti. Ci sono state moltissime occasioni dove ho dovuto annullare all’ultimo minuto. Le persone si arrabbiano e pensano che me lo stia inventando. Mi ritrovo a stressarmi al pensiero di fare progetti”.

Ho l’abitudine di isolarmi. Sono una persona molto allegra e socievole, ma scopro di passare sempre più tempo da sola. E non penso che sia eccessivamente salutare. È solo un’abilità di fronteggiare certe situazioni che si è trasformata in una cattiva abitudine. Non voglio che la mia zona di comfort diventi sempre più piccola”.

Ho preso l’abitudine di essere pronta e preparata per le possibili brutte giornate con dolori fortissimi.Ho pensato a tutto. Libri, film, programmi TV, frigorifero pieno, medicine ritirate, pulizia della casa, ecc.”

Quando il mio ragazzo o altri mi toccano oppure mi abbracciano i miei pugni si stringono immediatamente e le mie braccia si alzano per coprire la parte superiore del mio corpo in modo da fermarli e far capire che non possono farlo. Io la chiamo la mia posa da combattente. Non è intenzionale e accade senza un pensiero cosciente. Immagino che sia perché ho già sofferto così tanto ed è il modo in cui il mio corpo mi protegge da più dolore poiché solo un semplice tocco nell’area sbagliata può portare il livello del mio dolore in alto”.

Il ritmo – il ritmo è la chiave. Ho passato molto tempo a cronometrare me stessa facendo semplici lavori in casa e annotando quanto tempo impiegavo per il recupero delle mie forze e calcolando lentamente quanto tempo impiegavo per svolgere ogni attività prima di dover riposare senza che ciò mi causasse una riacutizzazione. Mi imposto dei timer quando faccio i lavori di casa per ricordarmi di fermarmi e fare una pausa”.

Abitudini, stili di vita che vengono stravolti perchè? Perchè soffriamo di una malattia cronica ed invalidante ancora non riconosciuta dal nostro SSN e che ancora non ha una cura, linee guida inesistenti, medici poco preparati per una corretta diagnosi e tanti tanti ciarlatini, in virtù di questi “vuoti” che promettendo miracoli, sono capaci di venderti tutto.

Allontanatevi dai ciarlatani e dai venditori di fumo, sono peggio dei dolori della vostra fibromialgia.

Rosaria Mastronardo

Con troppe diagnosi non è facile guardare il lato positivo della vita ma, ci provo.

Andiamo avanti……..

Le malattie croniche influenzano moltissimo tutti gli aspetti della mia vita. Ho molteplici malattie e sindromi che si incrociano tra di loro, sono difficili da trattare e interferiscono completamente su tutte le parti del mio corpo, con pochissime esclusioni, forse nessuna.

Ho scritto molto del mio dolore, dolore cronico. Forse in pochi sanno che non ho solo la fibromialgia ma, diverse patologie/malattie/sindromi. Ho deciso di renderle pubbliche perché, in questi giorni, mi sento sola e incompresa anche da chi ti sta vicino e dice di capirti. Mi sento come una “macchina” trascorro le mie giornate con il pilota automatico e sogno ad occhi aperti il momento in cui posso finalmente stendermi sul mio letto e provare a dormire e/o riposare.

Forse qualcuno non troverà interessante quello che scriverò ma, è importante per me.

Voglio essere vista e conosciuta non per diventare famosa, non per protagonismo, non me ne frega nulla, desidero far sapere SOLO quello che vivo ogni singolo giorno; non deve essere un segreto, meglio si sa di chi vive come vivo io, meglio è; lo faccio anche per sentirmi meno sola nelle dure sfide della quotidianità.

Sono purtroppo affetta da: Fibromialgia, Artrite Psoriasica, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteoartrite di 4° livello alle caviglie che ha danneggiato gradualmente cartilagine e tessuti circostanti, tanto da non riuscire più a camminare per lunghi tratti, Neurolisi del nervo ulnare bilaterale, già operata una volta al braccio sinistro, Spasmofilia, Cefalea, Psoriasi, Gastrite, Discopatie, Ernie e altro, mi fermo nell’elenco perché potrei sembrare in fin di vita. In alcuni momenti, vi giuro che, mi sento finita dentro.

Sono una mamma, una donna, una moglie, una lavoratrice e volontaria. Ebbene, si. Sono tutte queste cose. A volte mi viene da pensare che se non fossi malata potrei essere una “wonder woman“.

Ognuno ha il proprio insieme di sintomi che rendono difficile affrontare le sfide della vita. Non è semplicemente convivere con il dolore cronico. Ci sono così tanti altri sintomi che interferiscono con tutte le mie attività quotidiane, sintomi alcuni invisibili che solo io so che esistono e che provo sulla mia pelle, su ogni parte del mio corpo.

Una giornata tipica della mia vita consiste in una moltitudine di decisioni che portano a una reazione a catena su come andrà il giorno successivo, o anche la settimana successiva. Tutto, dalla cosa, il lavoro, il volontariato: è un consumare energia tutte le volte che faccio qualcosa, e tutte le volte che ne faccio una mi chiedo sempre se avrò la forza per fare la seconda, la terza e così via. Non sono uguali i giorni. Ci sono giorni buoni e giorni poco buoni ed io sono sempre li che faccio una cernita delle mie attività. E’ sempre così, tutti i giorni che Dio mette in terra.

Sono una mamma.

Fare la mamma non è facile. Ho desiderato essere mamma. Ho avuto un figlio che adoro. Cerco di stargli accanto il più possibile, anche se ora è grande ma, la mamma è sempre tale anche quando i figli crescono e sono autonomi. Non si smette di essere mamma, mamma si è SEMPRE.

Sono moglie e donna

Ho la fortuna di avere un uomo accanto che, nonostante le differenze caratteriali, è un uomo bravo e comprensivo. Credo, anzi sono certa che, non è facile vivere accanto a persone malate come me, che hanno bisogno sempre di un sostegno, di una mano, di essere moglie sempre. In questo, mi reputo fortunata. Il mio uomo, c’è.

Sono una lavoratrice

Sono fortunata, perché ho un lavoro. So quanto è difficile oggi avere un lavoro stabile. Sono fortunata anche perché, essendo il mio lavoro, tele-lavorabile, svolgo la mia attività da casa. Qualcuno, potrebbe pensare che sono una “privilegiata”. Forse si o forse no, non giudicate senza sapere. Non è che lavorando a casa la mia situazione di salute migliora. Io sono una malata cronica e cronica rimango anche se sono una telelavoratrice. Quindi, non avrò certo tutte quelle difficoltà che hanno tutti quelli che si recano sul posto di lavoro: alzarsi presto, preparasi, traffico, e altro ma i miei dolori, le mie difficoltà a stare seduta e ferma per lungo tempo non aiutano la mia condizione. Ho tanti vantaggi, è vero ma, la situazione “dolore cronico” non cambia, quello non via neppure se sei a casa. C’è, punto.

Sono una volontaria

Le mie numerose malattie/patologie/sindromi non sono venute tutte insieme, un po per volta, sono state “educate” con me, si sono presentate, tutte casualmente diagnosticate, una alla volta. All’inizio, mi fu diagnostica la fibromialgia e poi a seguire tutte le altre. Con la fibromialgia è iniziata la voglia in me di fare qualcosa. Malattia poco conosciuta, difficile da diagnosticare, ancora carente di un marcatore per una esatta diagnosi, non riconosciuta dal nostro SSN, tanti “sciacalli” in giro per il mondo che, in virtù di tutto quanto sopra detto, ti proponevano di tutto e di più promettendoti la guarigione, associazioni che pur di fare cassa e mostrarsi in TV, ti promettevano l’impegno a prendersi cura di te. Niente di tutto questo è accaduto, anzi, nonostante il mio impegno in alcune di esse, ho lasciato definitivamente quell’ambiente e mi dedico all’Auto Aiuto e collaboro solo con quelle Associazioni che, seriamente, si impegnano in questa lotta infinita per il riconoscimento, la sensibilizzazione e altro per la fibromialgia e per un concreto sostegno nei confronti dei malati cronici, anche se invisibili. Sono facilitatrice di due gruppi di Auto Aiuto.

All’inizio con alcune associazioni ho preso parte a numerosi eventi. Organizzarli, non era facile. Però, per il bene comune, stringi i denti e vai avanti. Oggi, ho deciso di non organizzare più nulla. Se qualcuno mi propone una partecipazione, volentieri aderisco ma, non organizzo nulla e non desidero far parte di nessuna associazione di malati fibromialgici, mi viene l’orticaria solo al pensiero.

Ho anche una passione, in verità ne ho diverse ma, alcune, per le mie malattie, non posso più fare, ne ho lasciata solo una. La scrittura. Amo scrivere. Non scrivo poesie, non scrivo racconti. Tutto quello che scrivo riguarda la mia situazione di malata cronica, invisibile, ignorata, nella società, nel mondo del lavoro e dallo Stato. Riporto testimonianze di malati ma, anche di vita vissuta, scrivo della mia esperienza con i gruppi di Auto Aiuto. Credo che, scrivere certe testimonianze di vita con il dolore cronico, con le malattie invisibile sia un modo per far conoscere le difficoltà di vita di persone che vivono questa condizione e soprattutto sensibilizzare quanto più possibile sul tema.

Forse a qualcuno questo testo, nel leggero, gli avrà portato un po di depressione o disgusto. Non è certo un testo divertente, di divertente, nel descrivere la vita di un malato cronico, non c’è nulla.

La vita di un malato cronico è così e in alcuni casi, anche peggio.

Vi confesso che le mie giornate, non sono tutte uguali, il mio umore cambia in virtù dell’intensità del dolore, delle mie difficoltà nel fare qualsiasi cosa. Piango, si a volte mi capita anche di piangere dal dolore, e ripeto a me stessa: resisti, combatti, vai avanti, non arrenderti. Hai ancora tanto da fare, da dire, da vivere. Una cara amica ieri mi ha ricordato che devo anche sapere ascoltare la malattia e fermarmi quando è alta la sofferenza, il dolore. Ha ragione da vendere la mia amica, ha ragione. Mi impegnerò ancora di più.

E come ci diciamo sempre io e lei: andiamo avanti…..

Rosaria Mastronardo

Le questioni relative alla diagnosi e al trattamento del dolore cronico.

Quando si parla di gestione e trattamento del dolore cronico bisogna partire dall’inizio. La semplice ragione è che, prima di poter iniziare a parlare di gestione o trattamento, è necessario sapere che cosa è esattamente il dolore cronico. Per questo, hai bisogno di una diagnosi.

L’ Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) definisce il dolore cronico come: “dolore che si estende oltre il periodo di guarigione dei tessuti e/o con bassi livelli di patologia identificata che non sono sufficienti a spiegare la presenza e/o l’entità del dolore e persiste da più di tre mesi”.

Occorre anche conoscere la nuova classificazione del dolore secondo l’ultima Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11), che delinea il Dolore Cronico Primario e il Dolore Cronico Secondario.

Il dolore cronico secondario è suddiviso in sei sotto-categorie: dolore cronico correlato al cancro, dolore cronico post-chirurgico o post-traumatico, dolore neuropatico cronico, cefalea o dolore oro-facciale secondario cronico, dolore viscerale secondario cronico e dolore muscoloscheletrico secondario cronico.

Continua ad essere difficile per un operatore sanitario (HCP) diagnosticare il dolore cronico, poiché non ci sono strumenti facili a portata di mano per farlo. I controlli di routine come la pressione sanguigna, l’analisi del sangue, i raggi X o le scansioni MRI non mostrano l’esistenza di dolore cronico. Non è disponibile alcun test semplice. Qui abbiamo il primo ostacolo: non ci sono criteri per stabilire l’esistenza del dolore cronico.

Secondo un sondaggio condotto da Pain Alliance Europe (PAE) nel 2017 sulla diagnosi e il trattamento di 3.490 pazienti provenienti da 17 paesi europei , questo è un grosso problema. Uno su cinque ha affermato di aver dovuto aspettare oltre 10 anni per ottenere una diagnosi. Questo intervallo di tempo è stato conteggiato a partire dalla prima volta che hanno visto un operatore sanitario. Quasi sette su 10 hanno dovuto aspettare più di 12 mesi per essere diagnosticati.

Tenendo presenti i criteri IASP, i pazienti con dolore cronico di lunga data hanno convissuto con il dolore ben prima ancora di avere una diagnosi. Un ulteriore punto negativo è il fatto che le persone con dolore cronico di solito aspettano troppo a lungo prima di visitare i loro medici per i loro disturbi del dolore. Molte persone parlano di cercare aiuto, alimentate dallo stigma che circonda il dolore cronico. Pensano: “Sto invecchiando quindi dovrei aspettarmi un po’ di dolore”, “Non voglio disturbare nessuno, persevererò”, “Mi riposerò, farò di meno e passerà”, “Posso non andare dal dottore ogni volta che fa male”, “Nessuno capisce cosa sto passando”.

Alla fine, ho una diagnosi: dove vado dopo?

Poiché il dolore e il dolore cronico sono antichi come il mondo, ci si potrebbe aspettare che nel tempo si siano sviluppate buone pratiche per affrontare questo problema; eppure non è così. Perché è così?

Il dolore cronico è un problema di salute complesso. Ha elementi biologici, psicologici, sociali ed economici. Tutte queste sfaccettature sono correlate e la relazione tra di esse dipende dalle circostanze, dalle aspettative e dalle capacità di ciascun individuo. Stiamo parlando solo dal punto di vista della persona con dolore cronico. Questa interazione sarà influenzata anche dal modo in cui quella persona è vista dalla società e da quanto bene può affrontare tale controllo. Un’altra sfida importante per le persone con dolore cronico è avere l’opportunità di mantenere il proprio posto di lavoro o di trovare un nuovo lavoro adatto alle proprie capacità. Ciò ha un enorme impatto sulla loro indipendenza finanziaria.

Questo è il motivo principale per cui non sono state sviluppate terapie valide per tutti. Ciò che si è sviluppato nel tempo, quando il mondo scientifico ha iniziato a rendersi conto che una persona è qualcosa di più di un semplice corpo diviso in parti, sono i programmi multidisciplinari. Ma anche questi programmi non soddisfano le diverse esigenze di tutti i pazienti e spesso vengono sviluppati senza alcun contributo da parte delle persone con dolore cronico o dei loro rappresentanti.

L’indagine del PAE ha rilevato che a quasi quattro intervistati su 10 non è stata offerta alcuna terapia aggiuntiva, rimanendo invece sotto la supervisione del proprio medico di famiglia. Come se ciò non bastasse, quasi otto su dieci non sono rimasti soddisfatti della terapia offerta, riferendo che non ha soddisfatto le loro aspettative.

Abbiamo affrontato gli aspetti biologici del dolore cronico e cosa fare al riguardo. Tuttavia, sappiamo che ci sono altri componenti che influenzano la qualità della vita (QoL) delle persone con dolore cronico. I fattori sociali giocano un ruolo importante in questo: la situazione familiare del paziente, come reagiscono i suoi vicini, amici, parenti e datori di lavoro, e così via; e situazioni quotidiane che mettono i pazienti di fronte ai loro difetti. Il modo in cui la società e i datori di lavoro si avvicinano alle persone con dolore cronico è stato esaminato dal PAE nella loro indagine del 2019 su dolore e stigma ; e i risultati sono, francamente, scioccanti.

Nei contesti familiari, l’ambiente in cui le persone dovrebbero aspettarsi di sentirsi “al sicuro“, i pazienti con dolore cronico hanno riferito di essere stati confrontati con approcci stigmatizzati. Dai partner, il tasso è superiore a quattro su 10. Da parenti e amici, è superiore a sei su 10. Anche tra i caregiver, tre su 10 hanno riferito di sentirsi stigmatizzati.

È chiaro che queste circostanze possono contribuire a problemi psicologici come depressione, ansia e persino tentativi di suicidio.

Ma lo stigma associato al dolore cronico non è solo negli ambienti familiari, è ovunque. Le persone hanno riferito di averlo sentito da operatori sanitari, datori di lavoro e colleghi di lavoro, durante attività sportive e ricreative, in ristoranti e luoghi simili, anche in luoghi pubblici in generale dove l’interazione è anonima. È un problema sociale significativo, aggravato dalla realtà che è invisibile.

Influenza della pandemia

Da qualche tempo, il mondo sta affrontando una pandemia senza precedenti. Poiché le persone con dolore cronico sono persone normali, sentono anche gli effetti delle restrizioni.

Il PAE ha appena concluso un’indagine approfondita sulle conseguenze della pandemia di COVID-19 sulle persone con dolore cronico .I risultati mostrano quanto siano gravi gli effetti. Il QoL complessivo prima dell’inizio della pandemia era in media di 6,66 su una scala da 0 a 10. Ora, dopo un anno di pandemia, quel QoL è sceso a una media di 5,15, con un calo del 22%.

La metà degli intervistati ha riportato un aumento dell’intensità del dolore, la metà ha riportato un sonno peggiore e due su tre hanno riferito un umore peggiore. Tuttavia, il fatto più allarmante è stato che quasi tre persone su 10 hanno riferito di non avere nessuno con cui parlare dei propri problemi.

Riepilogo

1 Il problema principale per la persona con dolore cronico è una diagnosi rapida e accurata e una terapia adeguata adattata alle circostanze personali.

2 Dal punto di vista politico è imperativo che la definizione ICD-11 di dolore cronico sia adottata dagli Stati membri dell’UE ed esiste una chiara tabella di marcia paneuropea su come raggiungere questo obiettivo. È fondamentale consentire ai ricercatori di recuperare i dati per sviluppare opzioni di intervento mirate.

3 Dal punto di vista della prevenzione, è importante che venga avviata una campagna pubblica a lungo termine in modo che le persone si rechino prima dal proprio medico e si possa prevenire la “cronificazione” del dolore.

4 Per la società, è importante avviare una crescente accettazione del fatto che ci sono persone nella società che sono meno fortunate, ma che tuttavia meritano un posto nella società senza pregiudizi.

Quando ciò accadrà, noteremo che i costi legati al dolore cronico diminuiranno, la situazione economica per l’individuo migliorerà e la società nel suo insieme ne trarrà beneficio.

Riferimenti

Sondaggio PAE 2019 – short.indd (pae-eu.eu)

Short-Report-PAE-sondaggio-approfondito-su-Covid-19-e-CP.pdf (pae-eu.eu)

Mariana Branco

Coordinatrice Affari UE

Pain Alliance Europe

http://www.pae-eu.eu

Quando è l’ora di cambiare medico?

Un medico che ha frequentato la facoltà di medicina e ha conseguito una specializzazione ha sicuramente più esperienza nel campo prescelto rispetto ad una persona che non ha la stessa preparazione. Tuttavia, questo non garantisce sempre che saranno in grado di essere “giusti” per svolgere quella professione e anche se sono specializzati in un campo correlato alla fibromialgia, come la reumatologia o la gestione del dolore, non sempre questo significa che siano dei validi professionisti.

Trovare un medico che ti ascolti, che si prenda cura di te e sia ben informato sulla fibromialgia o almeno è disposto a imparare, può essere complicato; è complicato. Noi che viviamo con questa malattia lo sappiamo benissimo e per alcuni, la ricerca di nuovi medici può essere limitata da diversi fattori come ad esempio la posizione sociale e il proprio portafoglio. Tu che leggi e in questo momento sei alla ricerca di un “bravo” dottore per la tua fibromialgia, ti possono essere utili alcuni suggerimenti, alcuni “segnali di avvertimento” a cui dovresti prestare attenzione e che potrebbero aiutarti a determinare se questo medico sarà adatto a te.

Sappiate tutti che, meritate di essere trattati con rispetto e compassione, sempre. L’elenco dei suggerimenti è stato suggerito da una community presente sul web e che si occupa di dare informazioni, supporto e tanto altro a chi soffre di dolore cronico e in particolar modo di fibromialgia: https://themighty.com/

  • Se credono che la fibromialgia sia “psicosomatica“.

Quando leggete il termine “psicosomatico” nel referto dopo la visita oppure quando il reumatologo che vedi non prescriverà farmaci per alleviare il dolore perché secondo il suo parere la “fonte” del tuo dolore è il sovrappeso anche se ti ha appena diagnosticato una malattia cronica.

  • Se non ti ascoltano durante il tempo della visita.

Osservate il medico durante la visita; se gli avete portato degli esami, verificate che li legga e se trattasi di esami diagnostici, fate attenzione. Se legge il referto scritto dal professionista che ha eseguito l’esame oppure verifica il supporto magnetico, fa la sua differenza; se sono superficiali o annoiati durate il tempo della visita.

  • Se non sembrano preoccuparsi del tuo benessere.

Se il medico sembra insensibile o indifferente. Oppure non vuole impegnarsi per aiutarti a trovare anche il più minimo sollievo alla tua sofferenza.

  • Se liquidano i tuoi sintomi come: è “solo” depressione.

Quando suggeriscono che tutti i tuoi sintomi, anche quelli con evidenza diagnostica contraria, sono il risultato di una depressione, la tua depressione. Anche se gli fai notare che farmaci antidepressivi, con dosi doppie e farmaci per l’ansia che ti hanno già prescritto altri medici ma, che hanno poco o nessun effetto, non esitare.

  • Se non considerano la fibromialgia una sindrome e/o una malattia seria e reale

A quanti di voi che leggete vi è capitato di sentirvi dire: “la fibromialgia non esiste”? Non pensateci più di tanto.

  • Se non hanno una mentalità aperta riguardo alle opzioni terapeutiche e non ne discuteranno con te.

Quando, disperati e frustrati dal dolore cercate di far capire loro con quali sintomi state veramente lottando e chiedete cosa può consigliarvi e vi sentite rispondere: “Niente, fa solo parte della vita” senza neppure proporvi tante e tantissime “soluzioni alternative” che potreste provare oltre ai farmaci, desistete.

  • Se credono che tu stia “bene” perché tutti i tuoi test sono negativi.

Vi sentite dire: “sei sana come un pesce” mettendovi davanti agli occhi i fogli con gli esiti dei test e voi continuate a raccontare di quanto state male, di come non potete più alzarvi la mattina per lavorare, di quanta difficoltà avete per addormentarvi, di quanto dolore provate anche solo se sfiorati, lasciate stare, non capirà mai.

  • Se ti dicono di “essere più positivo“.

Quando vi dicono che dovete solo tirarvi su il morale e magari fare yoga, voi seguite pure il suo consiglio ma, cambiate medico.

Correte e correte lontano quando vi trovate davanti a casi come quelli sopraelencati. Un professionista serio, disposto ad ascoltarvi a prendersi cura di voi, c’è la fuori, non è facile ma c’è. Ricordatevi anche questo, una cura per la fibromialgia NON E’ STATA ANCORA INDIVIDUATA, tutto quello che possono suggerire qualche bravo e coscienzioso medico potrà solo alleviare il nostro dolore e non sottovalutate la vostra forza. Consapevolezza, conoscenza e determinazione sono ottimi “rimedi” per evitare cialtroni e venditori di fumo, il mondo è pieno di furbetti.

Rosaria Mastronardo

I comuni preconcetti che la fibromialgia è un disturbo psicosomatico o somatoforme, che non è curabile, che è una diagnosi di esclusione o un “cestino dei rifiuti” delle diagnosi e che la maggioranza dei pazienti fibromialgici sono degli ipocondriaci o dei “piagnoni” sono infondati e insopportabili!

David A. Nye, della Midelford Clinic.