Le “amiche” invisibili.

Hai la fibromialgia ma, non solo quella.”

Le parole che hanno cambiato completamente la mia vita.

Vuoi dire che non è una malattia terminale? Oh bene, perché fino a quel momento pensavo davvero di morire! Aspetta cosa? Ma è solo una malattia? Si, è cronica, significa per tutta la vita. Così un giorno mi sono ammalata e mi ci è voluto molto tempo per accettare il fatto che non sarei mai guarita. Mai. Quindi, non è terminale, ma la mia vita come la conoscevo una volta era finita, non ero più la stessa.

Con la fibromialgia, soprattutto all’inizio, non mi sentivo viva, vedevo svanire il mio futuro, i miei sogni, si era preso tutto, tutto il mio respiro. Quella “bestia” non è venuta da sola. NO! È come un soldato in guerra, arriva con le truppe. Una dietro l’altra, nel corso di circa otto anni, una “schiera di soldati”: Artrite Psoriasica, Psoriasi, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteocondrite di 4° livello alle caviglie, Spasmofilia, Artrosi mani e piedi e non è questo l’ordine. Alcune di queste malattie prevedono qualche piccola esenzione, le prime due, per tutte le altre, compresa la Fibromialgia, NON C’È’ NULLA, si paga tutto ed inoltre, non essendo neppure “considerate” dal SSN devi continuare a lavorare senza “sconti”, riduzione dell’orario, riposo anticipato, etc, etc.

Se pensate che queste condizioni siano le peggiori, vi sbagliate, non lo sono. È un’orribile condizione di dolore cronico che colpisce i miei muscoli, i nervi, articolazioni e persino i tendini. Emicrania, sciatica, sensibilità al caldo e al freddo e intorpidimento. La lista potrebbe continuare all’infinito. Non mi sentivo normale da anni, non posso essere neppure toccata. Anche il graffio più leggero fa male ed è fastidioso. Indosso sempre abiti, pantaloni prevalentemente, larghi, perché arrivano giorni che anche i vestiti che indosso fanno male, bruciano la pelle. La depressione e l’ansia sono le “cuginette” di chi vive questa vita con questa “bestia” e le sue “truppe”. E mentre penso che sia un dato di fatto sviluppare ansia e depressione con tutte queste malattie croniche, qualche medico, afferma che sono queste che scaturiscono le altre. Mentirei a me stessa se dicessi che non ce l’ho perché provate entrambe.

Alla malattia cronica nella mia vita, non ci pensavo, credo che nessuno si aspetta mai di ammalarsi e scoprire che non migliorerà mai. La parte più difficile per me è stata quella di realizzare di non essere in grado di prendermi cura di me stessa, della mia vita, di perdere il controllo di tutto. Non mi riconoscevo nemmeno più: chi era quella persona nello specchio?

Forse ho tralasciato qualcosa. Di sicuro, perché quando si è particolarmente stanchi, quando quella stanchezza cronica prende il sopravvento sento un po’ della famosa “nebbia fibrosa” o “fibro-fog”. Sono sincera, nel mio caso, non è stata molto presente ma, ultimamente, l’avverto di più e per come sono, per come ero, è bene dire, per la mia “vecchia me”, è la cosa più fastidiosa che possa provare.

Non riesco nemmeno a parlare con i dottori senza sentirmi come se stessi mentendo. Devo portare con me una lista, altrimenti non ricordo nemmeno perché sono lì, e nemmeno le mie stesse parole.

Ormai, faccio liste per tutto, non solo per la spesa e per i medici ma anche per quello che devo fare durante il giorno. Faccio così. Sulla scrivania nel soggiorno ho dei foglietti ritagliati a questo scopo, ogni volta che ricordo quella cosa che volevo fare ma che poi ho dimenticato, la scrivo immediatamente, come si dice: “A mali estremi, rimedi estremi” o se preferite “extremis malis, extrema remedia“.

I medici?

Quelli poi, non ascoltano nemmeno, trattano i pazienti con malattie croniche come se fossero pazzi, bugiardi e lì per avere la droga. È così ridicolo. È divertente, in un certo senso. A volte mi guardano come per dire, “Bene, cosa ti aspetti che faccia per te?” Che vuoi che ti dica caro dottore, non ti posso aiutare come, del resto, non puoi fare tu, almeno fai una faccia di quello che capisce e comprende, non quella a cxxxx di cane.

Cosa ti aspetti che faccia per te?” Non guardarci e dirci che la fibromialgia non è reale dopo anni di lotta e di essere a malapena in grado di muoversi, mangiare, respirare e vivere. Non dirci di fare esercizio quando abbiamo provato a farlo! Non raccontateci “chiacchiere”, diteci semplicemente la verità. Vogliamo sentirci dire che è difficile vivere con una malattia cronica figurarsi con più di una e che tu, medico, ti adopererai in tutti i modi per alleviare il nostro dolore avendo cura di non danneggiare il resto, che non sponsorizzerai associazioni e strutture per farci fare quella ginnastica “miracolosa” che fa bene, hai giurato ricordi? Ricordati della dignità del malato, ricordati del rispetto della sua vita, della diligenza nell’esercizio della professione, dei doveri inseriti nel Codice che ogni medico è tenuto a rispettare.

Non posso affrontare il mio passato, i ricordi della mia vita, di quando ero sana. Ho dovuto affrontare un processo di lutto completo con tutta questa faccenda e mi sono davvero stancata di dover spiegare a tutti cosa c’è “che non va in me“.

Oggi la mia vita è cambiata. Mi sono dedicata all’auto aiuto, facilito due gruppi di auto aiuto sulla fibromialgia, leggo, scrivo, continuo a lavorare. Sono mamma e moglie. Quando posso, esco. Non sono sola però, nella maggior parte delle volte sono in compagnia delle donne che fanno parte dei gruppi che facilito, amiche che comprendono bene le mie difficoltà. Scrivo sul mio blog e poi condivido sui vari Social Network. Devo concentrarmi su quello che sto facendo oggi e non pensare al domani, vivere giorno dopo giorno, cercando di non farmi soccombere dai tanti pensieri negativi.

Ieri mi sono sentita orgogliosa di me. Sapete perchè? In una settimana, sono riusciuta a pulire da sola, contro il volere di mio marito, sempre preoccupato per me, 6 finestre della mia casa. Erano settimane che le guardavo così sporche ed ero desiderosa di volerle pulire ma, ogni volta che ci pensavo, ero già stanca. Un giorno, inizio e finisco dopo una settimana. Sono 6 finestre da 60×130. Oggi sono pulite e sono riusciuta a farcela da sola. La mia vita oggi è così. Faccio quello che mi sento di fare, quando il mio corpo mi fa capire che posso. All’inizio era pesante sopportare tutto questo, una volta che capisci che non puoi fare quello che facevi prima, ti senti meglio e persino orgogliosa di essere riusciuta a portare a termine quel lavoro. Vi confesso però che, nonostante il lungo tempo per realizzare questa cosa, mi sono riempieta di cerotti medicati, ho comprato quelli colorati, così è stato anche divertente coprirsi di cerotti colorati.

Per finire. Penso seriamente che chi vive con malattie croniche e degenerative deve trovare un supporto. Il “proprio supporto”; il supporto è soggettivo e può essere diverso dagli altri. Bisogna sforzarsi di trovare quello che fa bene a te in quel momento. Non seguire l’esempio di altri, ascoltati e cerca di capire cosa è giusto per te. Sento che questo è molto importante perché per alcune persone con malattie croniche, la mancanza di supporto e comprensione porta al suicidio. La nostra malattia è invisibile solo se lasciamo che sia. Educare, sperare e non smettere mai di pensare che un giorno una cura ci sarà.!

Rosaria Mastronardo

Salute mentale e fibromialgia.

Avere una malattia o un disturbo mentale non significa avere la fibromialgia

La salute mentale può essere un argomento molto delicato e ci sono molte persone che lottano con questo problema tutti i giorni. La fibromialgia è un disturbo che può avere un effetto serio e profondo sulla salute mentale di una persona. La fibromialgia è una condizione cronica che provoca dolore diffuso in tutto il corpo, oltre a stanchezza e altri sintomi correlati. La fibromialgia può essere una condizione molto difficile e debilitante con cui convivere essendo una malattia cronica, cioè, è per sempre, ed è importante comprendere l’effetto che può avere sulla salute mentale di un individuo.

Il dolore fisico e l’affaticamento associati alla fibromialgia possono mettere a dura prova la salute mentale di chi ne soffre. La natura cronica della condizione può far sembrare che non ci sia una fine alla sofferenza, portando a sentimenti di disperazione. Il dolore e l’affaticamento influiscono anche sul sonno, non si dorme bene con la fibromialgia e questo impatta notevolmente sulla salute mentale. Non dormire bene, non riposare bene può portare a sentimenti di irritabilità e affaticamento, che possono ulteriormente esacerbare i problemi di salute mentale associati alla fibromialgia.

Anche il carico emotivo di vivere con la fibromialgia può essere difficile da affrontare. Molti malati di fibromialgia scoprono di lottare con la depressione e l’ansia a causa della loro condizione. Possono anche sorgere sentimenti di isolamento e solitudine, così come sentimenti di colpa e inadeguatezza. Queste sono tutte emozioni molto comuni per le persone che vivono con la fibromialgia ed è importante riconoscerle e affrontarle.

Anche i disturbi cognitivi associati alla fibromialgia possono anche avere un serio effetto sulla salute mentale di una persona. Chi soffre di fibromialgia spesso ha difficoltà di concentrazione, problemi di memoria e mancanza di lucidità mentale. Ciò può portare a sentimenti di frustrazione e confusione, nonché difficoltà nel portare a termine i compiti e portare a termine gli impegni.

Non bisognerebbe mai dimenticare che la fibromialgia ha un effetto molto reale e profondo sulla salute mentale di una persona. Il supporto di familiari, amici e operatori sanitari può essere prezioso per aiutare a gestire questi problemi. Poterne parlare, cambiare i propri stili di vita e alcuni farmaci possono essere tutti utili nella gestione dei sintomi della fibromialgia e dei problemi di salute mentale associati ad essa.

Non fatevi condizionare da quei “dottorini” che, ignorando o negando la fibromialgia, vi considerano malati di mente. Noi fibromialgici siamo costretti a lottare tutti i giorni con il dolore cronico che nessuno vede e nessuno comprende, non siamo riconosciuti dal nostro SSN ed è tutto questo che ci porta ansia e in alcuni casi la depressione.

Fate attenzione, è facile per chi non vuole vedere l’evidenza stigmatizzarci, non permettiamolo a nessuno.

Sono più della mia malattia

Una testimonianza di: Dave Shields

Quando la fibromialgia interessa un uomo

Sono spesso perplesso dalla risposta di un individuo a una diagnosi di disturbo o di malattia. All’inizio degli anni ’90 ho avuto la fibromialgia. Sembrava che ci volesse un’eternità, ma alla fine mi è stata diagnosticata alla Mayo Clinic di MN.

Inizialmente, sono stato sopraffatto dalla gravità dei sintomi. Il dolore, la stanchezza, i problemi di sonno e la nebbia mentale erano travolgenti. Non potevo lavorare. Mi sedevo sulla sedia a dondolo in agonia, consumato dal dolore.

Mi sentivo impotente di fronte a un potente nemico. All’inizio, ho lottato con l’accettazione. Anche se avevo una diagnosi, mi vergognavo, dicendo cose del tipo: sono solo una persona debole e pigra… è tutto nella mia testa… basta scuotersela di dosso.

Questo disturbo ha cominciato a erodere la mia identità. Ha avuto un impatto sul mio carattere e ha rubato la mia autostima e fiducia. Ho iniziato a perdermi, nuotando nel mare di caos che deriva dalla stessa malattia. Non so quando sia successo, ma alla fine sono diventato Fibromialgico. Ho permesso alla fibromialgia di prendere il sopravvento su di me.

C’è un’enorme differenza tra l’essere Fibromialgico e qualcuno che soffre di un disturbo chiamato Fibromialgia. Ho permesso alla fibromialgia di prendere il sopravvento sulla mia vita, ma non me ne sono reso conto fino a quando, in questo processo, sono diventato depresso.

Sono andato sottoterra e sono rimasto così per anni.

Mi sono sentito una vittima

L’autocommiserazione si è stabilita nel mio cuore e nella mia mente, e ogni giorno mi dispiaceva per me stesso. Sono diventato totalmente debilitato e ho vissuto in una fossa buia.

La strada del ritorno è iniziata quando mi sono arrabbiato… quando mi sono ammalato e stancato di essere malato e stanco. La Fibromialgia mi aveva preso quasi tutto. Ero stufo. Ho permesso alla rabbia di alimentare le mie azioni. È iniziato con le piccole cose come una migliore igiene personale, vestirsi per la giornata, rifare il letto e impostare un programma di sonno. Fare queste cose apparentemente piccole ha fatto un’enorme differenza nella mia giornata.

Questi comportamenti hanno iniziato a darmi un senso di controllo personale. Mi sentivo come se avessi la capacità di influenzare la mia vita. Una volta ristabilite queste abitudini, volevo di più. Sono entrato in terapia e ho riscoperto chi ero al di fuori della mia diagnosi.

Con un rinnovato senso di sé, ho iniziato a implementare strategie per gestire la fibromialgia. Ho iniziato una pratica di meditazione per gestire il mio dolore. Ho iniziato a fare stretching, andare in bicicletta e camminare. Ho aggiunto il massaggio come risorsa. Ho iniziato a mangiare in modo più sano, ho comprato un diario e l’ho usato per annotarmi tutte le cose che mi accadevano, belle o brutte.

Ho iniziato a impegnarmi nuovamente socialmente e costruire la mia rete di supporto. Ho pensato e parlato di cose diverse dalla fibromialgia. Ho ripreso a lavorare. Oggi i miei sintomi di fibromialgia non sono diversi da quelli di 20 anni fa. Ciò che è diverso è la mia mentalità, il modo in cui mi avvicino al mio disturbo e le mie azioni quotidiane. So che non l’ho causato e che non posso necessariamente controllarlo, ma ho un’enorme influenza sulla mia vita quotidiana. Ho accettato che la Fibromialgia sia il mio compagno di viaggio. Rispetto il grande impatto che ha sulla mia vita ogni giorno.

Ci sono giorni in cui i sintomi sono peggiori e, in quei giorni, correggo amorevolmente la mia giornata, invece di farmi del male come facevo una volta.

Vivo con la fibromialgia. Vivo una vita piena di potere e appagante nonostante ciò. Sono passato dal sopravvivere al prosperare. Puoi farlo anche tu!

Questa è la testimonianza di un uomo che si è confrotato con la Fibromialgia. Non è poi così diversa dall’esperinza che vive una donna con la stessa malattia. Ricordo infine che, non tutti sono in grado di reagire allo stesso modo e non a tutti la malattia si manifesta con la stessa intensità e con gli stessi sintomi.

Puoi farlo anche tu come scrive Dave, è possibile ma, se non hai solo la Fibromialgia, non è tutto poi coosì facile.

E’ solo un mio parere……

Non sembro malata, lo so, continuate a dirmelo. Presto starai bene, lo so, continuate a dirmelo.

Cosa c’è che non va questa volta? Lo ripetete con freddezza e si capisce dal tono della vostra voce.

Lo sento ogni giorno e mi sento esausta. A volte mi fate sentire pigra, una piagnona.

Ci sono alcuni giorni in cui non faccio molto, cerco di riposare ma, è un NON riposo, e voi non capite.

Beh bla bla bla! All’infinito.

Ora sedetevi, state comodi e ascoltatemi. Per tutti quelli che mettono in dubbio le nostre sofferenze, i nostro dolori. Ascolta quello che ti dico e sei libero di accettarlo oppure no, io lo dico lo stesso.

Sono stanca di combattere per quello che non posso sconfiggere;

Ho dolore, ogni giorno, in un posto, due, tre e/o anche di più;

Non so spiegartelo scientificamente ma, il mio cervello e il mio sistema nervoso mi mettono al tappeto;

Mi inviano il dolore dove non vorrei averlo!

Ho le gambe rigide e anche se sono a letto, mi fanno male;

Nei giorni di festa, non gioisco perché sono sempre nelle condizioni che ti ho descritto e non mi sento di festeggiare alcunché;

La stanchezza e la spossatezza sono miei compagne di vita, dal momento in cui mi alzo dal letto ma, anche se ci rimango a letto;

Non sono in grado di svolgere il mio lavoro come vorrei. Distrazione, poca concentrazione e dolore, la fanno da padrona;

Sono sola, impaurita, ansiosa e oltre a questo devo, ogni volta, spiegare a te e agli altri perché non ce la faccio oggi e anche domani;

Sai, tutte quelle come me, siamo diventate brave a capire, anche se ti racconto al telefono, questo nostro, NON VIVERE, ci accorgiamo, che ti stiamo annoiando;

Allora sai che penso? Ti dico la mia. Penso che quelli che dicono di volerci bene, che dicono di amarci, mentono. Si mentono.

Perché qualcuno che ci ama davvero, che ci vuole bene seriamente, ci guarderebbe negli occhi e vedrebbero la nostra paura, la nostra incertezza, le nostre difficoltà quotidiane e non siamo noi a scegliere. E’ la malattia che ha scelto noi e ci costringe ad essere quello che ti ho descritto.

Cercate di ricordarvi di come ero prima di ammalarmi e non quello che la malattia fa alla mia vita ora.

E’ una continua lotta, una battaglia e sai che non vincerai MAI. Questo non è una cosa facile.

Cercate di ricordarvelo, cercate di sostenerci. Questo è quello che penso e sono stanca di ripeterlo tutte le volte.

Lucio Anneo Seneca diceva:

Non abbiate paura del dolore, o finirà o vi finirà

Il nostro dolore, non finirà mai.

Il piccolo albero.

una favola di Kurt Fondriest che scrisse questa storia più di 30 anni fa per i bambini con fibromialgia.

Kurt Fondriest, scrive di se stesso, questo: “Il mio lavoro sono riflessioni, sogni e visioni che ho come persona che vive con dolore cronico. Ho la fibromialgia e questo ha ispirato gran parte della mia arte. Alcuni dei miei lavori sono stati utilizzati in pubblicazioni sul dolore cronico. Le immagini parlano di speranza e vita. Sono un terapista di arte. Mostro la mia arte principalmente al Life Force Art Center a Chicago, dove vivo. Ho conseguito il mio diploma presso la School of The Art Institute di Chicago e mi sono laureato presso il Columbus College of Art and Design. Ho un dottorato di ricerca in ministeri olistici presso l’American Institute of Holistic Theology. Sono cresciuto in una zona rurale dell’Ohio e sono stato ispirato dalla natura per anni.”

In una foresta di magia e saggezza e di arcobaleni e fate, viveva un alberello che era di gran lunga più piccolo di qualsiasi altro. Sapeva che i suoi rami dovevano essere forti e sempre rivolti verso l’alto perché sua madre e suo padre glielo avrebbero detto. Alberello, dicevano, “alza i rami verso il sole così gli uccelli possono venire a cantare sulle tue membra”. Con tutte le sue forze, avrebbe cercato di raggiungere il cielo, ma non poteva tenere i suoi rami alti per molto tempo. L’alberello si appoggiava tristemente a sua madre mentre osservava tutti i rami degli altri alberi in cui nidificavano uccelli di tutti i colori e dimensioni e cantavano lodi alla magia della foresta.

I suoi rametti riuscivano a malapena a trattenere le sue foglie, e dolevano per il dolore. Dall’altra parte della valle di fiori azzurri e illuminati dal sole viveva un vecchio saggio elfo della foresta. La madre del piccolo albero lo ha chiamato per capire perché suo figlio stava attraversando un periodo così difficile. Era una giornata nuvolosa nella foresta quando l’elfo venne a vedere il piccolo albero e il riflesso argenteo sulle foglie della pioggia recente rispecchiava la sua immagine e la sua magica borsa di pozioni. L’elfo era l’anima più saggia della foresta. Sicuramente, potrebbe guarire il piccolo albero. Il vecchio elfo saggio abbracciò il piccolo albero. “Ahi,” gridò il piccolo albero. L’albero padre iniziò a rimproverare suo figlio. “Smettila di essere un alberello così piccolo. Lascia che il vecchio ti tocchi, ti guarirà”. piccolo albero cominciò a piangere.

Il vecchio elfo saggio disse: “perché piangi piccolo albero?” L’alberello girò le foglie per vedere meglio l’elfo. “Ho male dalle mie radici alla punta della mia corona“, disse. “I miei rami sembrano tutti contorti e annodati. Il mio tronco sembra come se 1000 picchi stessero danzando su di me”. Mentre le sue lacrime continuano a cadere, aggiunse: “Mi sento più un salice piangente che una quercia reale”. I miei rami non possono contenere le colorate farfalle arcobaleno che prendono il volo. Con questo, il piccolo albero lasciò cadere i suoi rami che presero la forma di una corda pesante e bagnata. Il vecchio elfo saggio fece un passo indietro da sotto il piccolo albero. Rimase lì con tutti i suoi dispositivi magici, strofinandosi le dita sulla barba bianca come la neve. Le nuvole si stavano aprendo e la luce del sole iniziò a danzare giù dal cielo, riscaldando tutta la valle. Si potevano sentire le benedizioni delle fate dei boschi mentre si raccoglievano sulla spalla del saggio elfo che chiesero all’elfo cosa non andava nel piccolo albero. Sbrigati e aggiustalo così possiamo colorare le sue foglie con i toni della terra per il prossimo autunno. Il vecchio elfo saggio alzò le sue potenti braccia verso il cielo e chiese guida al creatore della foresta. Vedi, il vecchio elfo saggio aveva la magia che poteva fare molte cose meravigliose, ma non poteva guarire il piccolo albero. A lui, questo giovane albero sembrava proprio come qualsiasi altro piccolo albero nella foresta. Veniva da forti radici e da una famiglia di grazia ombreggiante. Il vecchio elfo saggio aveva visto crescere l’intera foresta dall’inizio dei tempi.

L’alberello appoggiò i rami del suo pesante fardello attorno a quelli di sua madre. Sono così spaventato per come mi sento. Fa male, mamma, e nessun uccello canterà le sue canzoni tra i miei rami perché non posso alzare le braccia al cielo. Perché ho questo dolore? Non è giusto che nessun altro albero della mia età si senta così. Tutto quello che sento è l’eco della presa in giro degli altri alberi della valle. “A volte vorrei che arrivasse un boscaiolo e…

Proprio in quel momento, una luce radiosa scese da una possente spirale dorata nel cielo, illuminando il volto del vecchio saggio elfo. Un suono sommesso e ronzante sibilò attraverso la valle finché non giunse all’orecchio del vecchio elfo. Piccolo albero, disse il vecchio elfo saggio. Il piccolo albero girò di nuovo le foglie per poter vedere il vecchio elfo. Tutto taceva nella valle. Anche il vento era diventato muto. Gli uccelli della foresta chinarono il capo in silenzio. Gli animali strisciarono fino al piccolo albero, pieni d’amore per il loro coraggioso, piccolo amico ramificato. Le fate circondano l’alberello, tenendo in mano sfere dorate di luce che erano riflessi del calore del sole.

Il vecchio elfo saggio camminò sotto il piccolo albero e sollevò la testa, guardando in alto tra i suoi rami. Alzò la mano per toccare uno dei piccoli rami pendenti. Sai perché senti dolore in tutti i tuoi rami?

No,” sussurrò l’alberello, mentre le sue foglie venivano accarezzate dolcemente dai rami di sua madre. L’elfo saggio convocò tutta la foresta per far si che il piccolo albero ascoltasse l’antica canzone della foresta. “Luce dorata nell’aria che respiro, toccando tutti i miei rami da te a me, siamo tutti rami dell’unico albero amorevole, benedici la foresta con la comprensione del dolore del nostro piccolo albero”.

Piccolo albero“, disse il vecchio elfo saggio, il nome del tuo dolore è Fibromialgia .

Quella parola fece zittire tutta la foresta.

La fibromialgia è una dolorosa condizione della tua corteccia. Può rendere le tue radici così dolorose che vorrai piangere, e va bene piangere. Devi capire che forse i tuoi rami non possono trattenere gli uccelli per farli cantare, ma possono trattenere i bruchi finché non nascono farfalle. Forse non sarai in grado di raggiungere tutti i tuoi rami verso il cielo per toccare il sole, ma la Terra a volte ha bisogno di ombra e i rami più bassi come i tuoi sono quelli perfetti. Sì, sentirai dolore perché nessuna foresta è perfetta. Tuttavia, devi ricordare che sei una quercia reale e sarai sempre un albero di forza e verità.

Pronunciate queste parole, l’intera foresta di alberi intrecciarono i loro rami per formarne uno. Il vecchio elfo abbassò la testa voltandosi verso le colline di casa. Uno sciame di fate illuminavano il suo cammino mentre il sole abbassava il volto nel cielo. L’autunno arrivò nella foresta e poi l’inverno. Passarono i mesi mentre il vecchio elfo saggio trascorreva le sue giornate compiendo azioni di bene in tutta la foresta. È stato il primo giorno di maggio quando una fata viola della passiflora è atterrata sulla spalla del vecchio elfo. ah”, disse il vecchio elfo saggio, “mi porti notizie del mio amico, piccolo albero“. Il vecchio elfo accoccolò la fata nella tasca del panciotto e disse che avrebbe fatto vedere il piccolo albero di persona.

I campi erano di un giallo senape e il profumo del dente di leone ammantava le mezzelune primaverili. La strada tortuosa sembrava ripida per il nostro anziano amico. Quando giunse alla radura, nuvole di cime ondeggianti e bianche proiettavano ombre sulla terra sottostante. In cima alla collina c’era un piccolo albero, che non era così piccolo come prima. Il vecchio elfo dei boschi salì la collina fino al tronco del suo piccolo amico. Ciò che vide non era lo stesso di quasi un anno fa. L’alberello girò le foglie per poter salutare il suo amico di lunga data. “Piccolo albero“, esclamò il vecchio elfo saggio, “I tuoi rami sono pieni di farfalle dai colori chiari e le tue radici sbocciano i fiori più belli che crescono in qualsiasi ombra della foresta.” Il piccolo albero parlando con una voce di fiducia, un po di forza e con tranquillità, disse: “Vecchio saggio, presta attenzione alle viti della foresta che crescono intorno a me.”

L’elfo vide come le viti della terra erano cresciute su rami del piccolo albero e lo avevano avvolto e assicurato con il loro sostegno. Saggio vecchio elfo, disse il piccolo albero, “ogni giorno nella nostra foresta mi sveglio con dolore. Prego ancora il grande creatore della foresta di liberarmi dalla fibromialgia, nella speranza che un giorno la mia corteccia guarirà. Ma devo dirti che qui non c’è pietà, solo coraggio. Il coraggio viene dai miei amici della foresta che mi aiutano ogni giorno con la fibromialgia. Quando la pioggia cade troppo in fretta e ferisce le mie membra, i vecchi alberi torreggianti piegheranno i loro rami su di me per tenermi asciutto.

Il sole danza calore sulla mia corona che aiuta il dolore ogni mattina, specialmente dopo la pioggia. Il vecchio elfo saggio mentre toccava uno dei rami del piccolo albero disse: “Nella nostra foresta, un giorno spazzeremo via la fibromialgia. Fino ad allora, alberello, ci oscurerai tutti con il tuo coraggio e la forza della bellezza che racconti”. E con questo, il vecchio elfo dei boschi abbracciò l’alberello mentre le fate danzanti cantavano le canzoni delle api dei boschi.

Fine

L’araba fenice

Questa è la mia storia, una parte della mia vita vissuta con una malattia cronica ed invalidante. L’ho scritta in pieno periodo del lockdown. Oggi, nel 2023, non siamo più chiusi in casa e il virus SARS-CoV-1 è diventato una semplice influenza, così dicono gli scienziati.

Ricordo che era il 31 dicembre 2019 e la Cina comunicava la diffusione di un “cluster” di polmoniti atipiche di origine virale. Da quella data, panico nel mondo. C’è chi minimizzava e chi enfatizzava. Alcuni Stati, come l’Italia, senza un Piano di Emergenza per una Pandemia, ci chiudono in casa ed io per non annoiarmi, oltre a lavorare da casa, mi mettevo a scrivere. Pensai che sarebbe stato interessante scrivere un libro sulla vita di chi vive con una malattia cronica, attraverso le testimonianze delle dirette interessate, cioè di chi, tutti i giorni, con i figli, con un lavoro o senza, vive, si fa per dire, con una malattia cronica ed invalidante, non riconosciuta dall’Italia ma definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come una malattia reumatica inclusa, nello stesso anno, 1992, nella decima revisione dello International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems con questo codice: ICD-10, codice M79-7, entrata in vigore poi il 1° gennaio 1993. Mi hanno sempre fatto credere che io avessi la fibromialgia per poi scoprire, in seguito, per puro caso, di non avere solo quella ma, altro, molto altro di più. Di quello che scoprirò dopo la fibromialgia, ho intenzione di raccontarlo in seguito, si comincia da qui, dalla Fibromialgia.

La mattina è sempre più difficile alzarsi: è durissima, ma devo lavorare. Non posso ancora andare in pensione: sono ancora troppo giovane secondo i regolamenti.

Compirò 61 a luglio del 2023, ma anche se lavoro da tanto tempo non ho i contributi sufficienti che mi permetterebbero finalmente di godermi un po’ di riposo.

Ho sempre contratto problematiche di salute da piccola. All’età di tre anni, sono stata operata alle tonsille perché non respiravo bene: mi hanno levato anche le adenoidi. Tra i dodici e i quindici anni ho accusato i primi mal di testa. Mio padre, comprensivo, mi portò da numerosi medici.

Per alcuni di loro, le mie condizioni erano dovute allo sviluppo del menarca precoce, sviluppato a dieci anni. Più tardi ho avuto problemi di vista, ed ho messo gli occhiali: certamente il tutto non soddisfaceva la mia famiglia che si adoperava a farmi fare più consulti per vedermi stare meglio ma poi altri problemi si ripresentavano. All’età di diciotto anni, mi rimossero dei polipi all’interno del naso perché avevo sempre dei forti raffreddori che duravano mesi. Forse poca cosa rispetto a problemi più gravi ma, in ogni modo, si andava avanti si sopportava una cosa dopo l’altra. Ero giovane e, vuoi l’età, vuoi qualche soluzione provvisoria, la mia vita scorreva così.

Nel 1985 mi sono sposata e sono andata a vivere in un’altra città. Sono nata a Napoli, sono una donna del sud e con mio marito mi sono trasferita in Toscana. Per quindici anni ho vissuto in provincia di Arezzo ma poi ci siamo trasferiti a Firenze: vivo in questa Regione ormai da quasi quaranta anni. Nel 1992 nasce il mio unico figlio, Davide, con parto cesareo.

Dal 1985 fino ai primi anni del ‘90 ho avuto problemi alla schiena. Discopatie, ernie che mi hanno portato forti dolori che risolvevo, quando mi era possibile (economicamente parlando) sia con esercizi inerenti alla ginnastica posturale sia con massaggi: quando i dolori erano insopportabili ricorrevo ad antidolorifici con prescrizione medica.

Inoltre come se non bastasse emersero problematiche di cefalee, che si presentavano e continuano a presentarsi frequentemente, spesso anche costringendomi a far riferimento al centro specializzato di un noto ospedale della città. Dopo la maternità, questa problematica è incrementata e non è mai andata via del tutto.

Iniziano poi i problemi allo stomaco. Gastriti, ulcere, mucosa di Barrett , problemi che mi costringono ancora oggi a gastroscopie da fare una volta all’anno o quando il gastroenterologo lo consiglia.

Non basta: analisi e rettoscopia mi diagnosticano il colon irritabile da stress.

Nell’anno 2016 subisco un intervento al braccio sinistro per compressione del nervo ulnare, fui costretta perché non avevo più l’uso del braccio.

Precedentemente ho avuto problemi anche alle spalle, soprattutto quella destra, ed oggi anche quella sinistra: per l’assottigliamento di un nervo, il reumatologo da me consultato voleva intervenire chirurgicamente.

Dopo essermi informata tramite colleghe col medesimo problema e constatato che, nonostante l’operazione, nessuna di loro aveva riscontrato miglioramenti, decisi di desistere. Ancora oggi ho fortissimi dolori.

Nel 2015 il mio primo contatto con la fibromialgia.

Iniziai a non sentirmi bene: ero particolarmente stanca e pensavo fosse influenza, oppure la stanchezza della mie frenetica routine.

Mi facevano male le gambe e facevo fatica a camminare: dolori ovunque.

Pensai ad un virus influenzale e presi il paracetamolo. Andai avanti così per qualche tempo ma i dolori aumentarono a tal punto che mi accorsi di non avere più sensibilità dal bacino in giù.

Purtroppo ricordo bene quel periodo, perché fu l’anno della tesi di mio figlio. Strano vero? Tuo figlio, sempre andato bene a scuola, borse di studio, premi, soddisfazioni enormi: arriva il giorno della laurea e tu sei più felice del solito, sei si stanca ma felice perché vedi realizzare un sogno, uno dei bei sogni del tuo ragazzo e di tutta la famiglia. Era il 1 dicembre del 2015: non posso dimenticare quello che è avvenuto dopo.

Mi portano così al pronto soccorso. Quel giorno lo ricordo bene. Avevo paura, tanta paura. Mi sottopongono a numerosi esami ma fortunatamente sono tutti buoni; gli stessi medici che mi visitano non sanno spiegarsi quei sintomi. Alla fine, il medico di turno mi disse che mi avrebbe fatto visitare da un neurologo e fece lui stesso le carte per affidarmi a questo specialista.

Fui fortunata: mi affidarono al primario di neurologia di quella struttura. Intanto la mia paura aumentò insieme ai miei dolori: quella sensazione di non avere sensibilità, quelle scosse che avvertivo quando mi toccavo le gambe erano sempre li : sentivo le gambe pesantissime come se fossero di cemento.

Passano 9 mesi tra esami di tutti i tipi, risonanze al cervello, radiografie, ecografie, esami ematici di tutto e di più. Nel frattempo perdo i capelli. Stress, confermato anche da un dermatologo al quale mi rivolgo.

9 mesi durante i quali mi imbottiscono di farmaci per alleviare i dolori, i quali si attenuano ma non di tanto, quel poco da permettermi di non stare ferma immobile nel letto.

Farmaci che mi portarono anche ad un notevole aumento di peso che non aiutava; mi si continuava a dire che non sapevano cosa darmi e che, soprattutto, non sapevano cosa io avessi.

Alla fine, quando tutti gli esami furono finiti e non vi era nulla che giustificasse quella condizione, il neurologo pronunciò la diagnosi: fibromialgia.

Ricordo ancora oggi la mia perplessità: chiesi subito al medico cosa fosse, che cos’era questa malattia, perché non ne avevo mai sentito il termine.

Non è una malattia, è una sindrome.” Sì, perché la fibromialgia non è riconosciuta come malattia.

La fibromialgia non è riconosciuta come malattia: per molti medici, sia per la scarsa formazione sulla malattia, sia per incredulità e sfiducia nei confronti di molti/e di noi, la fibromialgia non esiste per alcuni medici. Spesso si crede che sia un’invenzione, o comunque un surrogato utilizzato come capro espiatorio per altre problematiche.

Non ci sono farmaci che la curano e si sa poco o nulla; c’è, diciamo, una sorta di confusione scientifica, discordanze tra branche specialistiche della medicina.

La mia seconda domanda, lo ricordo come se fosse oggi, fu se questa sindrome fosse ereditaria: avendo un figlio mi preoccupai subito per lui, pensai che se fosse stata ereditaria io mi sarei sentita responsabile anche di aver trasmesso una malattia a mio figlio.

Il medico mi tranquillizzò. Ad oggi alcuni studi affermano che la sindrome è ereditaria ma su linea femminile. Tirai un sospiro di sollievo. La ricerca, la poca ricerca che è stata fatta su questa sindrome, ha rilevato nel mondo pochi casi di fibromialgia in soggetti maschi. Oggi che c’è più consapevolezza sulla sindrome, se ne parla e se ne discute di più e questa tesi è smentita da tantissimi esperti reumatologi, algologi e neurologi che se ne occupano: non solo sono colpiti in misura minori anche i maschi ma si è a conoscenza anche di casi di fibromialgia su bambini e adolescenti ma si continua a non conoscerne la causa.

Iniziò così la cura a base di farmaci che servirono solo ad alleviare i dolori. Sono farmaci che curano l’epilessia e la depressione. Questi farmaci agiscono sul sistema nervoso e alleviano i dolori. Altre cure non ce sono, esistono solo espedienti e rimedi farmacologici per alleviare i dolori.

Mi prepararono un piano terapeutico che ogni tre mesi dovevo rinnovare composto da Cymbalta 60 mg, (contiene la duloxetina, un principio attivo che serve per il trattamento delle depressioni maggiori, dei disturbi d’ansia e dei dolori causati da neuropatie periferiche) e da Lyrica 75 mg (Pregabalin è un antiepilettico-anticonvulsivante che trova indicazione specifica nel trattamento del dolore neuropatico centrale e periferico).

Tutto questo a vita, se volevo stare bene e condurre una vita normale.

Mi fu consigliato anche di condurre una vita normale senza stress e senza preoccupazioni.

Utopistico e irrealizzabile, ma furono queste le uniche raccomandazioni del neurologo al quale fui affidata quel 1 dicembre del 2015.

Sembrerà strano ma alla fine di questo calvario mi ero un po tranquillizzata, poiché sapevo cosa mi aveva colpito: nonostante fosse una sindrome sconosciuta e senza cura, sapevo. La mia mente non era più invasa da pensieri cattivi, non sarei morta, non era un male di quelli che fanno paura anche a parlarne: il cancro. No, nulla di tutto questo.

La fibromialgia, detta anche sindrome fibromialgica o sindrome di Atlante, è una sindrome reumatica idiopatica e multifattoriale che causa l’aumento della tensione muscolare, specie durante l’utilizzo degli stessi, ed è caratterizzata da dolore muscolare e ai tessuti fibrosi (tendini e legamenti) di tipo cronico – diffuso, fluttuante e migrante – associato a rigidità, astenia (calo di forza con affaticabilità), insonnia o disturbi del sonno, alterazioni della sensibilità (come eccessiva percezione degli stimoli) e calo dei livelli di serotonina, con possibili disturbi d’ansia e depressivi in parte dei pazienti. E’ conosciuta anche come la malattia dei 200 sintomi.

Ecco cosa mi aveva colpito. Sono una donna molto curiosa, mi piace leggere, mi piace documentarmi, mi piace studiare e comincio le mie ricerche su questa sindrome.

Mi imbatto in diverse associazioni o presunte tali. Li contatto, scrivo lettere per documentarmi, per avere delle risposte, informazioni più dettagliate, più “fresche”.

Vorrei fare una premessa, mi sento in dovere di farla. Non conoscevo il mondo delle associazioni dei malati ma, già dal mio primo contatto che prendo con il presidente di una di queste, capisco che sarà dura interagire con esse.

Noi malati di fibromialgia proviamo in tanti modi a farci sentire ma essendo una malattia di cui ancora la scienza non ha scoperto la causa non c’è attualmente nessun esame diagnostico che ne dimostra la presenza nell’individuo: siamo poco ascoltati, non considerati e in molti casi non creduti. In più i medici tendono a pensare che sia una malattia da depressione, il che può essere anche vero visto che con dolori continui tutto il giorno in depressione è possibile caderci davvero. E’ ovvio che c’è qualcosa di più. Ma cosa sia attualmente ancora non si sa.

La prima di queste associazioni nella veste del presidente mi chiama anche sul cellulare. Quando scrivo a qualcuno, lascio sempre tutti i miei recapiti, desidero essere “visibile” e rintracciabile. Dice che capisce tutto, comprende perché in casa sua lui vive la stessa condizione con la moglie, insomma un sacco di parole ma non è che mi soddisfi più di tanto. Comincio a documentarmi da sola con Internet. L’inferno, la confusione più totale, trovo di tutto, santoni o presunti tali che affermano di guarirla, che promettono miracoli con prodotti naturali, insomma il caos assoluto.

Nel frattempo i farmaci che assumo incominciano a darmi noia allo stomaco. Mi rivolgo al medico e questi ne aggiunge un altro. Un “salva stomaco”, si chiamano comunemente così, servono a questo, proteggono la mucosa dello stomaco per non fartelo “bucare” ma per il mio corpo, è un farmaco aggiunto.

Tra le mie ricerche nel mondo della rete, mi imbatto in un sito dove si parla di cannabis terapeutica.

La cannabis terapeutica, definita anche “l’oro verde”, viene utilizzata in tante patologie.

Si va dall’emicrania alla sclerosi multipla, passando per glaucoma, Parkinson, Alzheimer, dolori cronici e neuropatici, anoressia, cachessia, diverse forme di epilessia e molte altre patologie.

Insomma, era interessante e mi sono detta perché non provarla? Mi informo sulle strutture dove viene prescritta e trovo quella più vicina a me.

Incontro un medico il quale, dopo avergli raccontato tutto il mio calvario, mi propone la cannabis terapeutica. In quella struttura c’era e vi è ancora un protocollo da seguire.

Mi attengo al protocollo. Inizio l’assunzione della cannabis terapeutica, prima in decotto dal sapore discutibile e poi successivamente, sempre attenendomi al protocollo, inizio con l’olio di cannabis.

Betrocan in olio, da assumere una volta al giorno, la sera, per 15 gocce al giorno THC 19%. Via via sospendo interamente tutti i farmaci.

Devo ammettere che per i primi mesi cominciai a star molto meglio. Non sentivo più la stanchezza, mi sentivo più in forma, avevo sempre i miei dolori ma in modo molto più attenuati. Faccio tanto, mi dedico all’attività di volontariato per la mia sindrome, raccolgo firme, invio email a tutte le testate giornalistiche, mi occupo come sindacalista delle problematiche sul lavoro per tutti quelli che sono nella mia stessa condizione, dormo bene e meglio: insomma, la vita scorre, va avanti. I farmaci ormai sembrano un lontano ricordo ma non vengono sospesi del tutto.

Ecco però che incominciano i primi problemi.

Iniziano i primi mal di testa. Come accennavo prima, ho sempre sofferto di cefalee, ma questi dolori alla testa erano diversi. Io la cefalea la conoscevo bene, questi dolori non erano simili a quelli che ricordavo aver avuto.

Avevo la sensazione di avere dei chiodi piantati, una volta in fronte e altre volte alle tempie ed erano dolorosissimi.

La frequenza inizialmente era di una o due volte al mese, poi diventarono sempre più numerosi fino ad arrivare tutti i santi giorni.

Per non parlare poi dei cambi di umore, della rabbia per futili motivi, della pressione alta, delle palpitazioni, della sincope che mi colpì, dell’aumento della pressione oculare, insomma una serie di sintomi che via via accusavo e che non avevo mai avuto prima, una problematica alla volta, si presentano una alla volta e me li dovevo tenere e curare naturalmente.

Soldi spesi tra visite specialistiche e nuovi farmaci da assumere.

Sono ancora in contatto con il medico che mi aveva prescritto e continuava a prescrivermi la cannabis confermando il piano terapeutico anche se al corrente di tutti questi numerosi effetti collaterali.

Continuo ad attenermi alle regole, seguo tutte le indicazioni: alla fine, dopo l’ennesimo mal di testa della giornata, non resisto più e rinuncio alla cannabis, perché gli effetti collaterali da me elencati, sono tutti da imputare alla cannabis terapeutica secondo a quanto dicevano i medici ai quali mi rivolgevo per i miei problemi di salute. Quindi inizio la sospensione della cannabis: alla fine cede, dietro mia insistenza, anche il medico che mi aveva suggerito di assumerla, non senza polemiche.

Ormai ero distrutta.

Ritorno mio malgrado ai farmaci con gradualità e dietro naturalmente prescrizione medica. Non stavo benissimo, avvertivo rigidità alle gambe, pesantezza, difficoltà nella deambulazione, mi sembrava di essere tornata allo stato iniziale della malattia.

A marzo del 2018 cambio medico e struttura ospedaliera. Da lì a poco avrei dovuto rifare tutti gli esami: già tre giorni fissati in una nuova struttura ospedaliera per degli day service dove sarei stata sottoposta nuovamente a tutti gli esami. Qualcuno potrebbe chiedersi il perché mi sia sottoposta a tutti gli esami sapendo di avere questa sindrome.

Questa è seriamente è una delle cose più tristi di questo mio calvario.

Quando mi sono recata in questa nuova struttura ospedaliera per il mio caso e faccio presente che sono anni che convivo con questa condizione , il medico che mi è stato affidato dal S.S.N., dopo avergli fatto vedere tutte la lunga documentazione riconducibile alla mia sindrome e dopo avergli detto che stavo malissimo, che avevo dolori ovunque nonostante i farmaci che assumevo elencati sopra, disse che lui non metteva in discussione le certificazioni dei professionisti che mi avevano visto in tre anni prima di lui, ma suggerì di ricominciare dall’inizio.

Le sue parole furono queste:

Vede signora, non metto in dubbio tutto quelle che lei mi riferisce circa la sua condizione di salute ma di solito i medici quando i pazienti dopo i vari esami ai quali li sottopongono, non riscontrano nulla, affermano che è fibromialgia. Se permette, vorrei ricominciare dall’inizio per essere certo che lei, seriamente non abbia nulla oppure potremmo scoprire qualcosa che è sfuggito ai miei colleghi che mi hanno preceduto o ancora, ultima ipotesi il suo problema è di ben altra natura”.

Non voglio e non ho voluto sapere a quale natura stesse pensando quel medico, non voglio, mi rifiuto di pensare, mi rifiuto.

Quando sono uscita da quella struttura, mi sono venute in mente le parole del primo medico al quale mi affidarono, ricordo che era il primario di neurologia dell’ospedale dove fui portata la prima volta.

Signora, non si preoccupi, non si allarmi, lei deve solo condurre una vita normale, il più normale possibile ma soprattutto, mi raccomando, conduca una vita quanto più serena possibile, senza troppi stress e senza troppe ansie”.

Dopo i tre giorni di day service in questa struttura, dai numerosi esami alla quale fui sottoposta è risultato che, oltre ad essere affetta dalla sindrome fibromialgica, sono affetta da spasmofiliaca concomitante e ipovitaminosi D (carenza di vitamina D).

Ebbene, oggi alla luce di tutto quanto mi è accaduto mi sta accadendo e non so ancora quanto finirà questa storia, io vi chiedo: può una donna che ha passato gli ultimi anni in queste condizioni, rimanere tranquilla e serena? Voi lo sareste?

Lascio la risposta a chi leggerà questa mia storia, nel frattempo io vado avanti, cerco di fare tutto quello che la mia poca forza mi permette di fare ma credetemi, rimanere serena in questo modo, è la cosa più difficile che io possa fare. Io non ci riesco, ma mi sforzo tantissimo!

Però, come dice sempre una mia carissima amica, io riesco sempre in tutto, sono forte, lei mi dice che sono come la “fenice”.

L’ araba fenice è un essere mitologico. Un uccello che vive 1000 anni, poi emigra in Africa in Etiopia dove prende fuoco e brucia. Quando il fuoco si spegne restano solo le ceneri che al sorgere del sole fanno nascere una nuova fenice. Essere una fenice significa non abbattersi, significa rialzarsi quando ti danno già per spacciato.

Non voglio deludere la mia amica, in fondo credo che abbia ragione. Sono come l’araba fenice. Mi sono sempre rimboccata le maniche, mi sono sempre rialzata e ho sempre combattuto per le ingiustizie, per i più deboli, ho fatto tanto e voglio continuare a combattere anche nelle mie condizioni di salute non del tutto buone.

Oggi, purtroppo il mio stato di salute è peggiorato. Sono sopraggiunti altri sintomi ed è ricominciato per me, per la mia famiglia, nuovamente, il travagliato girovagare tra medici, esami e strutture ospedaliere alla ricerca di una cura, di risposte che spesso, molto spesso, contrastanti tra loro.

Quello che ho scoperto, hanno scoperto i medici ai quali mi sono rivolta, in un prossimo racconto, se avrete la voglia di seguirmi e di leggerlo, sarà interessante, intrigante, e stimolante.

A questo punto del racconto, mi piace ricordare, non solo per non deludere la mia amica ma per chi leggerà, una frase di Antonio Gramsci:

Anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio“.

L’ho fatto, purtroppo. Tutto è ricominciato e lo scoprirete in un successivo post.

Rosaria Mastronardo

Essere felice dopo una diagnosi di fibromialgia, è possibile?

Una testimonianza di Tammy Freeman che scrive delle sue esperienze in una community dando voce alla popolazione di malati cronici.

Tre giorni fa sono andata da un nuovo specialista, un reumatologo. Ero preoccupata, poiché questo sarebbe stato il mio settimo specialista, ma volevo davvero capire cosa stesse causando la mia stanchezza e il mio dolore diffuso. Mi era già stata diagnosticata l’Hashimoto, e questo da sola poteva causare affaticamento e dolore ma non ha spiegato completamente perché, ad esempio, posso dormire per 15 ore e svegliarmi ancora stanca e per niente riposata. Perché ho un dolore quotidiano che mi distrae dalle mie attività quotidiane. Perché il mio corpo si sente solo pesante come un’ancora.

Quindi, sono entrata nervosamente nell’ambulatorio del reumatologo e, per fortuna, mi ha preso sul serio, anche quando ho fatto una battuta imbarazzante sull’essere una ipocondriaca. Ha fatto un esame fisico completo, ha rivisto il mio precedente esame del sangue, ha discusso la storia familiare, e poi abbiamo avuto una lunga conversazione su come mi sento, quali sono i miei sintomi, cosa sto già facendo per controllare quei sintomi, e così via. Ha trascorso molto tempo con me. E sulla base di tutti questi elementi, e escludendo alcuni altri come la malattia di Lyme e l’artrite, ha detto che è fibromialgia.

Che peccato, mi disse il reumatologo e non capii subito, poi ridacchiò un po, tornando serio, aggiunse: “Leggerai che non è una vera malattia, ma lo è. È una vera malattia e non è nella tua testa”.

La mia reazione? Sono scoppiata in lacrime e senza fermarmi gli ho confidato quanto mi mancasse la persona che ero prima, quella che si poteva alzare alle 6 del mattino e che si teneva occupata fino alle 23 e che era in grado di rifare tutto il giorno successivo. Gli ho confidato della mia pigrizia insorta negli ultimi quattro anni, cioè quando sono iniziati i miei problemi di salute e come la mia salute emotiva fosse stata influenzata, e come mi sentivo in colpa per quello che vivevo. Ha ascoltato con calma e mi ha detto che questi sentimenti spesso sono causa della fibromialgia e mi ha detto con fermezza che non sono affatto pigra. Ha detto anche che, dal nostro colloquio, da quanto raccontato in quel giorno, che io ero in grado, per la determinazione, di prendermi cura di me stessa.

Ho lasciato quell’ambulatorio sentendomi rinata. Certo, faceva piacere che tutto quanto mi stesse capitanando avesse un nome e non fosse frutto della mia pigrizia o ipocondria.

Anche giorni dopo, ho continuato a provare un sollievo assoluto. Ho un nome per la stanchezza travolgente e ho una ragione per cui i miei fianchi, la schiena, le spalle fanno costantemente male e ho quelle sensazioni di spilli e aghi nelle mie mani. Ancora non cambia nulla ma di certo non è nella mia testa, non è un riflesso di chi sono, non è un fallimento da parte mia, non è a causa di qualcosa che sto facendo male o non facendo bene. Non l’ho fatto a me stessa. Sono sollevata dal fatto che sebbene questa sia una malattia che dura tutta la vita, posso smettere di inseguire specialisti e nuovi esami del sangue e infinite ricerche su Google e posso smettere di cercare di capire tutto: Perché mi fa male la testa? Sono disidratata? È un mal di testa da stress? Mi fa male la schiena? Ho esagerato quando sono andato a fare la spesa e ho pulito la casa lo stesso giorno? Perché dormo così tanto? Sono depressa? non mi sento depressa, ma dormo mezza giornata, quindi forse ho bisogno di parlare con qualcuno. Perché la mia mano è di nuovo formicolante? Sto bene. Non è nella mia testa. C’è una ragione per tutto questo. Non può essere curato, ma può essere controllato, ma soprattutto, non è nella mia testa e posso smettere di cercare costantemente risposte. Ora, basta.

E sono grata per questo. Non fraintendetemi. Non lo augurerei a nessuno. Ma è un sollievo avere una ragione medica, scientifica, ufficiale per tutti questi sintomi.. Non è nella mia testa. Sto andanda avanti. Posso prendermi cura di me stessa, e questo è un enorme sollievo. Quindi oggi sono felice.

Devo andare avanti, andiamo avanti.

Al medico che ha ripristinato la mia fede nella medicina.

Una testimonianza di Peyton Izzie fibromialgiaca, che ha avuto la fortuna di incontrare un professionista che l’ha capita, compresa e sostenuta.

Chi è Peyton Izzie? Questa è una sua lettera ad un medico che la segue nella sua lunga lotta con la fibromialgia. Chi sa quante di noi, avrebbero voluto fare un gesto simile se avessimo incontrato un medico come quello di Peyton.

Peyton è una di noi che nel suo blog ha scritto:

Quando ho perso le forze, ho ritrovato la mia voce. Fibromialgia, disturbo da stress post-traumatico, cecità parziale e sordità… tanta sfortuna, ma ho continuato a lottare per un trattamento equo per le malattie invisibili. A parte quando dormo, mangio o scrivo, non sono mai più felice di quando ho una macchina fotografica in mano e qualcosa di bello davanti al mio obiettivo”.

Caro Dottore,

Ci sono così tante cose che vorrei poterti dire, ma in tutta onestà, abbiamo solo dieci minuti insieme e di solito il mio corpo mi sta deludendo in così tanti modi che è impossibile per me parlare di qualcosa di diverso da come la fibromialgia sta rovinando il mio corpo.

Vorrei poterti portare a prendere un caffè, te lo meriti e raccontarti della prima volta che ci siamo incontrati. Vorrei poterti raccontare delle lacrime che ho pianto quando mi hai creduto quando ti ho raccontato i miei sintomi. Ti parlerei delle dozzine di dottori che avevo visto prima di te, dei respingimenti, del disgusto, dell’incredulità e dei commenti maleducati. Eri la luce alla fine di un tunnel lungo, oscuro e doloroso, e io ero stata nell’oscurità per così tanto tempo che ero convinta di essere diventata cieca.

Ti direi che hai ripristinato la mia fiducia nella medicina. Che anche se sono stata delusa così tante volte prima e innumerevoli volte dopo averti incontrato – non mi ha fatto così male, perché sapevo che potevo venire da te, piangere con te e trovare i passi successivi . Mi hai tenuto per mano, hai sentito le mie grida e placato le mie paure, e per questo ti sarò eternamente grata. Perché so che, qualunque cosa venga dopo in questa battaglia senza fine , che con te al mio fianco, potrei uscirne viva.

Arriva il punto in cui ti viene ripetuto più e più volte che è tutto nella tua testa, che non c’è niente che non va fisicamente, che devi solo sforzarti di più ed esercitarti di più, mangiare di meno, metterti in forma, essere in salute. Arriva il punto in cui hai sentito tutto questo così tanto che inizi a pensare che stai diventando pazza. Questo dolore è reale? Sto in qualche modo immaginando tutti i miei sintomi? Sono solo pigra? Inizi a chiederti se qualcuno ti prenderà mai sul serio, troverà qualcosa che non va in te e lavorerà per aiutarti.

Ed è qui che entri in gioco tu. Perché in ogni fase del mio viaggio, sei stato lì per condividere il mio disgusto, la mia rabbia e la mia indignazione per ogni dottore che si è scrollato di dosso i miei sintomi. Sei stato lì per riprendere la mia lotta quando sono troppo esausta per alzare la testa. E tu mi hai sempre creduta. Anche quando sembra ridicolo o improbabile, mi hai sempre preso sul serio e hai creduto che i miei sintomi fossero reali e li hai trattati seriamente come qualsiasi altra malattia fisica.

E prima che le nostre tazze di caffè finiscano, ti chiederei della tua vita. Sei felice? Hai tutto ciò di cui hai bisogno? Sei trattato in modo equo al lavoro? Ti darei il mio tempo e ti ascolterei. Per tutto il tempo che mi hai dato. Essere un medico è una professione meravigliosa e altruista, ma ci sono persone reali dietro le lauree in medicina e ascoltare / vedere il dolore che le persone provano giorno dopo giorno. Può logorarti.

Ho già detto quanto sia ingrata la professione medica, e quindi tutto quello che posso dire di nuovo è, grazie, per tutto quello che fai per me e per i molti altri pazienti sotto le tue cure. Se tutti i dottori fornissero come te e se usassero lo stesso standard di cura e trattamento che usi per me, allora la fibromialgia non sarebbe mentalmente dannosa la metà di quanto lo sia adesso. Tutto quello che possiamo fare è sperare che un giorno altri dottori seguano il tuo fulgido esempio.

Grazie per quello che sei

Peyton Izzie

La complessità della diagnosi e i suoi effetti di natura psicologica.

Questo testo, che vi invito a leggere ATTENTAMENTE, è tratto dalla collana Le BricioleCESVOT numero 56, “Le Malattie Invisibili – Le barriere dell’invisibilità” che potete scaricare dal sito del CESVOT:

https://www.cesvot.it/ previa registrazione. La collana è gratuita. La registrazione non ha nessun vincolo.

L’autrice è Ilaria Bagnulo è psicologa psicoterapeuta. Fa parte dello staff di direzione della SOSD Psicologia Clinica Ospedaliera dell’Azienda Usl Toscana Centro. L’attività che svolge all’interno dei presidi ospedalieri è duplice: con i pazienti trapiantati e in lista di attesa per il trapianto, con il sostegno psicologico e/o la psicoterapia, e nella chirurgia bariatrica, con la valutazione preliminare del trattamento chirurgico dell’obesità e la gestione del follow up a medio e lungo termine nel post-intervento chirurgico. Oltre all’attività in ospedale svolge la libera professione.

Questo bellissimo, interessantissimo e esaustivo testo, per i numerosi aspetti che l’autrice ha voluto esaminare, con profonda attenzione sugli aspetti psicologici e sociologici del paziente cronico, verrà diviso in capitoli.

Domani, leggerete, sempre su questo blog, altri due capitoli, questo è il primo di oggi.

La complessità della diagnosi e i suoi effetti di natura psicologica

Quando si giunge finalmente alla diagnosi, questa può paradossalmente generare un momentaneo sollievo, perché il paziente si sente finalmente legittimato agli occhi degli altri nella sua condizione di sofferenza e malattia. Quella consolazione temporanea cede però ben presto il posto ad un coacervo di emozioni. Scoprire di essere ammalato, e di esserlo quasi certamente per sempre, crea comprensibilmente uno shock, una sorta di lacerazione interna, che fa vacillare il senso di certezza che fino a quel momento aveva accompagnato il percorso di crescita personale.

Ogni individuo ha infatti un personale e soggettivo modo di elaborare la malattia che l’ha colpito. La perdita dello stato di salute è infatti paragonabile a un vero e proprio “lutto” e per certi versi sembra ricalcare le fasi della sua elaborazione. La diagnosi, dopo quel momentaneo sollievo, potrebbe comportare nel paziente il manifestarsi di profonde reazioni emotive; se all’inizio possono portare a dissimulare comportamenti più o meno congrui a quanto sta accadendo, successivamente ci può essere la messa in campo di forti meccanismi difensivi, come la negazione, la proiezione, la regressione ma anche la razionalizzazione.

Il “lutto” genera una sorta di frattura tra ciò che si era prima che insorgesse la malattia e ciò che si è dopo; si tratta di uno spartiacque temporale che impone al paziente un confronto rispetto al proprio passato, sia esso più o meno recente, e un presente fatto di cambiamenti, di nuovi adattamenti e riadattamenti. È un percorso in divenire in cui il paziente deve imparare ad accogliere nella sua quotidianità, oltre agli aspetti prettamente organici della sua malattia, anche tutta una serie di nuove variabili con cui deve imparare a confrontarsi. Chi si ammala di una patologia cronica deve infatti affrontare, oltre alle cure mediche, una serie di disagi psicologici, legati ai possibili cambiamenti fisici, agli effetti collaterali dei farmaci, a un modo di vivere che potrebbe essere diverso da ciò che è stato fino a quel momento.

Si tratta di un processo complesso in cui può anche accadere che il paziente, immerso nell’affannosa ricerca della dimensione in cui collocare il proprio malessere, ponga maggiormente la propria attenzione alla componente fisica del proprio disagio, focalizzandosi esclusivamente su tutti quegli aspetti negativi che la malattia ha comportato ed in particolar modo, rapito dall’ansia anticipatoria, su tutti quei progetti o attività che la nuova condizione di salute potrebbe non permettergli più di svolgere.

Tutto ciò lasciando in secondo piano gli aspetti psicologici implicati nell’eziologia dei sintomi. È come se la sofferenza fisica avesse il sopravvento su quella psichica, rispetto alla quale il paziente ha spesso difficoltà a entrare in contatto. Tale condizione, se protratta nel tempo, può causare una frattura tra la dimensione somatica e psichica; una frattura di cui è importante occuparsi in maniera tempestiva. I sintomi possono mantenersi silenti o peggiorare con il tempo, creando talvolta anche disagio, imbarazzo e vergogna o reazioni psicopatologiche specifiche. Numerosi studi hanno evidenziato una maggiore incidenza di disturbi d’ansia e dell’umore e un maggior numero di agiti anticonservativi nei pazienti affetti da patologie croniche rispetto ai gruppi normativi (Nordenstrom, 2011, Chiesa et. al., 2013).

Le reazioni dipendono dalle caratteristiche personali del paziente, dall’insieme dei significati attribuiti alla malattia e, soprattutto, dalle condizioni di cura. L’impossibilità di dare senso, anche parziale o temporaneo, agli eventi, alle emozioni rappresenta una delle situazioni di massima sofferenza per l’essere umano. Tutto ciò può incidere negativamente sulla compliance alle cure.

Sono questi gli effetti collaterali della malattia cronica che, nel momento in cui fa irruzione nella vita di un individuo, ne altera e infrange gran parte dei precedenti equilibri, imponendo, accanto al depauperarsi della salute fisica, anche la messa in discussione dell’identità personale, la cui costruzione è un processo in continua evoluzione che dura per tutta la vita e permette, pur mantenendo un senso di sé stabile, di operare dei cambiamenti in relazione alle esperienze vissute nel corso della propria esistenza.

Le caratteristiche di continuità e pervasività di tale condizione comportano, infatti, l’innescarsi di un lungo e non facile processo, che va dalla simbolica separazione dell’immagine corporea antecedente alla malattia alla condizione di cronicità: è un’immagine che talvolta risulta essere danneggiata o modificata dall’affermarsi della malattia cronica. E questa condizione ha spesso un impatto sul corpo, sia in termini di aspetto sia di funzionalità. Ciò che ne consegue è allora un’importante trasformazione anche dello schema corporeo della persona stessa.

È quindi importante per il paziente saper riconosce re i limiti che talvolta la malattia impone e poter ridefinire, se necessario, alcuni aspetti della propria identità personale per evitare inutili ed estenuanti sfide contro se stessi, con l’unico obiettivo di rincorrere e ricalcare quell’immagine di sé che si aveva prima della diagnosi.

Tutto ciò comporta un nuovo modello d’integrità psico-fisica, in cui è necessario inserire non solo la diversa condizione del proprio corpo, ma anche la nuova dimensione psicologica che questo ha comportato, con evidenti conseguenze sulle dinamiche lavorative, relazionali, affettive e con notevoli ripercussioni sulla gestione dei legami con gli altri, amici e familiari. A tal proposito Trabucco nel 2003 scrive: “La persona umana […] quando è ammalata lo è nella sua totalità. Essa reagisce a qualunque modificazione del suo stato fisiologico di base. […] Qualsiasi evento morboso produce importanti reazioni emotive, psicologiche e sociali”.

Nonostante ogni malattia cronica abbia delle specifiche caratteristiche che la differenziano dalle altre, è possibile individuare un leitmotiv all’interno del quale si possono rintracciare le stesse implicazioni di tipo psicologico. In particolare emerge come il corpo sia, nelle sue diverse dimensioni, il maggiore elemento sul quale la malattia cronica agisce. Quella corporea è poi una dimensione importante dell’identità dell’essere umano: è infatti attraverso il corpo che le persone si relazionano con il proprio contesto sociale.

Diversi autori hanno evidenziato la stretta connessione tra gli aspetti corporei del sé e dell’identità, che costituiscono aspetti centrali nell’esperienza di malattia (Kelly & Field, 1996). Le alterazioni delle funzioni corporee causate dalla malattia possono infatti comportare cambiamenti che interessano soprattutto queste due dimensioni. Tutto ciò conduce a una ridefinizione di sé, che è foriera di un profondo cambiamento nel modo di essere e di percepire sé stessi.

Siegel e Lekas (2002) rilevano come l’individuo affetto da malattia cronica sperimenti dei veri e propri cambiamenti, cercando di integrare la malattia nella propria vita e percezione di sé nel lungo periodo. Ne conseguono dei veri e propri cambiamenti in termini d’identità personale: cambiamenti che vanno nella direzione della normalizzazione delle proprie caratteristiche personali a dispetto delle trasformazioni causate dalla malattia (Borsari et. al., 2015).

La cronicità è talvolta associata a cambiamenti che possono interessare l’autonomia, la mobilità, la vita di relazione, con il conseguente aumento dello stress, che può tradursi in veri e propri disturbi di tipo psicologico. La ragion d’essere di tali disturbi si àncora nei cambiamenti che si verificano nella vita quotidiana del paziente e che incidono in modo negativo sulla sua qualità, sul benessere percepito, indipendentemente dalle sue condizioni di salute. In particolare risultano essere fattori importanti la perdita del lavoro o la necessità di cambiare attività, oppure il cambiamento del proprio ruolo sociale quale diretta conseguenza della malattia cronica che, in alcuni casi, impone al paziente un coatto confronto con la perdita o la riduzione della propria autonomia.

Tutto questo processo comporta evidenti ripercussioni sull’autostima, ma anche sul sistema familiare del paziente, che necessariamente deve trovare nuovi equilibri non sempre facili da raggiungere. L’individuo deve infatti scontrarsi con una malattia che permane nonostante le terapie atte a contenerla. Accade spesso che patologie anche molto diverse tra loro, a causa della loro imprevedibilità, pongano i pazienti di fronte alla difficoltà della gestione dei sintomi che queste comportano. Tutto ciò può avere un impatto profondo su quella che lo psicologo Bandura definì come “autoefficacia”, e cioè la consapevolezza di essere capaci di dominare specifiche attività, situazioni o aspetti del proprio funzionamento psicologico o sociale (Bandura, 2000).

Si tratta di quell’abilità che ciascuno di noi percepisce nel poter mettere in atto un particolare comportamento o di controllare, prevenire o gestire le potenziali difficoltà che possono sorgere nell’esecuzione di un’azione specifica (Maddux & Gosselin, 2003). Se si cala tutto ciò nella dimensione della malattia, ci si rende conto di quanto sia ancora più gravoso per il malato. Diventa allora fondamentale per il paziente accettare questo nuovo stato di salute per dare un senso a quello che sta accadendo: non è un percorso semplice, ma possibile, durante il quale imparare a valutare realisticamente cosa si può fare e cosa no, e a farlo in modo nuovo e diverso da prima. In questo percorso fatto di adattamenti e riadattamenti può accadere che il paziente cronico sperimenti vissuti quali tristezza, rabbia o solitudine.

È importante, sotto il profilo psicologico, che la persona li possa riconoscere ed elabori tutto ciò che prova, i suoi stati emotivi, siano essi di rabbia, tristezza, paura o altro ancora. È doveroso sottolineare in questa sede che si tratta di reazioni normali di cui è però fondamentale occuparsi affinché possano essere parte di una dimensione transitoria per il paziente, senza che si strutturino come stati affettivi duraturi. Il paziente non è però il solo che deve fare spazio alla sua condizione di cronicità, ma anche il suo nucleo familiare e lo stesso contesto sociale all’interno del quale egli vive, i quali devono confrontarsi con la sua dimensione della malattia, coi disagi e/o con i cambiamenti che questa comporta o potrebbe comportare.

Buona lettura

Vorrei che tu lo sapessi

Vorrei, vorremmo essere ascoltati e creduti

La fibromialgia è definita come: una condizione che provoca dolore e stanchezza diffusi, eppure c’è molto di più.

Tante cose che vorrei tu sapessi, vorremmo, noi affette da questa malattia, che tu lo sapessi.

Che vorremmo poter essere di nuovo felici e spensierati;

Che il dolore ruba le vite che avevamo;

Com’è camminare un giorno nei nostri panni;

Che usiamo trucco e maschere per nasconderci e far finta di stare bene;

Nessuna quantità di sonniferi o antidolorifici ci curerà o migliorerà le cose;

Usiamo ogni grammo di forza e determinazione per stare in piedi e rimanere in piedi;

Quanto ci sentiamo soli e isolati;

Come la malattia o sindrome, come preferiscono definirla, ha rubato le nostre vite;

Ci ha portato via dalle nostre famiglie e dai nostri amici;

Solo perché sto bene oggi non significa che staremo bene domani;

Non ci sono mai due giorni uguali;

Il senso di colpa che portiamo quando non possiamo più fare le cose a cui eravamo abituati;

Quanto è difficile a volte andare avanti;

Come ascoltarci piuttosto che giudicare;

Solo perché non puoi vederlo il nostro dolore, non lo rende meno reale;

Quando diciamo che stiamo soffrendo, lo intendiamo davvero;

Quanta forza ci vuole per svolgere i compiti più semplici che gli altri danno per scontati;

Vorremmo essere ascoltati, conosciamo noi, benissimo, i nostri corpi;

Non siamo pigri quando abbiamo bisogno di riposare, corriamo davvero a vuoto;

Anche quando non diciamo nulla, qualcosa dentro di noi sta accadendo;

Semplicemente non vogliamo appesantirvi e annoiarvi;

Non intendiamo dimenticare le cose;

Cosa sta facendo alla mia mente e alla mia testa questa malattia?;

Come ora siamo la metà della persona che eravamo;

Come non abbiamo chiesto di essere così;

Il nostro dolore è reale;

La distrazione e la frustazione che questo può causare a noi e agli altri intorno a noi;

Stavo già lottando prima che la fibromialgia prendesse quel poco che è rimasto;

La fibromialgia non è una scelta;

Non è inventata;

È una malattia devastante, che cambia la vita, ed è incurabile;

Non vogliamo compassione;

Solo il desiderio che gli altri capiscano;

Il 12 maggio è la giornata di sensibilizzazione sulla fibromialgia;

Una giornata per diffondere consapevolezza;

Una giornata per diffondere la verità;

Una giornata per le nostre voci;

Vorremmo anche che non fosse solo il 12 maggio il giorno in cui voi dobbiate ricordare tutte queste cose, il dolore non dura un giorno ma, tutta la vita.

Vorrei, vorremmo essere ascoltati.

Se vuoi aggiungere altro, fallo pure, ci sono così tanti sintomi correlati a questa malattia che le richieste possono essere infinite.

Rosaria Mastronardo