Stanca di sentirmi dire: “Tu puoi farcela, e CE LA FARAI”

nun cia facc chiu

Mi soffermo a meditare spesso in questo periodo, a mollare tutto (visite, esami, controlli, post, lettere, denunce) perché troppo stanca, troppo esausta, sfinita e avvilita.

STANCA. Dal sistema sociale e sanitario ingarbugliato burocraticamente, complicato per noi malati cronici, medici ignoranti che continuano a far finta che non è reale quello che provi. Ignorata, offesa e oltraggiata, dal SSN e dalle associazioni, non tutte.

STANCA. Di RIPETERE LE STESSE COSE.

STANCA. Di farvi capire che non sono come voi “SANI”.

Ogni volta che discuto dei miei limiti fisici con gli altri, mi viene spesso ripetuta la stessa frase: “Tu puoi farcela, e CE LA FARAI”. Questa frase mi fa pensare tanto e mi sono chiesta cosa significa veramente per una persona sana, per una persona che non sa cosa siano le malattie croniche e soprattutto, cos’è il dolore cronico.

Sono una donna di 61 anni (tra poco) con diverse malattie croniche; in alcuni giorni, mi rendo conto che posso “tirare” di più i miei limiti, forse per un giorno, al secondo giorno, non ci arrivo. Può capitare di essere costretta a sforzarmi un po’ di più per qualche occasione speciale o per portare a termine un’attività necessaria. Ma quello sforzo “extra” di solito porta ad un disastroso “crash“. Dopo questo occasionale sforzo, io sono finita, mi sento come morta, senza vita; ripeto, sono occasionali gli sforzi, però dopo, io non sono nessuno, non esisto più.

È come guidare una macchina. In quell’auto, potete andare dove volete fino a quando il serbatoio ve lo permette. Quando nell’auto, non c’è più carburante, il viaggio è finito, non si va da nessuna parte. Di solito, se sto realmente in un auto e sto viaggiando, per evitare di fermarmi e non arrivare alla fine del mio viaggio, mi fermo per fare rifornimento giusto per sicurezza; e anche una volta che la mia auto mi segnala che sono in “rosso”, di solito rimane una certa quantità di benzina ancora per un po. Posso rischiare e continuare a guidare, ma alla fine la mia auto si fermerà completamente. Quando non c’è più carburante, la tua auto non va da nessuna parte, non importa quanti viaggi tu voglia fare, non importa quante cose stai immaginando di affrontare, l’auto si ferma, punto. Le persone con malattie croniche, soprattutto con dolore cronico, tendono a vivere la loro vita nello spazio tra il “quasi vuoto” e il “completamente senza carburante”. Alcune persone imparano i propri limiti abbastanza bene da fermarsi prima che si esauriscano completamente; altri cercano di “spingere” fino a quando si saranno completamente “esauriti”.

In quei giorni, in cui ho tirato troppo la corda, ho vissuto momenti bruttissimi, ho iniziato a piangere, l’idea di provare ad alzarmi dal letto la mattina per andare in bagno era travolgente. Ho avuto momenti in cui ero così stanca che fissavo il cibo nel piatto rendendomi conto che avevo ancora fame, ma riuscivo a malapena a sollevare la forchetta per continuare a mangiare. Ci sono giorni in cui non riesco nemmeno a sdraiarmi sul letto perché non ho l’energia per stare in piedi e crollo letteralmente. Mi sento come un blocco di ghiaccio che si scioglie sul marciapiede in una giornata calda. Non c’è volontà che tenga, non c’è sforzo che possa impedirmi di sciogliermi lentamente nel mio letto. Ho una terribile confusione in testa che rende difficile pensare anche alle più piccole cose. Perdo il filo dei miei pensieri a metà frase, o dimentico le parole e non ho l’energia per parlare. Mi è difficile leggere e concentrarmi sul testo, non ho l’energia mentale per elaborare le parole, e finisco per rileggere all’infinito lo stesso verso, le stesse frasi senza capirne il significato.

Questo “crash” può durare giorni o settimane, ma non so mai quanto durerà. Decidere di fare uno sforzo extra per me è un rischio costante, è come guidare una macchina senza freni. Dove andrò a sbattermi questa volta?.

Mi sono resa conto, che per i miei amici sani, tutti quelli che non sono in queste condizioni di cronicità, e ti ripetono: “Tu puoi farcela, e CE LA FARAI”, non capiranno mai le mie difficoltà, perché questi, anche se si sforzano e “tirano” al limite delle loro possibilità, staranno forse male ma, mai quanto me. Se continuano ad allenarsi anche quando tutti i loro muscoli faranno male e sono stanchi, alla fine arriveranno al punto che si sono prefissati e dopo, avranno anche più energia e allenarsi richiederà meno sforzo. Mi sono resa conto che non capiscono e non lo capiranno mai perché per loro c’è un un obiettivo finale che possono e raggiungeranno se si impegneranno molto.

Possono farcela perché ci sarà un punto in cui non dovranno più sforzarsi così tanto.

Ecco perché ho realizzato, ad un certo punto che, chi non vive una condizione di multi – cronicità, chi non vive con il dolore cronico, non può capire come ci si sente se “spingiamo” oltre

Questi più spingono , più ottengono risultati positivi, noi malati cronici più spingiamo, più siamo finiti.

Io, l’ho capito, perché loro non lo capisco? Quindi, per favore, ricordarti che io non non sono pigra o riluttante a fare uno sforzo per migliorare le mie condizioni, per forse stare meglio, io sono una realista. Potrei essere in grado di continuare a “spingermi” per un po’, ma alla fine crollerò.

Cosa dire a quella parte della classe medica che ti tratta con superficialità, con indifferenza e menefreghismo.? Cari dottori, se non avete empatia, se non avete cervello e cuore, cambiate lavoro, di terra da zappare in questo paese e non solo in questo, ce n’è molta.

Rosaria Mastronardo che, per scrivere questo testo, per la stanchezza, ho impiegato 3 ore, una volta mi bastavano 5 minuti.

Siamo alle solite buffonate!!!!

Nella giornata mondiale della fibromialgia che, ricordo a tutti, è il 12 maggio, quest'anno a qualcuno è venuto in mente di "FISSARE" su una panchina colorata rigorosamente di viola, questa targa. 

Ho volutamente oscurato nella foto, alcune zone, la città, l'associazione e tutto quanto potesse far risalire a qualcuno per evitare denunce e/o attacchi di qualsiasi genere, già subiti dalla sottoscritta da parte di associazioni e/o adepti. 

Come malata fibromialgica però voglio esprimere tutto il mio sdegno per lo slogan utilizzato:

 "Il Nostro Dolore Merita Riposo". 


Carissimi, mi rivolgo a chi ha avuto l'idea di questo schifo, ricordo che noi malati di fibromialgia, non abbiamo bisogno di riposo, noi abbiamo bisogno di: 


RISPETTO Di DIRITTI NEGATI DA 30 ANNI;
ABBIAMO BISOGNO DI UNA RICERCA SCIENTIFICA SERIA; 
ABBIAMO BISOGNO DI ESSERE CREDUTI;
ABBIAMO BISOGNO DI UNA CURA;
ABBIAMO BISOGNO DI MEDICI CHE VENGANO FORMATI SULLA MALATTIA CHE MOLTO SPESSO IGNORANO O FANNO FINTA CHE NON ESISTA.  

Carissimi, no. A noi non serve il riposo ma, ben altro. 

Grazie
Rosaria Mastronardo

Le “amiche” invisibili.

Hai la fibromialgia ma, non solo quella.”

Le parole che hanno cambiato completamente la mia vita.

Vuoi dire che non è una malattia terminale? Oh bene, perché fino a quel momento pensavo davvero di morire! Aspetta cosa? Ma è solo una malattia? Si, è cronica, significa per tutta la vita. Così un giorno mi sono ammalata e mi ci è voluto molto tempo per accettare il fatto che non sarei mai guarita. Mai. Quindi, non è terminale, ma la mia vita come la conoscevo una volta era finita, non ero più la stessa.

Con la fibromialgia, soprattutto all’inizio, non mi sentivo viva, vedevo svanire il mio futuro, i miei sogni, si era preso tutto, tutto il mio respiro. Quella “bestia” non è venuta da sola. NO! È come un soldato in guerra, arriva con le truppe. Una dietro l’altra, nel corso di circa otto anni, una “schiera di soldati”: Artrite Psoriasica, Psoriasi, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteocondrite di 4° livello alle caviglie, Spasmofilia, Artrosi mani e piedi e non è questo l’ordine. Alcune di queste malattie prevedono qualche piccola esenzione, le prime due, per tutte le altre, compresa la Fibromialgia, NON C’È’ NULLA, si paga tutto ed inoltre, non essendo neppure “considerate” dal SSN devi continuare a lavorare senza “sconti”, riduzione dell’orario, riposo anticipato, etc, etc.

Se pensate che queste condizioni siano le peggiori, vi sbagliate, non lo sono. È un’orribile condizione di dolore cronico che colpisce i miei muscoli, i nervi, articolazioni e persino i tendini. Emicrania, sciatica, sensibilità al caldo e al freddo e intorpidimento. La lista potrebbe continuare all’infinito. Non mi sentivo normale da anni, non posso essere neppure toccata. Anche il graffio più leggero fa male ed è fastidioso. Indosso sempre abiti, pantaloni prevalentemente, larghi, perché arrivano giorni che anche i vestiti che indosso fanno male, bruciano la pelle. La depressione e l’ansia sono le “cuginette” di chi vive questa vita con questa “bestia” e le sue “truppe”. E mentre penso che sia un dato di fatto sviluppare ansia e depressione con tutte queste malattie croniche, qualche medico, afferma che sono queste che scaturiscono le altre. Mentirei a me stessa se dicessi che non ce l’ho perché provate entrambe.

Alla malattia cronica nella mia vita, non ci pensavo, credo che nessuno si aspetta mai di ammalarsi e scoprire che non migliorerà mai. La parte più difficile per me è stata quella di realizzare di non essere in grado di prendermi cura di me stessa, della mia vita, di perdere il controllo di tutto. Non mi riconoscevo nemmeno più: chi era quella persona nello specchio?

Forse ho tralasciato qualcosa. Di sicuro, perché quando si è particolarmente stanchi, quando quella stanchezza cronica prende il sopravvento sento un po’ della famosa “nebbia fibrosa” o “fibro-fog”. Sono sincera, nel mio caso, non è stata molto presente ma, ultimamente, l’avverto di più e per come sono, per come ero, è bene dire, per la mia “vecchia me”, è la cosa più fastidiosa che possa provare.

Non riesco nemmeno a parlare con i dottori senza sentirmi come se stessi mentendo. Devo portare con me una lista, altrimenti non ricordo nemmeno perché sono lì, e nemmeno le mie stesse parole.

Ormai, faccio liste per tutto, non solo per la spesa e per i medici ma anche per quello che devo fare durante il giorno. Faccio così. Sulla scrivania nel soggiorno ho dei foglietti ritagliati a questo scopo, ogni volta che ricordo quella cosa che volevo fare ma che poi ho dimenticato, la scrivo immediatamente, come si dice: “A mali estremi, rimedi estremi” o se preferite “extremis malis, extrema remedia“.

I medici?

Quelli poi, non ascoltano nemmeno, trattano i pazienti con malattie croniche come se fossero pazzi, bugiardi e lì per avere la droga. È così ridicolo. È divertente, in un certo senso. A volte mi guardano come per dire, “Bene, cosa ti aspetti che faccia per te?” Che vuoi che ti dica caro dottore, non ti posso aiutare come, del resto, non puoi fare tu, almeno fai una faccia di quello che capisce e comprende, non quella a cxxxx di cane.

Cosa ti aspetti che faccia per te?” Non guardarci e dirci che la fibromialgia non è reale dopo anni di lotta e di essere a malapena in grado di muoversi, mangiare, respirare e vivere. Non dirci di fare esercizio quando abbiamo provato a farlo! Non raccontateci “chiacchiere”, diteci semplicemente la verità. Vogliamo sentirci dire che è difficile vivere con una malattia cronica figurarsi con più di una e che tu, medico, ti adopererai in tutti i modi per alleviare il nostro dolore avendo cura di non danneggiare il resto, che non sponsorizzerai associazioni e strutture per farci fare quella ginnastica “miracolosa” che fa bene, hai giurato ricordi? Ricordati della dignità del malato, ricordati del rispetto della sua vita, della diligenza nell’esercizio della professione, dei doveri inseriti nel Codice che ogni medico è tenuto a rispettare.

Non posso affrontare il mio passato, i ricordi della mia vita, di quando ero sana. Ho dovuto affrontare un processo di lutto completo con tutta questa faccenda e mi sono davvero stancata di dover spiegare a tutti cosa c’è “che non va in me“.

Oggi la mia vita è cambiata. Mi sono dedicata all’auto aiuto, facilito due gruppi di auto aiuto sulla fibromialgia, leggo, scrivo, continuo a lavorare. Sono mamma e moglie. Quando posso, esco. Non sono sola però, nella maggior parte delle volte sono in compagnia delle donne che fanno parte dei gruppi che facilito, amiche che comprendono bene le mie difficoltà. Scrivo sul mio blog e poi condivido sui vari Social Network. Devo concentrarmi su quello che sto facendo oggi e non pensare al domani, vivere giorno dopo giorno, cercando di non farmi soccombere dai tanti pensieri negativi.

Ieri mi sono sentita orgogliosa di me. Sapete perchè? In una settimana, sono riusciuta a pulire da sola, contro il volere di mio marito, sempre preoccupato per me, 6 finestre della mia casa. Erano settimane che le guardavo così sporche ed ero desiderosa di volerle pulire ma, ogni volta che ci pensavo, ero già stanca. Un giorno, inizio e finisco dopo una settimana. Sono 6 finestre da 60×130. Oggi sono pulite e sono riusciuta a farcela da sola. La mia vita oggi è così. Faccio quello che mi sento di fare, quando il mio corpo mi fa capire che posso. All’inizio era pesante sopportare tutto questo, una volta che capisci che non puoi fare quello che facevi prima, ti senti meglio e persino orgogliosa di essere riusciuta a portare a termine quel lavoro. Vi confesso però che, nonostante il lungo tempo per realizzare questa cosa, mi sono riempieta di cerotti medicati, ho comprato quelli colorati, così è stato anche divertente coprirsi di cerotti colorati.

Per finire. Penso seriamente che chi vive con malattie croniche e degenerative deve trovare un supporto. Il “proprio supporto”; il supporto è soggettivo e può essere diverso dagli altri. Bisogna sforzarsi di trovare quello che fa bene a te in quel momento. Non seguire l’esempio di altri, ascoltati e cerca di capire cosa è giusto per te. Sento che questo è molto importante perché per alcune persone con malattie croniche, la mancanza di supporto e comprensione porta al suicidio. La nostra malattia è invisibile solo se lasciamo che sia. Educare, sperare e non smettere mai di pensare che un giorno una cura ci sarà.!

Rosaria Mastronardo

L’araba fenice

Questa è la mia storia, una parte della mia vita vissuta con una malattia cronica ed invalidante. L’ho scritta in pieno periodo del lockdown. Oggi, nel 2023, non siamo più chiusi in casa e il virus SARS-CoV-1 è diventato una semplice influenza, così dicono gli scienziati.

Ricordo che era il 31 dicembre 2019 e la Cina comunicava la diffusione di un “cluster” di polmoniti atipiche di origine virale. Da quella data, panico nel mondo. C’è chi minimizzava e chi enfatizzava. Alcuni Stati, come l’Italia, senza un Piano di Emergenza per una Pandemia, ci chiudono in casa ed io per non annoiarmi, oltre a lavorare da casa, mi mettevo a scrivere. Pensai che sarebbe stato interessante scrivere un libro sulla vita di chi vive con una malattia cronica, attraverso le testimonianze delle dirette interessate, cioè di chi, tutti i giorni, con i figli, con un lavoro o senza, vive, si fa per dire, con una malattia cronica ed invalidante, non riconosciuta dall’Italia ma definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come una malattia reumatica inclusa, nello stesso anno, 1992, nella decima revisione dello International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems con questo codice: ICD-10, codice M79-7, entrata in vigore poi il 1° gennaio 1993. Mi hanno sempre fatto credere che io avessi la fibromialgia per poi scoprire, in seguito, per puro caso, di non avere solo quella ma, altro, molto altro di più. Di quello che scoprirò dopo la fibromialgia, ho intenzione di raccontarlo in seguito, si comincia da qui, dalla Fibromialgia.

La mattina è sempre più difficile alzarsi: è durissima, ma devo lavorare. Non posso ancora andare in pensione: sono ancora troppo giovane secondo i regolamenti.

Compirò 61 a luglio del 2023, ma anche se lavoro da tanto tempo non ho i contributi sufficienti che mi permetterebbero finalmente di godermi un po’ di riposo.

Ho sempre contratto problematiche di salute da piccola. All’età di tre anni, sono stata operata alle tonsille perché non respiravo bene: mi hanno levato anche le adenoidi. Tra i dodici e i quindici anni ho accusato i primi mal di testa. Mio padre, comprensivo, mi portò da numerosi medici.

Per alcuni di loro, le mie condizioni erano dovute allo sviluppo del menarca precoce, sviluppato a dieci anni. Più tardi ho avuto problemi di vista, ed ho messo gli occhiali: certamente il tutto non soddisfaceva la mia famiglia che si adoperava a farmi fare più consulti per vedermi stare meglio ma poi altri problemi si ripresentavano. All’età di diciotto anni, mi rimossero dei polipi all’interno del naso perché avevo sempre dei forti raffreddori che duravano mesi. Forse poca cosa rispetto a problemi più gravi ma, in ogni modo, si andava avanti si sopportava una cosa dopo l’altra. Ero giovane e, vuoi l’età, vuoi qualche soluzione provvisoria, la mia vita scorreva così.

Nel 1985 mi sono sposata e sono andata a vivere in un’altra città. Sono nata a Napoli, sono una donna del sud e con mio marito mi sono trasferita in Toscana. Per quindici anni ho vissuto in provincia di Arezzo ma poi ci siamo trasferiti a Firenze: vivo in questa Regione ormai da quasi quaranta anni. Nel 1992 nasce il mio unico figlio, Davide, con parto cesareo.

Dal 1985 fino ai primi anni del ‘90 ho avuto problemi alla schiena. Discopatie, ernie che mi hanno portato forti dolori che risolvevo, quando mi era possibile (economicamente parlando) sia con esercizi inerenti alla ginnastica posturale sia con massaggi: quando i dolori erano insopportabili ricorrevo ad antidolorifici con prescrizione medica.

Inoltre come se non bastasse emersero problematiche di cefalee, che si presentavano e continuano a presentarsi frequentemente, spesso anche costringendomi a far riferimento al centro specializzato di un noto ospedale della città. Dopo la maternità, questa problematica è incrementata e non è mai andata via del tutto.

Iniziano poi i problemi allo stomaco. Gastriti, ulcere, mucosa di Barrett , problemi che mi costringono ancora oggi a gastroscopie da fare una volta all’anno o quando il gastroenterologo lo consiglia.

Non basta: analisi e rettoscopia mi diagnosticano il colon irritabile da stress.

Nell’anno 2016 subisco un intervento al braccio sinistro per compressione del nervo ulnare, fui costretta perché non avevo più l’uso del braccio.

Precedentemente ho avuto problemi anche alle spalle, soprattutto quella destra, ed oggi anche quella sinistra: per l’assottigliamento di un nervo, il reumatologo da me consultato voleva intervenire chirurgicamente.

Dopo essermi informata tramite colleghe col medesimo problema e constatato che, nonostante l’operazione, nessuna di loro aveva riscontrato miglioramenti, decisi di desistere. Ancora oggi ho fortissimi dolori.

Nel 2015 il mio primo contatto con la fibromialgia.

Iniziai a non sentirmi bene: ero particolarmente stanca e pensavo fosse influenza, oppure la stanchezza della mie frenetica routine.

Mi facevano male le gambe e facevo fatica a camminare: dolori ovunque.

Pensai ad un virus influenzale e presi il paracetamolo. Andai avanti così per qualche tempo ma i dolori aumentarono a tal punto che mi accorsi di non avere più sensibilità dal bacino in giù.

Purtroppo ricordo bene quel periodo, perché fu l’anno della tesi di mio figlio. Strano vero? Tuo figlio, sempre andato bene a scuola, borse di studio, premi, soddisfazioni enormi: arriva il giorno della laurea e tu sei più felice del solito, sei si stanca ma felice perché vedi realizzare un sogno, uno dei bei sogni del tuo ragazzo e di tutta la famiglia. Era il 1 dicembre del 2015: non posso dimenticare quello che è avvenuto dopo.

Mi portano così al pronto soccorso. Quel giorno lo ricordo bene. Avevo paura, tanta paura. Mi sottopongono a numerosi esami ma fortunatamente sono tutti buoni; gli stessi medici che mi visitano non sanno spiegarsi quei sintomi. Alla fine, il medico di turno mi disse che mi avrebbe fatto visitare da un neurologo e fece lui stesso le carte per affidarmi a questo specialista.

Fui fortunata: mi affidarono al primario di neurologia di quella struttura. Intanto la mia paura aumentò insieme ai miei dolori: quella sensazione di non avere sensibilità, quelle scosse che avvertivo quando mi toccavo le gambe erano sempre li : sentivo le gambe pesantissime come se fossero di cemento.

Passano 9 mesi tra esami di tutti i tipi, risonanze al cervello, radiografie, ecografie, esami ematici di tutto e di più. Nel frattempo perdo i capelli. Stress, confermato anche da un dermatologo al quale mi rivolgo.

9 mesi durante i quali mi imbottiscono di farmaci per alleviare i dolori, i quali si attenuano ma non di tanto, quel poco da permettermi di non stare ferma immobile nel letto.

Farmaci che mi portarono anche ad un notevole aumento di peso che non aiutava; mi si continuava a dire che non sapevano cosa darmi e che, soprattutto, non sapevano cosa io avessi.

Alla fine, quando tutti gli esami furono finiti e non vi era nulla che giustificasse quella condizione, il neurologo pronunciò la diagnosi: fibromialgia.

Ricordo ancora oggi la mia perplessità: chiesi subito al medico cosa fosse, che cos’era questa malattia, perché non ne avevo mai sentito il termine.

Non è una malattia, è una sindrome.” Sì, perché la fibromialgia non è riconosciuta come malattia.

La fibromialgia non è riconosciuta come malattia: per molti medici, sia per la scarsa formazione sulla malattia, sia per incredulità e sfiducia nei confronti di molti/e di noi, la fibromialgia non esiste per alcuni medici. Spesso si crede che sia un’invenzione, o comunque un surrogato utilizzato come capro espiatorio per altre problematiche.

Non ci sono farmaci che la curano e si sa poco o nulla; c’è, diciamo, una sorta di confusione scientifica, discordanze tra branche specialistiche della medicina.

La mia seconda domanda, lo ricordo come se fosse oggi, fu se questa sindrome fosse ereditaria: avendo un figlio mi preoccupai subito per lui, pensai che se fosse stata ereditaria io mi sarei sentita responsabile anche di aver trasmesso una malattia a mio figlio.

Il medico mi tranquillizzò. Ad oggi alcuni studi affermano che la sindrome è ereditaria ma su linea femminile. Tirai un sospiro di sollievo. La ricerca, la poca ricerca che è stata fatta su questa sindrome, ha rilevato nel mondo pochi casi di fibromialgia in soggetti maschi. Oggi che c’è più consapevolezza sulla sindrome, se ne parla e se ne discute di più e questa tesi è smentita da tantissimi esperti reumatologi, algologi e neurologi che se ne occupano: non solo sono colpiti in misura minori anche i maschi ma si è a conoscenza anche di casi di fibromialgia su bambini e adolescenti ma si continua a non conoscerne la causa.

Iniziò così la cura a base di farmaci che servirono solo ad alleviare i dolori. Sono farmaci che curano l’epilessia e la depressione. Questi farmaci agiscono sul sistema nervoso e alleviano i dolori. Altre cure non ce sono, esistono solo espedienti e rimedi farmacologici per alleviare i dolori.

Mi prepararono un piano terapeutico che ogni tre mesi dovevo rinnovare composto da Cymbalta 60 mg, (contiene la duloxetina, un principio attivo che serve per il trattamento delle depressioni maggiori, dei disturbi d’ansia e dei dolori causati da neuropatie periferiche) e da Lyrica 75 mg (Pregabalin è un antiepilettico-anticonvulsivante che trova indicazione specifica nel trattamento del dolore neuropatico centrale e periferico).

Tutto questo a vita, se volevo stare bene e condurre una vita normale.

Mi fu consigliato anche di condurre una vita normale senza stress e senza preoccupazioni.

Utopistico e irrealizzabile, ma furono queste le uniche raccomandazioni del neurologo al quale fui affidata quel 1 dicembre del 2015.

Sembrerà strano ma alla fine di questo calvario mi ero un po tranquillizzata, poiché sapevo cosa mi aveva colpito: nonostante fosse una sindrome sconosciuta e senza cura, sapevo. La mia mente non era più invasa da pensieri cattivi, non sarei morta, non era un male di quelli che fanno paura anche a parlarne: il cancro. No, nulla di tutto questo.

La fibromialgia, detta anche sindrome fibromialgica o sindrome di Atlante, è una sindrome reumatica idiopatica e multifattoriale che causa l’aumento della tensione muscolare, specie durante l’utilizzo degli stessi, ed è caratterizzata da dolore muscolare e ai tessuti fibrosi (tendini e legamenti) di tipo cronico – diffuso, fluttuante e migrante – associato a rigidità, astenia (calo di forza con affaticabilità), insonnia o disturbi del sonno, alterazioni della sensibilità (come eccessiva percezione degli stimoli) e calo dei livelli di serotonina, con possibili disturbi d’ansia e depressivi in parte dei pazienti. E’ conosciuta anche come la malattia dei 200 sintomi.

Ecco cosa mi aveva colpito. Sono una donna molto curiosa, mi piace leggere, mi piace documentarmi, mi piace studiare e comincio le mie ricerche su questa sindrome.

Mi imbatto in diverse associazioni o presunte tali. Li contatto, scrivo lettere per documentarmi, per avere delle risposte, informazioni più dettagliate, più “fresche”.

Vorrei fare una premessa, mi sento in dovere di farla. Non conoscevo il mondo delle associazioni dei malati ma, già dal mio primo contatto che prendo con il presidente di una di queste, capisco che sarà dura interagire con esse.

Noi malati di fibromialgia proviamo in tanti modi a farci sentire ma essendo una malattia di cui ancora la scienza non ha scoperto la causa non c’è attualmente nessun esame diagnostico che ne dimostra la presenza nell’individuo: siamo poco ascoltati, non considerati e in molti casi non creduti. In più i medici tendono a pensare che sia una malattia da depressione, il che può essere anche vero visto che con dolori continui tutto il giorno in depressione è possibile caderci davvero. E’ ovvio che c’è qualcosa di più. Ma cosa sia attualmente ancora non si sa.

La prima di queste associazioni nella veste del presidente mi chiama anche sul cellulare. Quando scrivo a qualcuno, lascio sempre tutti i miei recapiti, desidero essere “visibile” e rintracciabile. Dice che capisce tutto, comprende perché in casa sua lui vive la stessa condizione con la moglie, insomma un sacco di parole ma non è che mi soddisfi più di tanto. Comincio a documentarmi da sola con Internet. L’inferno, la confusione più totale, trovo di tutto, santoni o presunti tali che affermano di guarirla, che promettono miracoli con prodotti naturali, insomma il caos assoluto.

Nel frattempo i farmaci che assumo incominciano a darmi noia allo stomaco. Mi rivolgo al medico e questi ne aggiunge un altro. Un “salva stomaco”, si chiamano comunemente così, servono a questo, proteggono la mucosa dello stomaco per non fartelo “bucare” ma per il mio corpo, è un farmaco aggiunto.

Tra le mie ricerche nel mondo della rete, mi imbatto in un sito dove si parla di cannabis terapeutica.

La cannabis terapeutica, definita anche “l’oro verde”, viene utilizzata in tante patologie.

Si va dall’emicrania alla sclerosi multipla, passando per glaucoma, Parkinson, Alzheimer, dolori cronici e neuropatici, anoressia, cachessia, diverse forme di epilessia e molte altre patologie.

Insomma, era interessante e mi sono detta perché non provarla? Mi informo sulle strutture dove viene prescritta e trovo quella più vicina a me.

Incontro un medico il quale, dopo avergli raccontato tutto il mio calvario, mi propone la cannabis terapeutica. In quella struttura c’era e vi è ancora un protocollo da seguire.

Mi attengo al protocollo. Inizio l’assunzione della cannabis terapeutica, prima in decotto dal sapore discutibile e poi successivamente, sempre attenendomi al protocollo, inizio con l’olio di cannabis.

Betrocan in olio, da assumere una volta al giorno, la sera, per 15 gocce al giorno THC 19%. Via via sospendo interamente tutti i farmaci.

Devo ammettere che per i primi mesi cominciai a star molto meglio. Non sentivo più la stanchezza, mi sentivo più in forma, avevo sempre i miei dolori ma in modo molto più attenuati. Faccio tanto, mi dedico all’attività di volontariato per la mia sindrome, raccolgo firme, invio email a tutte le testate giornalistiche, mi occupo come sindacalista delle problematiche sul lavoro per tutti quelli che sono nella mia stessa condizione, dormo bene e meglio: insomma, la vita scorre, va avanti. I farmaci ormai sembrano un lontano ricordo ma non vengono sospesi del tutto.

Ecco però che incominciano i primi problemi.

Iniziano i primi mal di testa. Come accennavo prima, ho sempre sofferto di cefalee, ma questi dolori alla testa erano diversi. Io la cefalea la conoscevo bene, questi dolori non erano simili a quelli che ricordavo aver avuto.

Avevo la sensazione di avere dei chiodi piantati, una volta in fronte e altre volte alle tempie ed erano dolorosissimi.

La frequenza inizialmente era di una o due volte al mese, poi diventarono sempre più numerosi fino ad arrivare tutti i santi giorni.

Per non parlare poi dei cambi di umore, della rabbia per futili motivi, della pressione alta, delle palpitazioni, della sincope che mi colpì, dell’aumento della pressione oculare, insomma una serie di sintomi che via via accusavo e che non avevo mai avuto prima, una problematica alla volta, si presentano una alla volta e me li dovevo tenere e curare naturalmente.

Soldi spesi tra visite specialistiche e nuovi farmaci da assumere.

Sono ancora in contatto con il medico che mi aveva prescritto e continuava a prescrivermi la cannabis confermando il piano terapeutico anche se al corrente di tutti questi numerosi effetti collaterali.

Continuo ad attenermi alle regole, seguo tutte le indicazioni: alla fine, dopo l’ennesimo mal di testa della giornata, non resisto più e rinuncio alla cannabis, perché gli effetti collaterali da me elencati, sono tutti da imputare alla cannabis terapeutica secondo a quanto dicevano i medici ai quali mi rivolgevo per i miei problemi di salute. Quindi inizio la sospensione della cannabis: alla fine cede, dietro mia insistenza, anche il medico che mi aveva suggerito di assumerla, non senza polemiche.

Ormai ero distrutta.

Ritorno mio malgrado ai farmaci con gradualità e dietro naturalmente prescrizione medica. Non stavo benissimo, avvertivo rigidità alle gambe, pesantezza, difficoltà nella deambulazione, mi sembrava di essere tornata allo stato iniziale della malattia.

A marzo del 2018 cambio medico e struttura ospedaliera. Da lì a poco avrei dovuto rifare tutti gli esami: già tre giorni fissati in una nuova struttura ospedaliera per degli day service dove sarei stata sottoposta nuovamente a tutti gli esami. Qualcuno potrebbe chiedersi il perché mi sia sottoposta a tutti gli esami sapendo di avere questa sindrome.

Questa è seriamente è una delle cose più tristi di questo mio calvario.

Quando mi sono recata in questa nuova struttura ospedaliera per il mio caso e faccio presente che sono anni che convivo con questa condizione , il medico che mi è stato affidato dal S.S.N., dopo avergli fatto vedere tutte la lunga documentazione riconducibile alla mia sindrome e dopo avergli detto che stavo malissimo, che avevo dolori ovunque nonostante i farmaci che assumevo elencati sopra, disse che lui non metteva in discussione le certificazioni dei professionisti che mi avevano visto in tre anni prima di lui, ma suggerì di ricominciare dall’inizio.

Le sue parole furono queste:

Vede signora, non metto in dubbio tutto quelle che lei mi riferisce circa la sua condizione di salute ma di solito i medici quando i pazienti dopo i vari esami ai quali li sottopongono, non riscontrano nulla, affermano che è fibromialgia. Se permette, vorrei ricominciare dall’inizio per essere certo che lei, seriamente non abbia nulla oppure potremmo scoprire qualcosa che è sfuggito ai miei colleghi che mi hanno preceduto o ancora, ultima ipotesi il suo problema è di ben altra natura”.

Non voglio e non ho voluto sapere a quale natura stesse pensando quel medico, non voglio, mi rifiuto di pensare, mi rifiuto.

Quando sono uscita da quella struttura, mi sono venute in mente le parole del primo medico al quale mi affidarono, ricordo che era il primario di neurologia dell’ospedale dove fui portata la prima volta.

Signora, non si preoccupi, non si allarmi, lei deve solo condurre una vita normale, il più normale possibile ma soprattutto, mi raccomando, conduca una vita quanto più serena possibile, senza troppi stress e senza troppe ansie”.

Dopo i tre giorni di day service in questa struttura, dai numerosi esami alla quale fui sottoposta è risultato che, oltre ad essere affetta dalla sindrome fibromialgica, sono affetta da spasmofiliaca concomitante e ipovitaminosi D (carenza di vitamina D).

Ebbene, oggi alla luce di tutto quanto mi è accaduto mi sta accadendo e non so ancora quanto finirà questa storia, io vi chiedo: può una donna che ha passato gli ultimi anni in queste condizioni, rimanere tranquilla e serena? Voi lo sareste?

Lascio la risposta a chi leggerà questa mia storia, nel frattempo io vado avanti, cerco di fare tutto quello che la mia poca forza mi permette di fare ma credetemi, rimanere serena in questo modo, è la cosa più difficile che io possa fare. Io non ci riesco, ma mi sforzo tantissimo!

Però, come dice sempre una mia carissima amica, io riesco sempre in tutto, sono forte, lei mi dice che sono come la “fenice”.

L’ araba fenice è un essere mitologico. Un uccello che vive 1000 anni, poi emigra in Africa in Etiopia dove prende fuoco e brucia. Quando il fuoco si spegne restano solo le ceneri che al sorgere del sole fanno nascere una nuova fenice. Essere una fenice significa non abbattersi, significa rialzarsi quando ti danno già per spacciato.

Non voglio deludere la mia amica, in fondo credo che abbia ragione. Sono come l’araba fenice. Mi sono sempre rimboccata le maniche, mi sono sempre rialzata e ho sempre combattuto per le ingiustizie, per i più deboli, ho fatto tanto e voglio continuare a combattere anche nelle mie condizioni di salute non del tutto buone.

Oggi, purtroppo il mio stato di salute è peggiorato. Sono sopraggiunti altri sintomi ed è ricominciato per me, per la mia famiglia, nuovamente, il travagliato girovagare tra medici, esami e strutture ospedaliere alla ricerca di una cura, di risposte che spesso, molto spesso, contrastanti tra loro.

Quello che ho scoperto, hanno scoperto i medici ai quali mi sono rivolta, in un prossimo racconto, se avrete la voglia di seguirmi e di leggerlo, sarà interessante, intrigante, e stimolante.

A questo punto del racconto, mi piace ricordare, non solo per non deludere la mia amica ma per chi leggerà, una frase di Antonio Gramsci:

Anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio“.

L’ho fatto, purtroppo. Tutto è ricominciato e lo scoprirete in un successivo post.

Rosaria Mastronardo

Il catfishing. Un fenomeno social pericoloso.

Il catfish (che in italiano significa letteralmente “pesce gatto”) è una persona che chatta, si iscrive ai social e intrattiene relazioni spesso di natura sentimentale con altri utenti mantenendo però un’identità falsa. Il catfish si attribuisce caratteristiche radicalmente diverse da quelle che in realtà possiede.

Il fenomeno del catfishing ha ricevuto una certa rilevanza a livello mediatico nel 2010, con l’uscita del docufilm Catfish. Il regista e protagonista Nev Schulman vi racconta la sua reale esperienza di vittima di catfishing. Anche lui, infatti, è stato ingannato e indotto a instaurare una relazione virtuale. La fantomatica ragazza che lo ha adescato si è poi rivelata frutto della fantasia di un’altra donna.

Il catfishing però, non è solo la persona che chatta per intrattenere una relazione di natura sentimentale, ci sono anche soggetti che perdono soldi, a volte tanti; c’è poi chi si introduce in gruppi, sui social per “spiare” l’amministratore o gli amministratori di tali gruppi. Il termine catfish anche se letteralmente significa “pesce gatto” per me potrebbe semplicemente essere paragonato ad una “spia”. Intendiamoci, non mi riferisco alla spia James Bond, il personaggio immaginario creato nel 1953 dallo scrittore britannico Ian Fleming, poi reso universalmente famoso dai film ispirati ai libri dei quali è protagonista l’agente segreto colto e raffinato del controspionaggio inglese che come numero identificativo 007, dove il doppio zero indica che ha “licenza di uccidere“, no, non è quel tipo di spia. Ecco, cerchiamo di capire chi sono questi soggetti, perché una mattina si alzano dal letto e decidono di crearsi una falsa identità per spiare nei gruppi social? Chi li spinge? cosa “frulla” nella testa di questi soggetti?

Cos’è che spinge il catfish ad agire in questo modo? Si possono individuare vari motivi che portano a creare una falsa identità e a interagire tramite il web con altre persone:

  1. La paura di non essere accettati;
  2. L’ insoddisfazione riguardo alla propria vita reale e la propria vera identità;
  3. La semplice noia;
  4. Cattiveria gratuita;
  5. Problemi di natura psicologica non curabile.

Come sapete tutti, non sono un medico e neppure uno psicologo, Dio mi scampi e liberi!

A mio avviso, per i punti: 1; 2; e 3, diciamo che il catfishing porta un beneficio a livello psicologico a chi si serve di una falsa identità: la possibilità di poter creare una figura immaginaria, che permetta di avere interazioni con altri, è certamente allettante e gratificante. Questo soprattutto per chi è insoddisfatto della propria condizione, magari perché non appartiene al sesso con cui si identifica o perché è affetto da una disabilità.

Del resto, i social network accentuano la naturale predisposizione delle persone a modificare alcuni aspetti della propria identità in senso pro-sociale, soprattutto se ciò può apportarci gratificazione. Questo è stato dimostrato in particolare da uno studio israelo-statunitense. In questa ricerca, i soggetti avevano consapevolezza di un divario tra il proprio sé reale e quello rappresentato sul web, di cui venivano sottolineati i punti di forza, nell’ottica di ottenere un maggior consenso sociale

Per il punto 4, che dire, siamo tutti figli di Caino??? Il maligno, il figlio del serpente nel Giardino dell’Eden? Che vuol dire essere Caino? Per antonomasia, è il fratricida, è l’uccisore di congiunti o di amici; è un traditore, i Caino sono esseri senza cuore, perciò senza nessun merito.

Io direi di non considerarli perché non degni di stare al mondo.

Per l’ultimo punto, il 5, Problemi di natura psicologica non curabile, beh che dire, siete non curabili e quindi neppure quella pubblicità: “Per stare meglio comincia da Unobravo” potrà aiutarvi, la società dovrà convivere con questa tragedia.

Amen, ce ne faremo una ragione.

Il ruolo e l’importanza delle associazioni dei malati.

Fare volontariato in enti del terzo settore, e in particolare in enti con la specificità di rappresentare le persone con malattie croniche, è un’attività libera e gratuita, da svolgere per ragioni di solidarietà e di giustizia sociale.

Il volontariato nasce dalla spontanea volontà di persone di fronte a problemi non risolti o non affrontati dallo Stato.

Una delle caratteristiche del volontariato è l’anteporre il benessere collettivo al massimo profitto individuale senza lasciare nessuno sotto il livello di sussistenza. Il volontariato è sempre una testimonianza di solidarietà umana, è l’espressione della volontà di una o più persone di rendersi disponibili per aiutare chi è in difficoltà.

La sua dimensione sociale consiste nel rappresentare e promuovere il bene comune di quella parte di persone che sono deboli, sfruttate ed abbandonate.

Il malato affronta momenti terribili, sia per il proprio stato fisico ma anche per quello mentale.

Nel corso degli anni il ruolo delle associazioni sta cambiando, incentrando il proprio percorso con e per il prossimo, nell’ottica di fare advocacy, intesa come tutte quelle azioni per cui un soggetto si fa promotore per sostenere attivamente una causa espressa da una persona o da un gruppo di persone, in modo da migliorare la salute dei singoli e della comunità.

Il ruolo delle associazioni dei pazienti è fondamentale nel nostro Paese, nell’incoraggiare politiche mirate, nel portare avanti ricerche ed interventi di assistenza sanitaria. È un ruolo fondamentale anche quello di dare un aiuto alla persona nell’accesso ai farmaci e alle cure.

In alcuni casi è merito proprio delle attività di queste associazioni se la società ha acquisito la consapevolezza della specificità delle malattie rare e croniche e dei problemi che esse comportano.

In alcuni casi il lavoro delle associazioni ha anche contribuito a modificare i rapporti tra le istituzioni – siano esse nazionali, regionali o locali – e la comunità dei malati, rimuovendo molte delle barriere esistenti.

È un diritto del paziente orientare le scelte sulla propria malattia o sulla propria condizione, sulle modalità di trattarla e sul percorso da seguire.

Il punto di forza delle malattie croniche, insieme a quelle rare, è la consapevolezza e l’autodeterminazione del paziente, il quale, oltre a condividere i bisogni derivanti dalle difficoltà del trattamento della malattia, chiede a gran voce sforzi coordinati tra le varie associazioni per migliorare la conoscenza e l’assistenza.

È perciò necessario che gli operatori sanitari e i medici si facciano promotori di un rapporto costruttivo e collaborativo con i pazienti, incoraggiando la loro informazione e sostenendo atteggiamenti solidali e comunitari. Per contro, la partecipazione ai processi decisionali da parte delle organizzazioni dei pazienti richiede forte senso civico e capacità di agire nell’interesse della collettività, e a questo non giova la frammentazione delle loro rappresentanze.

Le associazioni che si occupano dei malati dovrebbero occuparsi di fornire informazioni concrete relative malattia; informazioni più concrete sull’arrivo e sul decorso della malattia; dovrebbero essere i soggetti principali nel supporto e nel sostegno dei malati durante la cura; dovrebbero essere i veri portatori i bisogni e delle attese dei malati nei confronti delle strutture sanitarie e dei relativi decisori politici.

DOVREBBERO

L’associazionismo è uno dei beni più preziosi per la comunità dei pazienti, in particolare di quelli con malattia rara.

Le associazioni svolgono un’importante opera di educazione sanitaria e promozione dei comportamenti favorevoli alla salute che aiutano le persone ad acquisire gli strumenti critici utili a prendere le migliori decisioni per la loro salute. L’opera di informazione svolta tende a ridurre il gap di conoscenze che esiste tra medici e pazienti e a incrementare il processo di empowerment sia dell’individuo che del gruppo. Si tratta di un processo di crescita basato sul rafforzamento della stima di sé che porta l’individuo ad acquisire nuove risorse e ad appropriarsi consapevolmente del proprio potenziale.

Nel tempo il ruolo delle associazioni dei pazienti si è evoluto: da portavoce dei bisogni a soggetti attivi che rivendicano un ruolo da protagonisti nei processi decisionali sui percorsi diagnostico-terapeutici dei servizi assistenziali e di cura, sull’accesso ai farmaci, sulle politiche sociali di sostegno e sulla promozione della qualità di vita.

Ancora oggi il 75% delle associazioni dichiara di essere poco coinvolta nei processi decisionali che riguardano i percorsi diagnostico-terapeutici, mentre il 91% ha difficoltà di tipo economico. Eppure, per le istituzioni, il loro ruolo è visto come insostituibile per una gestione condivisa delle politiche sanitarie e assistenziali.

Persiste ancora la situazione in cui ciascuna associazione, che opera in quest’ambito, porta avanti il proprio impegno autonomamente nei confronti del malato cronico e questo è un danno per il paziente, perché davanti alle istituzioni non traspare la necessaria compattezza ed unicità desiderata. È invece importante sensibilizzare gli enti di terzo settore a fare rete per costruire percorsi e realizzare progetti condivisi. Allo stato dei fatti è difficile interagire con i medici e con le istituzioni, e arrivare a quelli che sono gli obiettivi che l’associazione dovrebbe avere nel suo “DNA associativo”.

La mancanza di un organismo unitario, che agisca per la tutela dei diritti dei malati, rischia di favorire la frammentazione associativa che, a sua volta, non consente di svolgere al meglio il ruolo di portavoce, di fronte alle istituzioni, delle istanze dei pazienti.

Mai come in quest’ultimi anni si sente l’esigenza di rafforzare il ruolo degli enti di terzo settore che operano in ambito sanitario a sostegno e a tutela dei pazienti. Esse stanno diventando un soggetto che concorre alla costruzione e allo sviluppo di alcune delle più importanti politiche sanitarie, in oncologia come nelle malattie rare, nelle malattie metaboliche come nella reumatologia.

Bibliografia

Paltrinieri A., Giangiacomo L., Le associazioni di malati nel Web, Il Pensiero Scientifico Editore,

Milano, 2009;

Greenhalgh, T., Hurwitz B., 1999, Narrative based medicine: why study narrative?, in “Clinical research ed.”, 1999 Jan 2, 318(7175):48-50; doi: 10.1136/bmj.318.7175.48;

SWG (a cura di), Il processo di empowerment. Stato dell’arte, aspettative e richieste concrete delle associazioni dei pazienti a confronto con le istituzioni, Fondazione MSD, in collaborazione con Edizioni Health Communication, 2014.

Questo testo, lo trovate su: Le Briciole – CESVOT numero 56, “Le Malattie Invisibili – Le barriere dell’invisibilità” che potete scaricare dal sito del CESVOT:

https://www.cesvot.it/ previa registrazione.

La collana è gratuita. La registrazione non ha nessun vincolo.

E’ stato scritto da Rosaria Mastronardo: facilitatrice di due gruppI di auto aiuto dal nome “Fibromialgia: Affrontiamola Insieme”, il primo, in presenza, costituito il 6 settembre del 2018, il secondo, in modalità on line, il 24 febbraio 2021. Il suo motto è: “Mi aiuto aiutando”.

Come relazionarti con la tua disabilità invisibile.

Incominciamo da noi.

Siamo fratelli, figli, amanti, amici, e colleghi. Se apprezzi l’equità e l’inclusione, questi valori dovrebbero estendersi anche nelle tue relazioni, non ti pare? Spesso, con chi ha una disabilità, soprattutto invisibile, non sempre questi valori emergono. Gli esseri umani prosperano nelle relazioni e in queste relazioni però si ignora la disabilità. Bisogna ricordarsi invece che come, genitori, sorelle, amici e datori di lavoro, avete l’opportunità di aiutare a rimuovere le barriere che si frappongono al vivere pienamente le vite delle persone che vivono la disabilità, sia essa visibile che non visibile.

Vivere una vita con disabilità, sia essa visibile o invisibile è una dannata sfida. È sicuramente la cosa più difficile che io abbia mai affrontata. Più difficile che crescere in una casa non sicura, vivere una relazione violenta, vivere al di sotto della soglia di povertà, non lo so, so però com’è vivere la mia vita con una disabilità invisibile. Nel 2015, mi è stata diagnosticata la fibromialgia, poi via via tante altre malattie autoimmuni una dietro l’altra. Ho vissuto con i sintomi di queste malattie per molto tempo, malattie che tendono a fluttuare a seconda anche dei fattori di stress, dal clima e quant’altro e che, attualmente mi stanno destabilizzando. Durante le riacutizzazioni, il dolore è più difficile di quanto si possa descrivere e i sintomi cognitivi ed emotivi che le accompagnano mi fanno sentire malissimo.

Per un po di tempo, all’inizio, temendo il rifiuto, mi sono chiusa molto, evitavo i rapporti con gli altri. Avevo tanta paura, non capivo cosa stesse succedendo. Ho faticato a condividere i miei sintomi, le mie sfide e persino il nome della mia prima diagnosi, la fibromialgia.

Questo timore non era infondato. Quando ho iniziato questa mia “via crucis” ho scoperto la completa assenza di un sistema di supporto. In famiglia ti guardavano in modo diverso, non eri più la stessa di prima, non capivano, cercavano di aiutarti ma, erano in difficoltà anche loro; con le associazioni, non ne parliamo, tante pacche sulle spalle, tanti: “ti comprendiamo” e poi…. Il nulla. A lavoro, eri diventata la fannullona e non importava tutto quanto fatto negli anni precedenti, ai loro occhi, eri quella che non voleva più lavorare. L’isolamento veniva da se. Poi, capisci e comprendi che se continui così, sei come “morta” ed io non ero morta, ero solo una “malata invisibile” agli occhi di tanti, di molti. Ho capito, ad un certo punto che dovevo “difendermi” difendere me stessa. Questo sai, è difficile quasi quanto vivere con il dolore perché comunicare i miei bisogni, le mie richieste di aiuto, i miei diritti poteva essere accolto con il rifiuto, la negazione e chi sa cos’altro. Ne sono stato testimone nella mia vita così come tutti quelli che mi sono stati vicini. E’ stato un altro grosso fardello che ho sopportato.

Ho pensato, ad un certo punto che dovevo fare qualcosa. Chi vive una condizione di disabilità, senza rendersene conto, ha il potere di essere più inclusivo rispetto ad altri che non vivono la stessa condizione. Tu, hai il potere di educare te stesso, in primis, poi con la conversazione, con la partecipazione attiva, quanto ti puoi permettere di esserlo, devi sforzarti di cercare di rimuovere le barriere che si sono alzate davanti a te, devi cercare l’accessibilità ove possibile. La comunicazione negli ambienti di lavoro è importante. Ho fatto anche quello. La cosa importante è cercare di far conoscere a quante più persone possibili la condizione di “disabile invisibile”. Sensibilizzare in ogni modalità che ritiene possa essere di aiuto, fallo. Sensibilizza, fai. Esistono molte patologie invalidanti ma poco evidenti, questo porta ancora troppe persone a pensar male. Ci sono purtroppo tantissime persone che ogni giorno affrontano la propria lotta in silenzio, vivendo con patologie croniche o condizioni che limitano le attività del quotidiano. Oltre alle problematiche di dover gestire quotidianamente la patologia, queste persone affrontano stigmatizzazione e fraintendimenti sociali, poiché gli altri spesso non riconoscono la loro difficoltà, anche nel compiere semplici azioni come fare la fila al supermercato, sui mezzi pubblici….

Purtroppo, tutti noi “partiamo sempre” in quarta di fronte a quelle che crediamo ingiustizie e nel caso di un disabile invisibile rischiamo di metterlo a disagio; la disabilità in quella persona esiste, ma non è così evidente. L’abitudine a persone che si comportano in maniera scorretta induce a pensare che tutti siano in malafede. Le persone con malattie invisibili ci educano a non fermarci all’apparenza, a non giudicare un libro solo dalla copertina. Come sempre, le realtà vanno conosciute a fondo prima di esprimere giudizi. Oggi, purtroppo si è spesso portati a pensare che la disabilità sia un problema solo di chi la vive, che deve sempre far valere i propri diritti, anche quando sono evidenti. Figuriamoci cosa accade quando la disabilità non è neanche visibile!

Ecco perché, noi in primis, malati invisibili, dobbiamo metterci in prima fila e sensibilizzare il più possibile e se ci aiutano anche chi ci sta accanto, in famiglia, nella società, a lavoro, in chiesa, è apprezzato.

Vivere in questo mondo con disabilità è già abbastanza impegnativo, per favore non renderlo più arduo. Credo che tu abbia il potere e l’umanità per istruirti, imparare quali disposizioni sarebbero apprezzate e aiutare ad abbattere le barriere che dobbiamo affrontare. Come genitori, sorelle, amici e datori di lavoro, vi imploro di cogliere questa opportunità e di darci la possibilità di vivere le nostre vite al massimo.

Rosaria Mastronardo

Fibromialgia e potere

Quanto interessa la fibromialgia ai mezzi di comunicazione di massa.

Ho letto di questo argomento su una piattaforma spagnola, l’articolo è di Alfonso Pedrosa, un giornalista specializzato in ambito sanitario, consulente in intelligenza applicata e innovazione sociale nella salute, editore della piattaforma Synaptica.es dove si raccontano storie legati all’informazione sanitaria e all’innovazione sociale.

Nell’articolo il giornalista racconta di una sua esperienza durante un seminario sulla fibromialgia organizzato da filosofi delle Università del Cile e di Siviglia. Si trattava di riflettere da diverse prospettive professionali, clinica compresa, su questa sconcertante malattia che colpisce in larga parte le donne. Gli fu chiesto di condividere alcune idee su come questo tema viene trattato nel mondo del giornalismo. Pedrosa ha scritto di essere rimasto sorpreso dal fatto che alcune delle persone con le quali ha condiviso una sessione di lavoro, tutte di riconosciuto livello intellettuale, non si fossero rese conto, fino a quel momento, che la fibromialgia non è rilevante per i mezzi di comunicazione di massa dell’ecosistema dell’informazione spagnola. Tiene a precisare però che, nonostante la fibromialgia non fosse presente nelle grandi agende del settore della comunicazione, non significa che non ci sia sempre stato un interesse sociale su questo problema.

Secondo Pedrosa, la fibromialgia non è un grosso problema mediatico, per diversi motivi. Tra questi, vale la pena evidenziare gli stessi profili imprecisi della descrizione clinica della malattia, che rendono difficile semplificare i messaggi, un processo fondamentale per l’esistenza di un racconto mediatico. Inoltre, la fibromialgia attualmente non ha un’eziologia identificata o un trattamento farmacologico di riferimento che abbia efficacia curativa. Ciò implica che tale patologia esuli dal circuito degli interessi che associano una certa malattia al mercato della farmacologia e ai servizi sanitari, che la separa dalle aspettative imprenditoriali dei media, che sono società che hanno un costo economico. La Spagna è affondata e sta attraversando gravi difficoltà di sostenibilità finanziaria nel campo del giornalismo, carta stampata si intende; una situazione che ha causato la distruzione di circa 12.000 posti di lavoro nei media spagnoli tra il 2008 e il 2014. Si può semplicemente dire che non c’è nessuno, eccezioni a parte, che con un livello minimo di competenza e il necessario grado di specializzazione, possa parlare di fibromialgia nei media con continuità. D’altra parte, i media hanno agito da specchio dell’agenda politica, un ruolo che si è intensificato negli ultimi tempi date le difficoltà finanziarie. Vale la pena puntualizzare, in questo senso, che la scarsa (seppure esistente) presenza della fibromialgia negli argomenti trattati dai grandi media sia senz’altro determinata dall’interesse della politica verso il mondo delle associazioni di pazienti legate a questa patologia.

La fibromialgia non è rilevante per i media nell’ecosistema informativo spagnolo e, tuttavia, suscita interesse sociale“.

La fibromialgia interessa il pubblico, afferma Pedrosa, infatti le ricerche del termine “fibromialgia” su Google effettuate in Spagna superano di gran lunga le 40.000 al mese. Se questo interesse viene confrontato con quello per il termine “diabete”, ad alta incidenza e prevalenza, con una numerosa schiera farmacologica, inclusione standardizzata nel portafoglio dei servizi delle organizzazioni sanitarie, esistenza di un forte movimento associativo di pazienti, presenza mediatica consolidata, ecc., il numero di ricerche mensili è approssimativamente lo stesso. In effetti, a questo punto è evidente che la fibromialgia sia un argomento decisamente interessante. Ma non fa parte del business dei media tradizionali di oggi.

In pratica, afferma Pedrosa, è una storia invisibile.

Significa che la fibromialgia come notizia esiste ma è invisibile? In un certo senso è così; allo stesso modo in cui i suoi costi diretti e indiretti sono invisibili. La fibromialgia potrebbe non interessare i media. Perché la storia di questo problema di salute, come in tanti altri casi, è mutata e si è spostata di palcoscenico in palcoscenico: il pubblico si è frammentato e gli intermediari, che non si adattano, sono scomparsi. Questi sono tempi di nano – media e micro – politica. In altre parole, la fibromialgia è nella conversazione di persone che si sentono direttamente o indirettamente sfidate da questa malattia e nella sua espressione nel mondo di Internet e dei cosiddetti social network. Senza chiedere il permesso di farlo ai media o alle solite agende politiche.

Il 12 maggio si è celebrata, come negli anni precedenti, la Giornata Mondiale della Fibromialgia. L’interesse dei media, in Spagna, in questa occasione utile per dare visibilità alla malattia e alle persone che ne soffrono, è stato limitato. Tuttavia, in uno dei social network di riferimento, Twitter, l’hashtag #fibromialgia ha articolato un interessante mix conversazionale: quel giorno si sono generate 3.320 relazioni tra 2.378 utenti di Twitter che hanno condiviso messaggi sulla #fibromialgia organizzati in ben 426 diverse community. Senza addentrarci nell’enorme quantità di informazioni che possono essere estratte da queste reti attraverso tecniche di Social Network Analysis (ARS) con l’ausilio di software di estrazione e visualizzazione dei dati, analizzando i report prodotti dopo le ricerche a tema, si può affermare che quel giorno hanno parlato di fibromialgia in rete attori di diversi profili e vari interessi: persone interessate, associazioni di pazienti, politici, media specializzati in questo problema di salute, celebrità occasionali e, in generale, chiunque volesse condividere un messaggio in merito. Indubbiamente, se, come dice il Manifesto Cluetrain (uno dei testi eponimi della cultura collaborativa della Rete), i mercati sono conversazioni, lo è anche la fibromialgia.

Internet apre sempre nuove arene per la conversazione, le storie non si raccontano più a bassa voce nella cattedrale di chi custodisce il cosiddetto sapere: ora si possono gridare anche al bazar dietro l’angolo, o comodamente seduti in poltrona nella propria casa.

Chiunque senta di avere qualcosa da contribuire a rendere il mondo un posto migliore, ha la stessa responsabilità, in questo processo di cambiamento culturale, degli stessi cittadini che non si sono evoluti”.

Questo caso è un ulteriore esempio del potere di Internet come catalizzatore tecnologico del profondo processo di cambiamento culturale vissuto soprattutto dalle società occidentali consapevoli di vivere in un mondo globalizzato. E dà un’idea del potere che in questo passaggio alla società in rete (Castells) hanno in mano le persone, compresi coloro che soffrono di fibromialgia, di intervenire efficacemente sulla realtà. Anche se nella maggior parte dei casi non ne sono consapevoli. Pertanto, è di fondamentale importanza non solo l’immersione digitale delle voci che vogliono intervenire nella conversazione sulla fibromialgia, ma l’accompagnamento delle persone nella sfida della vera partecipazione dei cittadini nel prendere decisioni importanti per la società; tenendo sempre presente, senza dubbio, che la partecipazione è un trasferimento di potere e il potere non viene mai ceduto volontariamente da chi lo detiene. Si apre così un’opportunità per trasfondere informazioni che germogliano in conoscenza, in coscienza critica, in consapevolezza critica, nella disponibilità ad intervenire efficacemente nella realtà.

I miei amici filosofi del seminario sulla fibromialgia sono rimasti sorpresi dalla descrizione di questo scenario: c’è vita fuori dall’Accademia, mi hanno detto, ottimisticamente. Il che implica che l’Università, senza dubbio, e in generale chiunque senta di avere qualcosa da contribuire per rendere il mondo un posto migliore, ha tanta responsabilità di fronte a questo processo di cambiamento culturale quanto la stessa cittadinanza che non si è ancora risvegliata.

Questa è la situazione in Spagna descritta da Pedrosa. Come è vista la fibromialgia in Italia?

Ho fatto la stessa cosa, con un software gratuito, che mi ha permesso di verificare quante volte è stato cercato il termine “fibromialgia” in Italia: sono riuscita ad ottenere una classifica per Regioni e i vari termini secondari più o meno collegati al termine stesso. Come ultima elaborazione statistica ho messo a confronto, all’interno del medesimo arco temporale, la quantità di ricerca in rete del termine “Fibromialgia” con quella del termine “Influenza Stagionale”.

Il dato riportato nel grafico riguarda la ricerca confrontando due termini nello stesso periodo temporale

Come si può osservare dal grafico, la linea di colore blu indica la fibromialgia, quella rossa, l’altro termine ricercato cioè, influenza stagionale. In un solo anno, è questo l’arco temporale, il termine fibromialgia è nettamente superiore.

Analizziamo ora la ricerca dello stesso termine, fibromialgia, diviso per Regioni:

Periodo di riferimento: 01/02/2022 – 01/02/2023 Ricerca per Regione del termine Fibromialgia
Regione
Molise100
Sardegna90
Calabria89
Abruzzo78
Basilicata77
Valle d’Aosta74
Sicilia73
Puglia70
Liguria69
Umbria66
Campania66
Marche65
Toscana64
Emilia-Romagna63
Piemonte58
Lazio57
Veneto56
Friuli-Venezia Giulia56
Trentino-Alto Adige54
Lombardia49

Come si può notare dalla tabella, la regione Molise è quella che ha fatto più ricerca rispetto alle altre, fanalino di coda, la Lombardia.

Analizziamo ora la tabella che elenca i vari termini più o meno collegati alla parola “fibromialgia”. FATE ATTENZIONE, QUESTA E’ QUELLA PIU’ INTERESSANTE

Fibromialgia: 01/02/22 – 01/02/23 e Termini Associati più cercati solo in Italia
TOP
fibromialgia100
fibromialgia sintomi22
la fibromialgia12
fibromialgia sintomi iniziali3
fibromialgia cura3
fibromialgia cure3
fibromyalgia3
artrite2
reumatologo2
fibromialgia cause2
fibromalgia2
fibromialgia gambe sintomi2
sintomi della fibromialgia2
diagnosi fibromialgia1
fibromialgia terapia1
dolori muscolari1
fibromialgia autoimmune1
fibromialgia tender points1
fibromialgia muscolare1
tender points1
artrite reumatoide1
fibromialgia reumatica1
fibrosi cistica1
fibromialgia non curata conseguenze1
fibromialgia invalidità civile 2022< 1
RISING (Termini in Crescita)
fibromialgia non curata conseguenzeImpennata
fibromialgia invalidità civile 2022Impennata
tizanidinaImpennata
visita reumatologicaImpennata
fibromialgia riconoscimento invalidità 2022Impennata
fibrosi polmonareImpennata
spondiloartriteImpennata
sindrome gambe senza riposoImpennata
fibrofogImpennata
reumatologo cosa curaImpennata
fibromi penduli+4.950%
come diagnosticare la fibromialgia+300%
fibromialgia gambe sintomi+110%
sintomi della fibromialgia+60%
fibromialgia terapia+50%
fibrosi cistica+40%

Guardate quali sono i termini indicati nella tabella (IN CRESCITA). Sono molto significati e parlano da soli

Cosa aggiungere di più. C’è un proverbio molto famoso che recita così:

Paese che vai, usanza che trovi

Ogni Paese ha le proprie usanze e i propri costumi. In senso lato, ciascun Paese ha il proprio modo di affrontare una determinata vicenda. Per quanto riguarda la fibromialgia, chissà perché, l’atteggiamento è lo stesso.

Rosaria Mastronardo

I numerosi cambiamenti delle abitudini dei pazienti fibromialgici.

Quando sviluppi la fibromialgia, stanne certo, potresti ritrovarti a fare cambiamenti nel tuo stile di vita per adattarti al meglio alla tua malattia. Che si tratti di dolore cronico, affaticamento, annebbiamento del cervello o depressione, i sintomi possono influenzare ogni aspetto della tua vita. Per gestire questi cambiamenti, siamo costretti ad assumere comportamenti che diventeranno in seguito la nostra routine per aiutarci a superare le numerose sfide fisiche ed emotive che dobbiamo affrontare.

Le abitudini più comuni “confessati” da alcuni pazienti di una comunità del web: https://themighty.com/

Ho sviluppato l’abitudine di non condividere i miei problemi di salute con nessuno, per paura di essere presa in giro, giudicata o essere discreditata. È diventato così grave che non solo taccio con amici e familiari, a volte evito di parlarne anche con i dottori, tanto faticano anche loro a credermi”.

Non mi trucco più. Perché farlo se sono costretta ad andare a letto tante di quelle volte per riposarmi un po? Ho smesso completamente di farlo”.

Ho la cattiva abitudine di digrignare i denti, mordermi la lingua o bloccare la mascella quando sono concentrata oppure ho molto dolore. Non me ne rendo conto, lo noto solo quando mi parte il dolore in faccia più tardi”.

Sono così stanca più di mattina che non ho nessuna sveglia, non fisso nessun appuntamento nella mattinata e il mio telefono è sempre in modalità silenziosa durante le mie normali ore di sonno”.

La rabbia è una mia abitudine. Mi sento come se fossi “cronicamente” arrabbiata. Sembra che nessuno capisca e tutti si aspettano che io sia una normale ventenne. Ho avuto la fibromialgia e la stanchezza cronica da quando avevo 4 anni. Quindi sono arrabbiata”.

Controllo costantemente le porte quando esco o vado a letto perché ho sempre il dubbio di non averle chiuse a chiave.”

Quando ho una “buona giornata”, esagero sempre. Ogni singola volta. Mi costringo a fare il più possibile prima di crollare definitivamente. Ho così tanti giorni in cui tutto ciò che posso fare è sdraiarmi a letto, quindi quando arriva quella “buona giornata” con un lieve dolore, non posso fare a meno di provare a fare tutto ciò che di solito non ho fatto quando stavo malissimo con il dolore. Ma lo pago sempre caro il giorno dopo, e a volte anche per un’intera settimana”.

Ho sempre in mente come risparmiare passi. Ne ho così tanta in me di energia e non posso permettermi passi extra se devo superare la giornata. Odio doverci pensare tutto il tempo invece di godermi le cose come vengono

Con la mia fibromialgia, ho sintomi di emicrania quasi costanti. Quindi ho sviluppato l’abitudine di coprirmi gli occhi se entro in una stanza con luci molto forti. Per me i cambiamenti della luce, dell’illuminazione possono essere dolorosi o travolgenti. Ricevo degli sguardi strani da persone che non mi conoscono

Quando preparo le valigie per una gita veloce e come se la facessi per un lungo viaggio. Devo assicurarmi di avere acqua, le mie medicine, un piccolo cuscino, un libro, le cuffie, salviette per neonati, utili perché la mia medicina mi fa sudare tanto e poi le mentine, le medicine mi fanno venire la nausea. Piccoli viaggi che sembrano grandi e lunghi viaggi. Devo essere preparata per qualsiasi situazione. La mia famiglia mi prende in giro, afferma che la mia “borsa” è come quella di Mary Poppins”.

Ho l’abitudine di dire: “Sto bene, sono sola stanca” se qualcuno chiede se c’è qualcosa che non va. Rispondo, solo “Sto bene” se qualcuno mi chiede come sto in generale”.

Mettere un cuscino tra le ginocchia e/o dietro il collo, sotto il braccio, ecc. Le ginocchia che si toccano, il collo contro il divano o il letto o la pelle che tocca un tavolo può essere così doloroso che non riesco a mettiti comoda, quindi ho cuscini ovunque”.

Una cattiva abitudine che ho preso da anni di stigmatizzazione medica è ridurre al minimo il mio dolore e in un certo senso non parlare di ‘sintomi minori’ finché non li ritengo ‘abbastanza importanti’. Perché non voglio essere vista come esagerata o ipocondriaca”.

Ho preso l’abitudine di tenere un’agenda nella borsa. Tutto viene scritto lì, nel caso perdessi il cellulare, e poi un post-it sul retro del mio telefono con momenti salienti/appuntamenti per la settimana”.

Prendermi cura di me seriamente. Prima della mia diagnosi, non pensavo all’impatto che aveva il prendersi cura della propria salute. Ora, i più piccoli atti di cura della mia persona hanno un maggiore impatto su di me, sia fisicamente che mentalmente. E con il fibromialgia, il benessere mentale va di pari passo con il tenere a bada i sintomi fisici”.

Ogni volta che tocco accidentalmente qualcuno, mi scuso immediatamente e chiedo se sta bene. Le persone ridono di me per questo, perché ‘ovviamente’ non ho fatto loro del male, ma è perché piccoli tocchi casuali possono ferirmi che abitualmente devo assicurarmi di non aver ferito accidentalmente nessuno”.

Manipolo costantemente le mie articolazioni. Scatto, scoppiettio, schiocco ogni mattina e alzo costantemente il collo e spingo verso il basso sui punti di innesco”.

Sono terrorizzata all’idea di fare progetti. Ci sono state moltissime occasioni dove ho dovuto annullare all’ultimo minuto. Le persone si arrabbiano e pensano che me lo stia inventando. Mi ritrovo a stressarmi al pensiero di fare progetti”.

Ho l’abitudine di isolarmi. Sono una persona molto allegra e socievole, ma scopro di passare sempre più tempo da sola. E non penso che sia eccessivamente salutare. È solo un’abilità di fronteggiare certe situazioni che si è trasformata in una cattiva abitudine. Non voglio che la mia zona di comfort diventi sempre più piccola”.

Ho preso l’abitudine di essere pronta e preparata per le possibili brutte giornate con dolori fortissimi.Ho pensato a tutto. Libri, film, programmi TV, frigorifero pieno, medicine ritirate, pulizia della casa, ecc.”

Quando il mio ragazzo o altri mi toccano oppure mi abbracciano i miei pugni si stringono immediatamente e le mie braccia si alzano per coprire la parte superiore del mio corpo in modo da fermarli e far capire che non possono farlo. Io la chiamo la mia posa da combattente. Non è intenzionale e accade senza un pensiero cosciente. Immagino che sia perché ho già sofferto così tanto ed è il modo in cui il mio corpo mi protegge da più dolore poiché solo un semplice tocco nell’area sbagliata può portare il livello del mio dolore in alto”.

Il ritmo – il ritmo è la chiave. Ho passato molto tempo a cronometrare me stessa facendo semplici lavori in casa e annotando quanto tempo impiegavo per il recupero delle mie forze e calcolando lentamente quanto tempo impiegavo per svolgere ogni attività prima di dover riposare senza che ciò mi causasse una riacutizzazione. Mi imposto dei timer quando faccio i lavori di casa per ricordarmi di fermarmi e fare una pausa”.

Abitudini, stili di vita che vengono stravolti perchè? Perchè soffriamo di una malattia cronica ed invalidante ancora non riconosciuta dal nostro SSN e che ancora non ha una cura, linee guida inesistenti, medici poco preparati per una corretta diagnosi e tanti tanti ciarlatini, in virtù di questi “vuoti” che promettendo miracoli, sono capaci di venderti tutto.

Allontanatevi dai ciarlatani e dai venditori di fumo, sono peggio dei dolori della vostra fibromialgia.

Rosaria Mastronardo

Con troppe diagnosi non è facile guardare il lato positivo della vita ma, ci provo.

Andiamo avanti……..

Le malattie croniche influenzano moltissimo tutti gli aspetti della mia vita. Ho molteplici malattie e sindromi che si incrociano tra di loro, sono difficili da trattare e interferiscono completamente su tutte le parti del mio corpo, con pochissime esclusioni, forse nessuna.

Ho scritto molto del mio dolore, dolore cronico. Forse in pochi sanno che non ho solo la fibromialgia ma, diverse patologie/malattie/sindromi. Ho deciso di renderle pubbliche perché, in questi giorni, mi sento sola e incompresa anche da chi ti sta vicino e dice di capirti. Mi sento come una “macchina” trascorro le mie giornate con il pilota automatico e sogno ad occhi aperti il momento in cui posso finalmente stendermi sul mio letto e provare a dormire e/o riposare.

Forse qualcuno non troverà interessante quello che scriverò ma, è importante per me.

Voglio essere vista e conosciuta non per diventare famosa, non per protagonismo, non me ne frega nulla, desidero far sapere SOLO quello che vivo ogni singolo giorno; non deve essere un segreto, meglio si sa di chi vive come vivo io, meglio è; lo faccio anche per sentirmi meno sola nelle dure sfide della quotidianità.

Sono purtroppo affetta da: Fibromialgia, Artrite Psoriasica, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteoartrite di 4° livello alle caviglie che ha danneggiato gradualmente cartilagine e tessuti circostanti, tanto da non riuscire più a camminare per lunghi tratti, Neurolisi del nervo ulnare bilaterale, già operata una volta al braccio sinistro, Spasmofilia, Cefalea, Psoriasi, Gastrite, Discopatie, Ernie e altro, mi fermo nell’elenco perché potrei sembrare in fin di vita. In alcuni momenti, vi giuro che, mi sento finita dentro.

Sono una mamma, una donna, una moglie, una lavoratrice e volontaria. Ebbene, si. Sono tutte queste cose. A volte mi viene da pensare che se non fossi malata potrei essere una “wonder woman“.

Ognuno ha il proprio insieme di sintomi che rendono difficile affrontare le sfide della vita. Non è semplicemente convivere con il dolore cronico. Ci sono così tanti altri sintomi che interferiscono con tutte le mie attività quotidiane, sintomi alcuni invisibili che solo io so che esistono e che provo sulla mia pelle, su ogni parte del mio corpo.

Una giornata tipica della mia vita consiste in una moltitudine di decisioni che portano a una reazione a catena su come andrà il giorno successivo, o anche la settimana successiva. Tutto, dalla cosa, il lavoro, il volontariato: è un consumare energia tutte le volte che faccio qualcosa, e tutte le volte che ne faccio una mi chiedo sempre se avrò la forza per fare la seconda, la terza e così via. Non sono uguali i giorni. Ci sono giorni buoni e giorni poco buoni ed io sono sempre li che faccio una cernita delle mie attività. E’ sempre così, tutti i giorni che Dio mette in terra.

Sono una mamma.

Fare la mamma non è facile. Ho desiderato essere mamma. Ho avuto un figlio che adoro. Cerco di stargli accanto il più possibile, anche se ora è grande ma, la mamma è sempre tale anche quando i figli crescono e sono autonomi. Non si smette di essere mamma, mamma si è SEMPRE.

Sono moglie e donna

Ho la fortuna di avere un uomo accanto che, nonostante le differenze caratteriali, è un uomo bravo e comprensivo. Credo, anzi sono certa che, non è facile vivere accanto a persone malate come me, che hanno bisogno sempre di un sostegno, di una mano, di essere moglie sempre. In questo, mi reputo fortunata. Il mio uomo, c’è.

Sono una lavoratrice

Sono fortunata, perché ho un lavoro. So quanto è difficile oggi avere un lavoro stabile. Sono fortunata anche perché, essendo il mio lavoro, tele-lavorabile, svolgo la mia attività da casa. Qualcuno, potrebbe pensare che sono una “privilegiata”. Forse si o forse no, non giudicate senza sapere. Non è che lavorando a casa la mia situazione di salute migliora. Io sono una malata cronica e cronica rimango anche se sono una telelavoratrice. Quindi, non avrò certo tutte quelle difficoltà che hanno tutti quelli che si recano sul posto di lavoro: alzarsi presto, preparasi, traffico, e altro ma i miei dolori, le mie difficoltà a stare seduta e ferma per lungo tempo non aiutano la mia condizione. Ho tanti vantaggi, è vero ma, la situazione “dolore cronico” non cambia, quello non via neppure se sei a casa. C’è, punto.

Sono una volontaria

Le mie numerose malattie/patologie/sindromi non sono venute tutte insieme, un po per volta, sono state “educate” con me, si sono presentate, tutte casualmente diagnosticate, una alla volta. All’inizio, mi fu diagnostica la fibromialgia e poi a seguire tutte le altre. Con la fibromialgia è iniziata la voglia in me di fare qualcosa. Malattia poco conosciuta, difficile da diagnosticare, ancora carente di un marcatore per una esatta diagnosi, non riconosciuta dal nostro SSN, tanti “sciacalli” in giro per il mondo che, in virtù di tutto quanto sopra detto, ti proponevano di tutto e di più promettendoti la guarigione, associazioni che pur di fare cassa e mostrarsi in TV, ti promettevano l’impegno a prendersi cura di te. Niente di tutto questo è accaduto, anzi, nonostante il mio impegno in alcune di esse, ho lasciato definitivamente quell’ambiente e mi dedico all’Auto Aiuto e collaboro solo con quelle Associazioni che, seriamente, si impegnano in questa lotta infinita per il riconoscimento, la sensibilizzazione e altro per la fibromialgia e per un concreto sostegno nei confronti dei malati cronici, anche se invisibili. Sono facilitatrice di due gruppi di Auto Aiuto.

All’inizio con alcune associazioni ho preso parte a numerosi eventi. Organizzarli, non era facile. Però, per il bene comune, stringi i denti e vai avanti. Oggi, ho deciso di non organizzare più nulla. Se qualcuno mi propone una partecipazione, volentieri aderisco ma, non organizzo nulla e non desidero far parte di nessuna associazione di malati fibromialgici, mi viene l’orticaria solo al pensiero.

Ho anche una passione, in verità ne ho diverse ma, alcune, per le mie malattie, non posso più fare, ne ho lasciata solo una. La scrittura. Amo scrivere. Non scrivo poesie, non scrivo racconti. Tutto quello che scrivo riguarda la mia situazione di malata cronica, invisibile, ignorata, nella società, nel mondo del lavoro e dallo Stato. Riporto testimonianze di malati ma, anche di vita vissuta, scrivo della mia esperienza con i gruppi di Auto Aiuto. Credo che, scrivere certe testimonianze di vita con il dolore cronico, con le malattie invisibile sia un modo per far conoscere le difficoltà di vita di persone che vivono questa condizione e soprattutto sensibilizzare quanto più possibile sul tema.

Forse a qualcuno questo testo, nel leggero, gli avrà portato un po di depressione o disgusto. Non è certo un testo divertente, di divertente, nel descrivere la vita di un malato cronico, non c’è nulla.

La vita di un malato cronico è così e in alcuni casi, anche peggio.

Vi confesso che le mie giornate, non sono tutte uguali, il mio umore cambia in virtù dell’intensità del dolore, delle mie difficoltà nel fare qualsiasi cosa. Piango, si a volte mi capita anche di piangere dal dolore, e ripeto a me stessa: resisti, combatti, vai avanti, non arrenderti. Hai ancora tanto da fare, da dire, da vivere. Una cara amica ieri mi ha ricordato che devo anche sapere ascoltare la malattia e fermarmi quando è alta la sofferenza, il dolore. Ha ragione da vendere la mia amica, ha ragione. Mi impegnerò ancora di più.

E come ci diciamo sempre io e lei: andiamo avanti…..

Rosaria Mastronardo