Le difficoltà di definire, esprimere il proprio dolore cronico.

Il dolore cronico è definito come il “dolore che si protrae oltre i tempi normali di guarigione di una lesione o di un’infiammazione, abitualmente 3-6 mesi, e che perdura per anni”.

Il dolore cronico è stato riconosciuto come una vera e propria patologia in sé per le conseguenze invalidanti che comporta per la persona che ne soffre, dal punto di vista fisico, psichico e socio-relazionale; esso infatti compromette qualsiasi attività quotidiana generando depressione, senso di sfiducia e malessere.

Mal di schiena, emicrania, endometriosi, vulvodinia, fibromialgia, artrosi, nevralgie, esiti da trauma, herpes zoster, sono solo alcuni nomi di malattie caratterizzate dalla presenza di dolore cronico che, se non viene diagnosticato e curato in modo adeguato, non abbandona più le persone che ne sono colpite e che devono viverne la sofferenza.

Il dolore cronico interessa tutte le fasce d’età con una maggiore prevalenza nelle donne ed è stato riconosciuto come una delle cause principali di consultazione medica.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha identificato come uno dei maggiori problemi mondiali di salute pubblica.

Una volta in rete qualcuno ha scritto: Cosa puoi fare quando il dolore cronico ti attanaglia?

  • Subirlo;
  • Trascinarlo;
  • Analizzarlo;
  • Imparare da esso;
  • Accettarlo;
  • Trasformarlo.

Analizziamo queste ipotetiche “soluzioni”.

  • Subirlo: E’ da pazzi subire il dolore cronico. Non si può. Non bisogna subirlo ma combatterlo. Il modo lo puoi trovare solo tu, tu che lo senti. Non è facile, per carità ma, subirlo è da pazzi;
  • Trascinarlo: Inteso come portarselo dietro sempre? Ma come si fa? No, il dolore cronico non lo si può trascinare, è impensabile;
  • Analizzarlo: Anche questa non l’ho capita. Io che soffro di dolore cronico mi devo mettere ad analizzarlo? Vuol dire che devo studiarlo oppure mi devo spremere le meningi per capire perché cazzo soffro così tanto? Se sei sana, mettiti pure a pensare perché hai tanto dolore ma, viceversa, se hai tante malattie croniche, autoimmuni, degenerative, che cazzo analizzi? Sei una malata cronica, punto;
  • Imparare da esso: Ho imparato tanto dal dolore cronico, tantissimo. Una cosa ho capito. Non c’è nulla da fare, non passa;
  • Accettarlo: Quante volte ho accettato il dolore cronico. Ogni volta e tutte le volte che mi diagnosticavano una nuova malattia, tutte le volte. Accetta oggi, accetta domani, ho sempre accettato.
  • Trasformarlo: Abracadabra………..Anche questo. Trasformarlo. L’ho fatto, si che l’ho fatto. L’ho fatto tutte le volte che ho preso consapevolezza delle mie patologie e mi sono messa in gioco. Ho cercato di dare una mano a quelli che come me, avevano lo stesso problema, ho sensibilizzato la malattia che mi aveva colpito, ho scritto, letto e mi sono informata. Ho fatto tante di quelle cose che ho un file con tutti gli eventi, incontri, seminari a cui ho partecipato e ho organizzato. L’ho fatto per me e per gli altri. L’ho fatto per non pensare al dolore, per non sentirlo. In alcuni momenti ti sembra di non averlo; minuti, secondi, attimi ma, è lì. Ecco che si sente. Si sente, lo senti ma, gli altri non lo vedono il tuo dolore. Non c’è cosa più straziante nello stare male, nel vivere con i dolori cronici delle tue malattie e sentirti dire: “Ti vedo bene”.

Il dolore cronico presuppone un dolore continuo e straziante, che a volte non può nemmeno essere spiegato a sufficienza.

Ho capito, nel corso di questi anni, sono quasi 8 anni che soffro di dolore cronico, che il dolore non può essere “misurato” con certezza. La valutazione del dolore dipende dalla descrizione verbale, dalle espressioni non verbali, da test specifici e dalla nostra empatia. Da questa prospettiva il dolore è una questione di esperienza soggettiva e di comunicazione. Diversi fenomeni (ad es. dolore da arto fantasma, analgesia da stress, effetti antidolorifici del rilassamento, ipnosi, placebo, ecc., dolore nonostante una lesione inesistente) mostrano ovviamente che fattori psicologici come distrazione, rilassamento, paura, depressione, precedenti esperienze di dolore così come le influenze familiari e culturali modulano il modo in cui il dolore viene vissuto, raccontato e descritto.

Il problema della definizione del dolore solleva questioni filosoficamente rilevanti, legate alla difficoltà irriducibile di voler rendere intersoggettivamente comprensibile l’esperienza soggettiva del dolore. È una questione simile alla domanda se tutti vedano un certo colore allo stesso modo, afferma Laura Kolbe,(scrittrice e poetessa che pratica medicina ed etica medica presso il NewYork-Presbyterian/Weill Cornell Medical Center) “ma con una posta in gioco più alta: che il dolore di una persona sia comunicabile e commisurato a quello di un’altra, può influenzare la nostra predisposizione a sentirci solidali gli uni verso gli altri emotivamente, socialmente e politicamente”.

La difficoltà per gli operatori sanitari è ancora maggiore dal momento che la relativa ineffabilità del dolore li rende in un certo senso esterni rispetto a esso ma nella posizione di dover prestare soccorso e stabilire delle cure.

Da tempo, per cercare di superare i limiti noti delle scale da 1 a 10, alcuni strumenti clinici utilizzati per la valutazione del dolore si concentrano sulla terminologia più che sui numeri. Il Questionario sul dolore di McGill, sviluppato negli anni Settanta da Melzack alla McGill University a Montréal, è considerato un modo di fornire tramite aggettivi-descrittori un rapporto più strutturato e statisticamente utile sul dolore, valutandone i livelli e l’evoluzione nel corso del tempo, in modo da determinare l’efficacia di ogni intervento. Ai pazienti intervistati viene chiesto di scegliere le parole più adatte in un insieme molto vasto di aggettivi, tra cui “pizzicante”, “pulsante”, “fulmineo”, “tagliente” e “crampiforme”.

Il vantaggio auspicabile in questo tipo di espansioni del vocabolario clinico, conclude Laura Kolbe, è che portino a “un analogo allargamento dell’immaginazione clinica quando si tratta di ciò che i pazienti provano”.

Se in Italia avessimo il questionario di McGill ed io dovessi utilizzarlo, in questo momento, oggi, non mi basterebbero gli aggetti: “pizzicante”, “pulsante”, “fulmineo”, “tagliente” e “crampiforme”, aggiungerei un avverbio e un aggettivo: “MALEDETTAMENTE INSOPPORTABILI

Le malattie croniche “invisibili” sono reali. Nessuno lo capirà mai se ci nascondiamo.

Vivere con una malattia cronica è già abbastanza impegnativo senza che altri mettano in discussione la tua condizione e se poi questa malattia cronica è anche “invisibile” è molto più impegnativo.

Mettere in discussione un malato cronico invisibile non va mai bene. Quanti di noi ricordano di essersi sentiti dire: “non hai nulla, è solo stress”. Come ci siamo sentiti in quel momento? I medici non ci credono, la famiglia non ti crede, gli amici ti evitano, quindi incominci a pensare che il problema sei tu e solo tu.

Poi finalmente ti arriva una diagnosi e tiri un sospiro di sollievo. Si succede ma, intanto tutte quelle discussioni, dubbi sul tuo stato di salute, che era tutto nella tua testa, che eri un malato immaginario, ti hanno logorato dentro, ti hanno annientata.

Spesso sono le persone a te più vicine che ti feriscono, mettendo in dubbio il tuo dolore, il tuo stare male.

È incredibilmente deprimente quando i tuoi amici più cari non ti supportano. C’è una travolgente sensazione di impotenza e frustrazione.

Ricordo un giorno in cui incontrai una persona che credevo amica e non vedevo da anni. Tentai di spiegargli la mia malattia invisibile. Non dimenticherò mai il suo commento: “Non sei l’unica con problemi“.

Sono sicura che a molti di noi è stato detto: “Non sembri malata“. Questo commento può sembrare innocuo, ma è a dir poco invalidante. Solo perché una malattia non è visibile, non significa che non ci sia.

Tutto cambia quando ti confronti con qualcuno che vive la tua stessa condizione. Non c’è nulla da fare. Chi vive la tua stessa situazione, capisce, comprende e ti incoraggia. Che sia essa empatica o non ma, se vive come vivi tu, è fatta. Hai trovato il tuo “simile”. Magari, essendo da più tempo di te con le tue stesse condizioni, è in grado anche di darti una mano, un suggerimento, quel qualcosa che in quel momento ti far stare bene. C’è qualcuno uguale a te.

Penso che sia giusto dire che molti di noi con malattie croniche si sono abituati a negare i commenti di molte persone vicine a noi e spesso si sentono traditi.

A volte le persone sono beatamente inconsapevoli di quanto possano essere offensivi i loro commenti. L’annullamento può essere involontario. Per questo motivo, è importante rendere le persone consapevoli di come i loro commenti possono farti sentire.

A volte , qualunque cosa tu dica , alcune persone non capiranno mai. Se hai spiegato a qualcuno come ti ha ferito, eppure continua a farlo, assicurati di prendere le distanze da quella persona. Allontanati o allontanalo. So quanto può essere difficile prendere le distanze da qualcuno vicino a te, ma è importante andare avanti. Quando le persone ti invalidano emotivamente, è tossico per la tua salute. Abbiamo bisogno di circondarci di persone che ci sostengano.

Non dovresti giustificare la tua malattia con nessuno. È tempo di trovare la nostra voce. Dobbiamo prendere posizione. L’annullamento non va mai bene, quindi non accettarlo da nessuno.

Viviamo una vita nonostante la/le malattie croniche. Siamo forti. Ci sforziamo tanto per essere forti. Se riusciamo a superare questo, possiamo superare qualsiasi cosa. Siamo qui e dobbiamo resistere.

Rosaria Mastronardo

Le parole sono uno dei più grandi miracoli al mondo, possono illuminare o distruggere menti, nazioni, culture. Le parole sono belle e pericolose.
(Charles Bukowski)

Diversamente abile con una “particolarità”

Pochi giorni fa ho avuto tanta paura. Ho rivissuto una sensazione avvertita per la prima volta nel 2015. Le parestesie. Mi sono alzata dalla sedia e ho sentito le gambe rigide, di cemento. Conoscevo quella sensazione. Paura, ansia, tremore, mi stavano invadendo. Vado in bagno e mi preparo per andare a letto. Non voglio pensarci, ci dormo su, mi son detta.

Durante la notte, l’incubo. Cefalea, tremore, vomito. I muscoli della schiena e le costole erano tesi e si contraevano a ogni movimento. La mia anca destra e tutta la schiena dolorante, mi sentivo storta, ero storta. Alzarsi dal letto era impossibile. Ho trascorso tre giorni a letto, tra tremori, dolori, ansia e rabbia. Tanta rabbia. Quando finisce questo calvario? Quando avrò un po di pace?

Vivere con tante malattie croniche fa schifo. Le mie giornate ultimamente sono consumate dall’ansia. I farmaci che assumo, non funzionano, le spese che sostengo per esami, controlli, consulti sono sempre in aumento, le attese infinite, i sensi di colpa per lo stress che causo in famiglia. Mi alzo con i dolori e vado a letto con i dolori. Che vita è?

Quando vivi una vita con tante malattie croniche, non puoi programmare nulla.

Non voglio programmare più nulla, non voglio e non posso pensare al giorno dopo, devo vivere e gestire le mie giornate al minuto e non al domani.

Quando hai tante malattie croniche, non sei al passo con gli altri, tu sei diversa. Tu sei diversamente abile ma, con una “particolarità”. Non ti vede nessuno.

Vivere con malattie croniche e invisibili è un dramma.

Vivere con malattie croniche e invisibili per le quali non c’è cura è una disgrazia.

Vivere con malattie croniche e invisibili per le quali non hai nessuna tutela è una catastrofe.

Devi vivere, si fa per dire, come se non avessi nulla, perché tu non esisti.

Io sono, diversamente abile, con una “particolarità”: anche se non mi vedete, io esisto.

A volte non posso fare a meno di immaginare la mia vita in un universo alternativo. Mi chiedo spesso, come sarebbe stata la mia vita se non mi fossi ammalata. Confesso che non so rispondervi, non ricordo più nemmeno come si vive senza dolore.

Rosaria Mastronardo

Carta dei Diritti della Persona con Dolore

Leggendo l’articolo a questo link:

https://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=48759

le cose che più mi hanno colpito sono state queste:

  • Note dolenti però arrivano sulla conoscenza della legge 38. Il 63% di chi ha risposto alla scheda non la conosce e il 70% non sa che la legge obbliga le strutture sanitarie a misurare il dolore e ad annotarlo su una cartella clinica insieme alla terapia prescritta e ai risultati ottenuti. Risposte diverse, ma non troppo, anche in questo caso a seconda dell’età e del titolo di studio. Chi conosce “meglio” l’esistenza della legge sono il 49% dei laureati, chi la conosce peggio il 68% di chi si è fermato alla scuola primaria. E rispetto all’età, conoscono la legge “solo” il 42% dei soggetti tra 60 e 74 anni, la ignorano il 77% di quelli tra 18 e 29 anni.
  • L’informazione. E l’informazione non arriva in modo fluido dai medici di famiglia (a cui si è rivolto il 64% dei pazienti) che difronte al dolore prescrivono farmaci, ma non consigliano quasi mai (solo il 35% lo fa) il ricorso ai Centri di terapia.

Cosa si potrebbe fare, mi sono domandata; come si potrebbe ovviare a questa poco informazione di una legge così importante?

Oggi, il dolore costituisce un’esperienza negativa soggettiva che coinvolge non solo la sfera fisica ma l’insieme della persona. E’ possibile ottenere il controllo completo del dolore in quasi tutte le situazioni cliniche, anche le più complesse. La legge italiana del 15 marzo 2010 definisce la terapia del dolore “l’insieme di interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate , allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutico per la soppressione e il controllo del dolore “(art. 2, b). Ogni malato ha diritto di essere curato per il suo dolore, e di ottenere tutta l’attenzione e la competenza necessaria al miglior controllo del suo dolore.

In generale la lotta al dolore richiede una serie di cambiamenti culturali, professionali ed organizzativi: si tratta infatti di affiancare, nella pratica quotidiana, così come nelle scelte strategiche, al concetto di cura della malattia il concetto di valutazione e trattamento del dolore. Ciò implica l’attuazione di una serie di misure finalizzate – ad esempio – a introdurre la rilevazione del dolore al pari degli altri segni vitali, quali la frequenza cardiaca, la temperatura corporea ecc., a far aumentare l’attenzione del personale sanitario affinché vengano messe in atto tutte le misure possibili per contrastare il dolore, a favorire un radicale cambiamento di abitudini e atteggiamento nella popolazione attraverso campagne di sensibilizzazioni.

L’articolo 11 della Carta Europea dei Diritti del Malato (2002), afferma: “Ogni individuo ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile, in ogni fase della sua malattia.”

Ciascun individuo ha diritto a vedere alleviata la propria sofferenza nella maniera più efficace e tempestiva possibile. In passato ignoranza, pregiudizi e rassegnazione hanno impedito che si affrontasse in maniera adeguata il dolore connesso alla malattia. In realtà il dolore è un sintomo che va curato con la stessa attenzione riservata alle patologie per evitare che si cronicizzi e diventi esso stesso “malattia”.

Ogni individuo ha diritto di sapere che il dolore non va necessariamente sopportato, ma che gran parte della sofferenza può essere alleviata e curata intervenendo con la giusta terapia. Il dolore deve essere eliminato, almeno, attenuato in tutti i casi in cui sia possibile farlo poiché esso incide in maniera pesante sulla qualità della vita.

Tutti gli individui hanno diritto ad essere ascoltati e creduti quando riferiscono del loro dolore.

Il dolore è caratterizzato da una forte componente soggettiva, poiché la sofferenza è influenzata da numerosi fattori individuali, come avvalorato anche dalla letteratura. Per intervenire nella maniera più adeguata, gli operatori hanno il dovere di ascoltare, prestare fede e tenere nella massima considerazione la sofferenza espressa. Il cittadino deve essere libero di riferire il dolore provato, con la terminologia che gli è propria, e assecondando le proprie sensazioni, senza temere il giudizio dell’operatore, che deve impegnarsi ad interpretare al meglio quanto il paziente cerca di comunicare.

Ciascun individuo ha diritto ad accedere alle cure necessarie per alleviare il proprio dolore. Hanno quindi pari diritto di essere curati nel loro dolore non solo quanti affrontano le fasi terminali della vita e/o i malati oncologici, ma anche coloro che soffrono di dolore cronico non da cancro e acuto (da parto, da trauma, da intervento chirurgico, o che necessitano di primo intervento al pronto soccorso); in particolare, tutte le donne dovrebbero essere messe nelle condizioni (compatibilmente con la situazione clinica) di poter partorire senza dolore.

Ciascun individuo ha diritto a ricevere assistenza al dolore, nel rispetto dei più recenti e validati standard di qualità. Ogni persona ha diritto a ricevere assistenza al dolore da operatori adeguatamente formati e aggiornati, in maniera che sia garantito il rispetto degli standard di qualità internazionali.

Ogni persona ha diritto a vedere alleviata la propria sofferenza con continuità e assiduità, in tutte le fasi della malattia. Particolare attenzione rispetto alla continuità della cura va posta nel passaggio dall’ospedale al territorio, evitando situazioni di discontinuità.

Ogni decisione riguardante la terapia del dolore presuppone un’informazione corretta, completa e comprensibile, che tenga conto del livello culturale del paziente e del suo stato emotivo. Ogni intervento terapeutico finalizzato ad alleviare la sofferenza va concordato e modulato, nella qualità e nell’intensità, in accordo pieno e consapevole con la volontà del paziente, secondo i principi sui quali si fonda un valido consenso. In ogni Unità Operativa di un qualsiasi Ospedale devono essere identificati un responsabile medico e un responsabile delle professioni sanitarie non mediche che avranno lo specifico mandato di divulgare la cultura della prevenzione del dolore a tutti i professionisti sanitari, affinché ogni persona possa avere informazioni utili per prevenire e contrastare il dolore da parte di tutti i professionisti della salute che incontra nel percorso di diagnosi e cura.

Ogni persona ha diritto a partecipare attivamente alle decisioni sulla gestione del proprio dolore. Ogni intervento terapeutico finalizzato ad alleviare la sofferenza va concordato e modulato, nella qualità e nell’intensità, in accordo pieno e consapevole con la volontà del paziente, secondo i principi sui quali si fonda un valido consenso. Ogni persona ha il diritto di ricevere risposte pronte ed esaurienti ai suoi interrogativi, e di disporre di tutto il tempo necessario ad assumere le decisioni conseguenti.

I bambini, gli anziani e i soggetti che “non hanno voce” hanno lo stesso diritto a non provare dolore inutile. La paura e l’ansia, presenti in tutti i soggetti a contatto con la malattia, assumono infatti caratteristiche peculiari nei piccoli malati, nelle persone con disagi psichici o con gravi handicap mentali e in alcuni anziani.

Chiunque debba sottoporsi ad esami diagnostici, in particolare quelli invasivi, deve essere trattato in maniera da prevenire eventi dolorosi, (informazione sulla possibilità di essere sedati).

Ecco cosa si potrebbe fare: “Una Carta dei Diritti della Persona con Dolore”, come quella descritta sopra che ho “preso in prestito” dall’Azienda Ospedaliera di Padova.

Altre Aziende Ospedaliere in altre zone d’Italia, hanno una Carta dei Diritti della Persona con Dolore? Se, mancante, prendete esempio, fatene una e fatela rispettare perché è bene sempre ricordare, l’articolo 11 della Carta Europea dei Diritti del Malato (2002), che afferma:

Ogni individuo ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile, in ogni fase della sua malattia.”

Rosaria Mastronardo

Fibromialgia e l’associazione con l’artrite reumatoide e l’osteoartrosi

La fibromialgia (FM) è spesso associata ad altre malattie che agiscono come fattori confondenti o aggravanti quali l’artrite reumatoide (AR), le spondiloartrite (SpA), l’osteoartrosi (OA) e le malattie della tiroide

Questo articolo è stato scritto da un medico, dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia di Milano, nel 2016. Molte cose erano già note sulla Fibromialgia, esami da fare, come individuare bene la FM nei pazienti affetti da dolore cronico ma, soprattutto era chiaro, già in quell’anno come cercare di comprendere se il paziente avesse solo la Fibromialgia e/o ben altre malattie più “gravi” della Fibromialgia. Allora mi sono fatta tante domande ma, una su tutte è questa: perchè ancora si insiste sui solo “Tender Points” e pochissimi medici sottopongono questi pazienti ad altri e più specifici esami?

La risposta, con certezza non la conosco, posso solo immaginarla. Lascio a chi leggerà questo articolo, una propria opinione.

La fibromialgia (FM) è spesso associata ad altre malattie che agiscono come fattori confondenti o aggravanti quali l’artrite reumatoide (AR), le spondiloartrite (SpA), l’osteoartrosi (OA) e le malattie della tiroide.

I sintomi più comuni e caratteristici della FM sono il dolore diffuso, la rigidità, l’astenia e il sonno non ristoratore. Tuttavia, il sintomo patognomonico è il dolore muscoloscheletrico cronico diffuso presente consecutivamente da almeno 3 mesi e riferito ad entrambi gli emisomi, (una delle due metà del corpo umano, definite secondo un piano di simmetria sagittale) al di sopra ed al di sotto della vita, ed assiale, a carico di almeno uno dei tre segmenti, cervicale, dorsale e lombare.

Circa 2/3 dei pazienti riferiscono bruciore dappertutto e questo sintomo può essere utile per differenziare la FM da altre condizioni dolorose.

Il dolore può essere descritto con una combinazione di termini quali scottante, bruciante, vibrante, battente, martellante, profondo, tagliente e come la rigidità, spesso viene aggravato dal freddo o dal clima umido, dall’ansia o dallo stress, dall’attività fisica eccessiva, dal sonno non ristoratore e dal rumore. Tuttavia, il dolore muscoloscheletrico rappresenta un sintomo comune nei pazienti affetti da malattie reumatiche sistemiche, ma non è sempre facile scoprirne la causa.

Il dolore rappresenta il sintomo patognomonico per la diagnosi di FM, ma è associato ad una varietà di sintomi (come l’astenia, il fenomeno di Raynaud, i disturbi del sonno, la rigidità muscolare, la sindrome sicca (detta anche sindrome di Sjögren), la sindrome del colon irritabile, la depressione e l’ansia) che agiscono come fattori confondenti perché sono presenti in diverse condizioni dolorose, e la mancanza di esami di laboratorio specifici per la FM può facilmente portare ad una diagnosi errata.

La sua diagnosi clinica non è semplice poiché sintomi simili-FM sono facili da ritrovare, quindi la diagnosi differenziale con le altre cause di dolore cronico è fondamentale.

Quando il dolore coinvolge un ampio numero di articolazioni, può essere confuso con il dolore diffuso della FM, ma il grado di dolore misurato per mezzo della scala analogica visiva (VAS) non permette di distinguere la FM da altre condizioni dolorose quali la (AR) o (OA).

Inoltre, la FM può co-esistere con malattie immuno-infiammatorie, molte malattie reumatiche e non reumatiche possono essere erroneamente diagnosticate come FM. Attualmente non esistono test strumentali in grado di confermare la diagnosi, ma molte delle diagnosi differenziali vengono escluse attraverso un accurato esame clinico ed anamnestico.

Considerando la sovrapposizione della FM con le altre malattie, i medici dovrebbero essere piuttosto attenti: la radiografia del torace e l’ecografia dell’addome rappresentano i primi step per la valutazione dei pazienti con sospetta diagnosi di FM. Tuttavia, effettuare la diagnosi di FM può essere difficile a causa della natura multisfaccettata della sindrome e della sovrapposizione con le altre condizioni dolorose croniche.

FM associata a artrite reumatoide e osteoartrosi.

I meccanismi coinvolti nella FM sono molteplici e complessi. Alcuni di questi meccanismi coinvolgono la somatizzazione temporale (windup), il potenziamento a lungo termine (LTP), il potenziamento etero-sinaptico, una disfunzione delle vie inibitorie discendenti del dolore, e una attivazione del pathway facilitario discendente.

Il dolore nell’AR si riteneva fosse periferico e infiammatorio. Tuttavia, anche il dolore centrale può essere importante, i pazienti affetti da AR presentano in genere iperalgesia agli stimoli meccanici e termici in diverse aree del corpo, e non solamente nelle articolazioni infiammate.

I pazienti affetti da AR presentano anche una risposta al dolore dovuto ai valori del TNF (Inibitori del Fattore di Necrosi Tumorale) maggiore rispetto ai controlli. Gli stessi dati sono stati osservati nell’OA, nella quale è stato dimostrato il ruolo sul dolore di fattori centrali. Un piccolo studio ha riportato che i pazienti affetti da OA presentano iperalgesia diffusa secondaria a stimoli meccanici e al calore. Inoltre, per confermare questi dati, studi hanno dimostrato che composti che agiscono sui neurotrasmettitori del dolore centralmente quali la serotonina e la norepinefrina (es, duloxetina, triciclici) sono efficaci nell’OA.

Sulla base di questi risultati, il dato più importanti dell’associazione FM e malattie croniche è il suo riconoscimento al fine di trattarla in modo ottimale. Per esempio, quando i sintomi della FM associata ad un numero rilevante di Tender Points, sono presenti nell’AR, essi non dovrebbero essere automaticamente attribuiti ad una aumentata attività di malattia e non dovrebbe essere prescritte alte dosi di farmaco biologici o di corticosteroidi senza un adeguata valutazione dei TPs e degli esami di laboratorio.

Stanca di sentirmi dire: “Tu puoi farcela, e CE LA FARAI”

nun cia facc chiu

Mi soffermo a meditare spesso in questo periodo, a mollare tutto (visite, esami, controlli, post, lettere, denunce) perché troppo stanca, troppo esausta, sfinita e avvilita.

STANCA. Dal sistema sociale e sanitario ingarbugliato burocraticamente, complicato per noi malati cronici, medici ignoranti che continuano a far finta che non è reale quello che provi. Ignorata, offesa e oltraggiata, dal SSN e dalle associazioni, non tutte.

STANCA. Di RIPETERE LE STESSE COSE.

STANCA. Di farvi capire che non sono come voi “SANI”.

Ogni volta che discuto dei miei limiti fisici con gli altri, mi viene spesso ripetuta la stessa frase: “Tu puoi farcela, e CE LA FARAI”. Questa frase mi fa pensare tanto e mi sono chiesta cosa significa veramente per una persona sana, per una persona che non sa cosa siano le malattie croniche e soprattutto, cos’è il dolore cronico.

Sono una donna di 61 anni (tra poco) con diverse malattie croniche; in alcuni giorni, mi rendo conto che posso “tirare” di più i miei limiti, forse per un giorno, al secondo giorno, non ci arrivo. Può capitare di essere costretta a sforzarmi un po’ di più per qualche occasione speciale o per portare a termine un’attività necessaria. Ma quello sforzo “extra” di solito porta ad un disastroso “crash“. Dopo questo occasionale sforzo, io sono finita, mi sento come morta, senza vita; ripeto, sono occasionali gli sforzi, però dopo, io non sono nessuno, non esisto più.

È come guidare una macchina. In quell’auto, potete andare dove volete fino a quando il serbatoio ve lo permette. Quando nell’auto, non c’è più carburante, il viaggio è finito, non si va da nessuna parte. Di solito, se sto realmente in un auto e sto viaggiando, per evitare di fermarmi e non arrivare alla fine del mio viaggio, mi fermo per fare rifornimento giusto per sicurezza; e anche una volta che la mia auto mi segnala che sono in “rosso”, di solito rimane una certa quantità di benzina ancora per un po. Posso rischiare e continuare a guidare, ma alla fine la mia auto si fermerà completamente. Quando non c’è più carburante, la tua auto non va da nessuna parte, non importa quanti viaggi tu voglia fare, non importa quante cose stai immaginando di affrontare, l’auto si ferma, punto. Le persone con malattie croniche, soprattutto con dolore cronico, tendono a vivere la loro vita nello spazio tra il “quasi vuoto” e il “completamente senza carburante”. Alcune persone imparano i propri limiti abbastanza bene da fermarsi prima che si esauriscano completamente; altri cercano di “spingere” fino a quando si saranno completamente “esauriti”.

In quei giorni, in cui ho tirato troppo la corda, ho vissuto momenti bruttissimi, ho iniziato a piangere, l’idea di provare ad alzarmi dal letto la mattina per andare in bagno era travolgente. Ho avuto momenti in cui ero così stanca che fissavo il cibo nel piatto rendendomi conto che avevo ancora fame, ma riuscivo a malapena a sollevare la forchetta per continuare a mangiare. Ci sono giorni in cui non riesco nemmeno a sdraiarmi sul letto perché non ho l’energia per stare in piedi e crollo letteralmente. Mi sento come un blocco di ghiaccio che si scioglie sul marciapiede in una giornata calda. Non c’è volontà che tenga, non c’è sforzo che possa impedirmi di sciogliermi lentamente nel mio letto. Ho una terribile confusione in testa che rende difficile pensare anche alle più piccole cose. Perdo il filo dei miei pensieri a metà frase, o dimentico le parole e non ho l’energia per parlare. Mi è difficile leggere e concentrarmi sul testo, non ho l’energia mentale per elaborare le parole, e finisco per rileggere all’infinito lo stesso verso, le stesse frasi senza capirne il significato.

Questo “crash” può durare giorni o settimane, ma non so mai quanto durerà. Decidere di fare uno sforzo extra per me è un rischio costante, è come guidare una macchina senza freni. Dove andrò a sbattermi questa volta?.

Mi sono resa conto, che per i miei amici sani, tutti quelli che non sono in queste condizioni di cronicità, e ti ripetono: “Tu puoi farcela, e CE LA FARAI”, non capiranno mai le mie difficoltà, perché questi, anche se si sforzano e “tirano” al limite delle loro possibilità, staranno forse male ma, mai quanto me. Se continuano ad allenarsi anche quando tutti i loro muscoli faranno male e sono stanchi, alla fine arriveranno al punto che si sono prefissati e dopo, avranno anche più energia e allenarsi richiederà meno sforzo. Mi sono resa conto che non capiscono e non lo capiranno mai perché per loro c’è un un obiettivo finale che possono e raggiungeranno se si impegneranno molto.

Possono farcela perché ci sarà un punto in cui non dovranno più sforzarsi così tanto.

Ecco perché ho realizzato, ad un certo punto che, chi non vive una condizione di multi – cronicità, chi non vive con il dolore cronico, non può capire come ci si sente se “spingiamo” oltre

Questi più spingono , più ottengono risultati positivi, noi malati cronici più spingiamo, più siamo finiti.

Io, l’ho capito, perché loro non lo capisco? Quindi, per favore, ricordarti che io non non sono pigra o riluttante a fare uno sforzo per migliorare le mie condizioni, per forse stare meglio, io sono una realista. Potrei essere in grado di continuare a “spingermi” per un po’, ma alla fine crollerò.

Cosa dire a quella parte della classe medica che ti tratta con superficialità, con indifferenza e menefreghismo.? Cari dottori, se non avete empatia, se non avete cervello e cuore, cambiate lavoro, di terra da zappare in questo paese e non solo in questo, ce n’è molta.

Rosaria Mastronardo che, per scrivere questo testo, per la stanchezza, ho impiegato 3 ore, una volta mi bastavano 5 minuti.

Siamo alle solite buffonate!!!!

Nella giornata mondiale della fibromialgia che, ricordo a tutti, è il 12 maggio, quest'anno a qualcuno è venuto in mente di "FISSARE" su una panchina colorata rigorosamente di viola, questa targa. 

Ho volutamente oscurato nella foto, alcune zone, la città, l'associazione e tutto quanto potesse far risalire a qualcuno per evitare denunce e/o attacchi di qualsiasi genere, già subiti dalla sottoscritta da parte di associazioni e/o adepti. 

Come malata fibromialgica però voglio esprimere tutto il mio sdegno per lo slogan utilizzato:

 "Il Nostro Dolore Merita Riposo". 


Carissimi, mi rivolgo a chi ha avuto l'idea di questo schifo, ricordo che noi malati di fibromialgia, non abbiamo bisogno di riposo, noi abbiamo bisogno di: 


RISPETTO Di DIRITTI NEGATI DA 30 ANNI;
ABBIAMO BISOGNO DI UNA RICERCA SCIENTIFICA SERIA; 
ABBIAMO BISOGNO DI ESSERE CREDUTI;
ABBIAMO BISOGNO DI UNA CURA;
ABBIAMO BISOGNO DI MEDICI CHE VENGANO FORMATI SULLA MALATTIA CHE MOLTO SPESSO IGNORANO O FANNO FINTA CHE NON ESISTA.  

Carissimi, no. A noi non serve il riposo ma, ben altro. 

Grazie
Rosaria Mastronardo

L’inutilità del 12 maggio ( giornata mondiale delle fibromialgia) se resta solo un giorno.

Quelle inutili celebrazioni e i veri problemi insoluti

Nel giorno del 12 maggio, di ogni anno, si ricordano sempre 3 ricorrenze:

  • Giornata internazionale dell’infermiere, in memoria della nascita di Florence Nightingale
  • Giornata mondiale della fibromialgia
  • Giornata mondiale della sindrome da stanchezza cronica

Soffermiamoci sulla fibromialgia.

In passato, fin dal 1800, la malattia era già conosciuta, ma con tanti altri nomi: nel 1904 ad esempio la malattia venne chiamata Fibrosite da William Richard Gowers, che era un neurologo e pediatra inglese.

Federigo Sicuteri, medico toscano, individuò negli anni ’60 la figura della sindrome dolorosa ora nota come Fibromialgia. La denominò “Panalgesia” (pan=tutto, algesia=dolorabilità) e sottopose questa figura nosologica al Collegio della IASP, che riconobbe dignità di malattia a tale condizione, ma la ribattezzò col nome anglofono di “Fibromyalgia“, traducibile in italiano come Fibromialgia. Federigo Sicuteri ne aveva già messo in luce l’origine con sperimentazioni sull’animale. Il meccanismo d’origine è stato definito come serotonergico ed NMDA relato.

Il termine fibromialgia, deriva dal latino fibra e dal greco myo (muscolo) unito ad algos (dolore).

Fin dal 1992 la sindrome fibromialgica è riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), con la cosiddetta Dichiarazione di Copenhagen, ed è stata inclusa nella decima revisione dell’International statistical classification of diseases and related health problems (ICD-10), con il codice M79-7. Ad oggi, non è riconosciuta in Italia ma in altri paesi si.

Ci pensate? Si parlava di fibromialgia già dal 1800 e ad oggi se ne parla ancora senza prospettive certe per i soggetti che ne sono affetti.

Ogni anno, il 12 maggio, tutte le associazioni di malati fibromialgici, ricordano questa giornata con tante iniziative, bontà loro, e anche quest’anno, si ripete la stessa cosa con iniziative sempre lodevoli ma che non portano a nulla se non accendere i “riflettori” sulla malattia almeno per 24 ore.

Sapete quante e quali sono le giornate mondiali dedicate a qualcosa? La risposta arriva dall’Onu, che ha pubblicato il calendario completo degli eventi programmati tra l’1 gennaio e il 31 dicembre di ogni anno. In tutto sono 182. Praticamente un giorno ogni due celebriamo qualcosa.

Appare evidente che abbiamo troppe giornate da celebrare, molte delle quali su temi di scarsa rilevanza. Un conto è festeggiare la giornata delle torte (esiste davvero il 17 marzo!) un altro è rivolgere con serietà, tramite queste giornate mondiali, la nostra attenzione ai problemi dell’ambiente, della società e della salute da cui tutti dipendiamo.

Personalmente, essendo fibromialgica dal 2015 e ancora oggi ne soffro insieme a tante altre malattie croniche e concomitanti alla fibromialgia, ho pensato che non potevo non ricordare il 12 maggio per sempre ed è così che nel 2018, proprio nel giorno della giornata mondiale della fibromialgia nasceva il primo gruppo di auto aiuto, per il Coordinamento Toscano dei gruppi di auto aiuto, sulla fibromialgia, facilitato da me e dal nome: “Fibromialgia: Affrontiamola Insieme”.

Sono passati 5 anni. Ho fatto diverse cose belle nella mia vita ma questa del 12 maggio 2018 resterà a tutti. Tutti quelli che in questi anni hanno trovato nel gruppo qualcosa che ha fatto loro bene, ha tranquillizzato, ha fortificato ha dato qualcosa.

Nel gruppo di auto aiuto, “Fibromialgia: Affrontiamola Insieme”, ci confrontiamo e condividiamo le nostre esperienze, la nostra consapevolezza, il nostro modo di affrontare il dolore, il nostro vissuto come portatori di una malattia cronica invalidante che ti cambia la vita ma che nessuno vede con gli occhi, perché non hai segni sul corpo ma, nell’anima.

Per me, facilitare un gruppo, stare in un gruppo significava tante case ma una su tutte: non lasciare nella solitudine persone che come me soffrono di un dolore cronico.

Mi sono messa in gioco, per fare stare bene anche l’altro, uguale a me.

L’auto aiuto è un processo di condivisione volontaria di problemi comuni. E’ basato sul supporto reciproco, scambio di informazioni, abilità per l’affronto del problema, empatie a costruzione della resilienza. L’auto aiuto si occupa di costruire ambienti di supporto per permettere alle persone di avere più controllo sulla propria condizione di salute e meglio gestire le loro avversità. Per questo motivo, l’auto aiuto rappresenta un elemento base di un processo che mira a rafforzare la resilienza personale e comunitaria.

Il Glossario per la promozione della Salute dell’OMS spiega che l’auto-aiuto si lega alle azioni di personale laico nel muovere risorse in un processo che mira a promuovere, mantenere o ripristinare la salute di individui e della comunità.

I benefici del partecipare in gruppi di auto-aiuto sono numerosi, e il loro contributo nel benessere e la resilienza è stato documentato nella letteratura scientifica per almeno cinque decadi.

E’ bello ricordare quello che si è realizzato e voluto fortemente. Con me, nella realizzazione di questo gruppo di auto aiuto (oggi ne facilito 2), hanno collaborato tanti professionisti che hanno creduto in questo progetto e ad oggi mi sostengono ancora. Ci sono associazioni, piccole, medie e grandi che hanno fatto tanto per la sensibilizzazione di questa malattia cronica ed invalidante ma, quella più importante per noi malati, manca. Dopo il tanto fare, manca ancora un riconoscimento da parte dello Stato e manca soprattutto l’inserimento nei LEA (livelli essenziali di assistenza).

E’ pur vero che questa malattia non ha nessun marcatore che la identifichi con esattezza è vero anche che non c’è cura per essa ma, i malati esistono, i malati affetti da questa malattia sono inseriti nel registro della S.I.R. (Società Italiana di Reumatologia), cosa stiamo aspettando?

E intanto, un anno è passato. Si accendono i palazzi di viola, le fontane, si colorano le panchine dei giardini di viola, qualcuno ha chiesto anche l’aiuto di Papa Francesco per la fibromialgia ma, siamo ancora a 30 anni fa. Fermi, immobili nell’indifferenza delle istituzioni, della società, dello Stato.

Celebriamo pure, festeggiamo, coloriamoci tutti di viola ma, il dolore, quel dolore invisibile, che ti toglie il fiato e la forza di vivere, rimane.

Rosaria Mastronardo

Si può prevenire l’artrite psoriasica?

Articolo pubblicato su: https://www.healthcentral.com/ del giorno 8 maggio 2023 , scritto da Tracy Davenport Ph.D. e revisionato dal dottor Brian LaMoreaux.

La risposta: No, ma ci sono modi per ridurre i fattori di rischio e impedire che la PsA moderata diventi grave. Ecco come.

Per ora, l’artrite psoriasica (PsA) non è una malattia prevenibile. Lo sviluppo o meno dell’artrite psoriasica è determinato da una combinazione di fattori genetici, ambientali e di stile di vita. Gli scienziati stanno imparando continuamente come queste variabili si combinano per causare questa condizione cronica. Tuttavia, ciò non significa che sei totalmente impotente davanti alla malattia. Proprio l’opposto, infatti: quando si tratta di gestione dei sintomi e gravità della malattia, molto è sotto il tuo controllo. Segui i consigli degli esperti per contribuire a rendere la tua vita con l’artrite psoriasica più facile e meno dirompente nella tua vita quotidiana.

Prevenire i sintomi dell’artrite psoriasica

Anche se non possiamo ancora prevenire la PsA, esistono trattamenti e strategie per tenerla sotto controllo. La malattia psoriasica spesso attraversa cicli di sintomi attivi che compaiono per alcune settimane o mesi e poi regrediscono. Questi sono chiamati “razzi” o “riacutizzazioni” di artrite psoriasica.

La fonte di ciò che ha provocato il “bagliore” in primo luogo è indicata come un innesco . Se vuoi ridurre le tue riacutizzazioni, devi determinare i fattori scatenanti che sembrano esacerbare la tua condizione, afferma il dottor Waseem Mir, reumatologo al Lenox Hill Hospital di New York City. Non è sempre facile. “Diverse persone con PsA hanno diversi fattori scatenanti“, afferma il dott. Mir. “Ad esempio, lo stress emotivo, le intolleranze alimentari e i cambiamenti climatici possono causare l’infiammazione dell’artrite psoriasica“. Secondo il Dr. Mir, alcuni degli altri trigger PsA noti includono:

Alcol, Mancanza di sonno, Farmaci come i beta-bloccanti, Obesità, Dieta povera, Saltare o interrompere i farmaci per l’artrite psoriasica, Fumare, Fatica.

Trattamento per l’artrite psoriasica

Il trattamento per PsA non è sicuramente una proposta adatta a tutti e per tutti uguale. E il più delle volte, trovare il trattamento migliore per te è un processo di tentativi ed errori, soprattutto se il tuo reumatologo sta tentando di curare la psoriasi e l’artrite psoriasica allo stesso tempo. L’American College of Rheumatology e la National Psoriasis Foundation hanno pubblicato linee guida per il trattamento dell’artrite psoriasica. Si raccomanda sia il trattamento non farmacologico che quello farmacologico. Le terapie non farmacologiche includono:

Esercizio, Terapia di massaggio, Fisioterapia, Terapia occupazionale, Smettere di fumare, Perdita di peso.

Esiste un’ampia varietà di trattamenti farmacologici per PsA, a seconda della gravità dei sintomi e includono:

Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), Glucocorticoidi, Farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARD), Inibitori del fattore di necrosi tumorale, Biologici, Inibitori della Janus chinasi (JAK).

Ruolo della psoriasi nella prevenzione dell’artrite psoriasica

Detto che non esiste un modo noto per prevenire la PsA, è anche vero che gli scienziati hanno qualche sospetto. Ad esempio, sappiamo che esiste una forte relazione tra psoriasi e artrite psoriasica e che la gravità della psoriasi può essere una previsione del fatto che una persona sviluppi o meno PsA.

Circa il 20-30% di quelli con psoriasi sviluppa artrite psoriasica, anche se il motivo è ancora un mistero. “Gli eventi responsabili della progressione dalla psoriasi all’artrite psoriasica non sono attualmente chiari“, afferma Zhanna Mikulik, MD, reumatologa che dirige la clinica per l’artrite psoriasica presso il Wexner Medical Center della Ohio State University a Columbus. “Ma la gravità della psoriasi e la vaiolatura delle unghie sono segnali dello sviluppo di PsA“.

Il trattamento della psoriasi può prevenire la PsA? Questa è una domanda attualmente oggetto di indagine, riconosce il dottor Mikulik. “Sono in corso diversi studi per valutare se un trattamento altamente efficace della psoriasi possa prevenire o mitigare lo sviluppo di PsA“, afferma. (Nel caso ve lo stiate chiedendo, è anche possibile avere l’artrite psoriasica senza avere la psoriasi , ma non è molto comune.).

La perdita di peso può prevenire i sintomi dell’artrite psoriasica grave?

Perdere peso se stai trasportando chili in più non ti previene o ti cura dall’artrite psoriasica, ma può rendere più facile sopportare il dolore alle articolazioni associato alla malattia. ” L’obesità è associata a una maggiore attività della malattia nell’artrite psoriasica“, afferma il dott. Mikulik. La connessione: il grasso corporeo può promuovere un’infiammazione cronica di basso grado , secondo una ricerca sulla rivista Rheumatology and Therapy . E l’infiammazione è al centro del dolore PsA.

Perdere chili non è mai un’impresa facile, ma anche una piccola quantità di perdita di peso può fare una grande differenza nell’attività della malattia, ritiene il dottor Mikulik. Bonus: gli stessi alimenti che promuovono la perdita di peso possono anche combattere l’infiammazione, inclusi alimenti antinfiammatori come olio d’oliva, verdure a foglia verde, pesce grasso, frutta e bacche e noci.

Oltre a ridurre l’infiammazione, la perdita di peso può anche migliorare l’efficacia dei farmaci per l’artrite psoriasica. Secondo un articolo del 2020 , l’obesità è associata alla diminuzione della potenza dei farmaci PsA, specialmente quando si tratta di agenti del fattore di necrosi antitumorale (TNF).

Il controllo dell’artrite psoriasica può aiutare a prevenire altre malattie

Secondo l’Arthritis Foundation, più della metà delle persone con PsA ha almeno un’altra condizione medica correlata e il 40% delle persone con PsA ha tre o più condizioni di comorbilità. Uno delle più importanti? La malattia cardiaca . “La malattia psoriasica dovrebbe essere controllata per ridurre il rischio di sviluppare malattie cardiache “, sostiene il dott. Morbilità.

Lo stato emotivo per chi soffre di artrite psoriasica

Se hai l’artrite psoriasica, sai tutto sul costo emotivo che questa malattia può richiedere. “Vivere con il dolore può essere deprimente“, afferma il dottor Mir. “Anche i limiti di ciò che puoi fare, e se le tue articolazioni saranno d’accordo, possono avere un impatto.”

In uno studio del 2022 che esaminava l’artrite psoriasica e la salute mentale, la PsA era associata a depressione e maggiore ansia . Secondo gli autori dello studio, la depressione rimane non riconosciuta e non trattata in oltre la metà dei pazienti con psoriasi da moderata a grave. Fortunatamente, ci sono cose che puoi fare per prenderti cura della tua salute mentale mentre gestisci l’artrite psoriasica. Innanzitutto, parla con il tuo medico dei sentimenti di ansia o depressione. “Alcuni pazienti ti faranno entrare in ciò che stanno vivendo, mentre altri lo nasconderanno“, afferma il dott. Mir. Rimanere in cima al trattamento dell’artrite psoriasica per ridurre al minimo i razzi può anche aiutarti mentalmente. Il dolore alle articolazioni insieme alla rigidità e alla ridotta gamma di movimento possono logorare mentalmente.

E infine, entrare in contatto con altri che vivono con l’artrite psoriasica può aiutarti a sentirti compreso, soprattutto quando si tratta di affrontare la natura irregolare della condizione. Rimanere fisicamente attivi e mangiare bene sono altri due strumenti per aiutarti a mantenere il tuo umore costante quando hai a che fare con l’AP. Non c’è niente di facile nel convivere con una malattia che non può essere né prevenuta né curata, ma con il giusto approccio puoi imparare a gestire i sintomi e mantenere la qualità della tua vita.

Le “amiche” invisibili.

Hai la fibromialgia ma, non solo quella.”

Le parole che hanno cambiato completamente la mia vita.

Vuoi dire che non è una malattia terminale? Oh bene, perché fino a quel momento pensavo davvero di morire! Aspetta cosa? Ma è solo una malattia? Si, è cronica, significa per tutta la vita. Così un giorno mi sono ammalata e mi ci è voluto molto tempo per accettare il fatto che non sarei mai guarita. Mai. Quindi, non è terminale, ma la mia vita come la conoscevo una volta era finita, non ero più la stessa.

Con la fibromialgia, soprattutto all’inizio, non mi sentivo viva, vedevo svanire il mio futuro, i miei sogni, si era preso tutto, tutto il mio respiro. Quella “bestia” non è venuta da sola. NO! È come un soldato in guerra, arriva con le truppe. Una dietro l’altra, nel corso di circa otto anni, una “schiera di soldati”: Artrite Psoriasica, Psoriasi, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteocondrite di 4° livello alle caviglie, Spasmofilia, Artrosi mani e piedi e non è questo l’ordine. Alcune di queste malattie prevedono qualche piccola esenzione, le prime due, per tutte le altre, compresa la Fibromialgia, NON C’È’ NULLA, si paga tutto ed inoltre, non essendo neppure “considerate” dal SSN devi continuare a lavorare senza “sconti”, riduzione dell’orario, riposo anticipato, etc, etc.

Se pensate che queste condizioni siano le peggiori, vi sbagliate, non lo sono. È un’orribile condizione di dolore cronico che colpisce i miei muscoli, i nervi, articolazioni e persino i tendini. Emicrania, sciatica, sensibilità al caldo e al freddo e intorpidimento. La lista potrebbe continuare all’infinito. Non mi sentivo normale da anni, non posso essere neppure toccata. Anche il graffio più leggero fa male ed è fastidioso. Indosso sempre abiti, pantaloni prevalentemente, larghi, perché arrivano giorni che anche i vestiti che indosso fanno male, bruciano la pelle. La depressione e l’ansia sono le “cuginette” di chi vive questa vita con questa “bestia” e le sue “truppe”. E mentre penso che sia un dato di fatto sviluppare ansia e depressione con tutte queste malattie croniche, qualche medico, afferma che sono queste che scaturiscono le altre. Mentirei a me stessa se dicessi che non ce l’ho perché provate entrambe.

Alla malattia cronica nella mia vita, non ci pensavo, credo che nessuno si aspetta mai di ammalarsi e scoprire che non migliorerà mai. La parte più difficile per me è stata quella di realizzare di non essere in grado di prendermi cura di me stessa, della mia vita, di perdere il controllo di tutto. Non mi riconoscevo nemmeno più: chi era quella persona nello specchio?

Forse ho tralasciato qualcosa. Di sicuro, perché quando si è particolarmente stanchi, quando quella stanchezza cronica prende il sopravvento sento un po’ della famosa “nebbia fibrosa” o “fibro-fog”. Sono sincera, nel mio caso, non è stata molto presente ma, ultimamente, l’avverto di più e per come sono, per come ero, è bene dire, per la mia “vecchia me”, è la cosa più fastidiosa che possa provare.

Non riesco nemmeno a parlare con i dottori senza sentirmi come se stessi mentendo. Devo portare con me una lista, altrimenti non ricordo nemmeno perché sono lì, e nemmeno le mie stesse parole.

Ormai, faccio liste per tutto, non solo per la spesa e per i medici ma anche per quello che devo fare durante il giorno. Faccio così. Sulla scrivania nel soggiorno ho dei foglietti ritagliati a questo scopo, ogni volta che ricordo quella cosa che volevo fare ma che poi ho dimenticato, la scrivo immediatamente, come si dice: “A mali estremi, rimedi estremi” o se preferite “extremis malis, extrema remedia“.

I medici?

Quelli poi, non ascoltano nemmeno, trattano i pazienti con malattie croniche come se fossero pazzi, bugiardi e lì per avere la droga. È così ridicolo. È divertente, in un certo senso. A volte mi guardano come per dire, “Bene, cosa ti aspetti che faccia per te?” Che vuoi che ti dica caro dottore, non ti posso aiutare come, del resto, non puoi fare tu, almeno fai una faccia di quello che capisce e comprende, non quella a cxxxx di cane.

Cosa ti aspetti che faccia per te?” Non guardarci e dirci che la fibromialgia non è reale dopo anni di lotta e di essere a malapena in grado di muoversi, mangiare, respirare e vivere. Non dirci di fare esercizio quando abbiamo provato a farlo! Non raccontateci “chiacchiere”, diteci semplicemente la verità. Vogliamo sentirci dire che è difficile vivere con una malattia cronica figurarsi con più di una e che tu, medico, ti adopererai in tutti i modi per alleviare il nostro dolore avendo cura di non danneggiare il resto, che non sponsorizzerai associazioni e strutture per farci fare quella ginnastica “miracolosa” che fa bene, hai giurato ricordi? Ricordati della dignità del malato, ricordati del rispetto della sua vita, della diligenza nell’esercizio della professione, dei doveri inseriti nel Codice che ogni medico è tenuto a rispettare.

Non posso affrontare il mio passato, i ricordi della mia vita, di quando ero sana. Ho dovuto affrontare un processo di lutto completo con tutta questa faccenda e mi sono davvero stancata di dover spiegare a tutti cosa c’è “che non va in me“.

Oggi la mia vita è cambiata. Mi sono dedicata all’auto aiuto, facilito due gruppi di auto aiuto sulla fibromialgia, leggo, scrivo, continuo a lavorare. Sono mamma e moglie. Quando posso, esco. Non sono sola però, nella maggior parte delle volte sono in compagnia delle donne che fanno parte dei gruppi che facilito, amiche che comprendono bene le mie difficoltà. Scrivo sul mio blog e poi condivido sui vari Social Network. Devo concentrarmi su quello che sto facendo oggi e non pensare al domani, vivere giorno dopo giorno, cercando di non farmi soccombere dai tanti pensieri negativi.

Ieri mi sono sentita orgogliosa di me. Sapete perchè? In una settimana, sono riusciuta a pulire da sola, contro il volere di mio marito, sempre preoccupato per me, 6 finestre della mia casa. Erano settimane che le guardavo così sporche ed ero desiderosa di volerle pulire ma, ogni volta che ci pensavo, ero già stanca. Un giorno, inizio e finisco dopo una settimana. Sono 6 finestre da 60×130. Oggi sono pulite e sono riusciuta a farcela da sola. La mia vita oggi è così. Faccio quello che mi sento di fare, quando il mio corpo mi fa capire che posso. All’inizio era pesante sopportare tutto questo, una volta che capisci che non puoi fare quello che facevi prima, ti senti meglio e persino orgogliosa di essere riusciuta a portare a termine quel lavoro. Vi confesso però che, nonostante il lungo tempo per realizzare questa cosa, mi sono riempieta di cerotti medicati, ho comprato quelli colorati, così è stato anche divertente coprirsi di cerotti colorati.

Per finire. Penso seriamente che chi vive con malattie croniche e degenerative deve trovare un supporto. Il “proprio supporto”; il supporto è soggettivo e può essere diverso dagli altri. Bisogna sforzarsi di trovare quello che fa bene a te in quel momento. Non seguire l’esempio di altri, ascoltati e cerca di capire cosa è giusto per te. Sento che questo è molto importante perché per alcune persone con malattie croniche, la mancanza di supporto e comprensione porta al suicidio. La nostra malattia è invisibile solo se lasciamo che sia. Educare, sperare e non smettere mai di pensare che un giorno una cura ci sarà.!

Rosaria Mastronardo