Fibromialgia e l’associazione con l’artrite reumatoide e l’osteoartrosi

La fibromialgia (FM) è spesso associata ad altre malattie che agiscono come fattori confondenti o aggravanti quali l’artrite reumatoide (AR), le spondiloartrite (SpA), l’osteoartrosi (OA) e le malattie della tiroide

Questo articolo è stato scritto da un medico, dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia di Milano, nel 2016. Molte cose erano già note sulla Fibromialgia, esami da fare, come individuare bene la FM nei pazienti affetti da dolore cronico ma, soprattutto era chiaro, già in quell’anno come cercare di comprendere se il paziente avesse solo la Fibromialgia e/o ben altre malattie più “gravi” della Fibromialgia. Allora mi sono fatta tante domande ma, una su tutte è questa: perchè ancora si insiste sui solo “Tender Points” e pochissimi medici sottopongono questi pazienti ad altri e più specifici esami?

La risposta, con certezza non la conosco, posso solo immaginarla. Lascio a chi leggerà questo articolo, una propria opinione.

La fibromialgia (FM) è spesso associata ad altre malattie che agiscono come fattori confondenti o aggravanti quali l’artrite reumatoide (AR), le spondiloartrite (SpA), l’osteoartrosi (OA) e le malattie della tiroide.

I sintomi più comuni e caratteristici della FM sono il dolore diffuso, la rigidità, l’astenia e il sonno non ristoratore. Tuttavia, il sintomo patognomonico è il dolore muscoloscheletrico cronico diffuso presente consecutivamente da almeno 3 mesi e riferito ad entrambi gli emisomi, (una delle due metà del corpo umano, definite secondo un piano di simmetria sagittale) al di sopra ed al di sotto della vita, ed assiale, a carico di almeno uno dei tre segmenti, cervicale, dorsale e lombare.

Circa 2/3 dei pazienti riferiscono bruciore dappertutto e questo sintomo può essere utile per differenziare la FM da altre condizioni dolorose.

Il dolore può essere descritto con una combinazione di termini quali scottante, bruciante, vibrante, battente, martellante, profondo, tagliente e come la rigidità, spesso viene aggravato dal freddo o dal clima umido, dall’ansia o dallo stress, dall’attività fisica eccessiva, dal sonno non ristoratore e dal rumore. Tuttavia, il dolore muscoloscheletrico rappresenta un sintomo comune nei pazienti affetti da malattie reumatiche sistemiche, ma non è sempre facile scoprirne la causa.

Il dolore rappresenta il sintomo patognomonico per la diagnosi di FM, ma è associato ad una varietà di sintomi (come l’astenia, il fenomeno di Raynaud, i disturbi del sonno, la rigidità muscolare, la sindrome sicca (detta anche sindrome di Sjögren), la sindrome del colon irritabile, la depressione e l’ansia) che agiscono come fattori confondenti perché sono presenti in diverse condizioni dolorose, e la mancanza di esami di laboratorio specifici per la FM può facilmente portare ad una diagnosi errata.

La sua diagnosi clinica non è semplice poiché sintomi simili-FM sono facili da ritrovare, quindi la diagnosi differenziale con le altre cause di dolore cronico è fondamentale.

Quando il dolore coinvolge un ampio numero di articolazioni, può essere confuso con il dolore diffuso della FM, ma il grado di dolore misurato per mezzo della scala analogica visiva (VAS) non permette di distinguere la FM da altre condizioni dolorose quali la (AR) o (OA).

Inoltre, la FM può co-esistere con malattie immuno-infiammatorie, molte malattie reumatiche e non reumatiche possono essere erroneamente diagnosticate come FM. Attualmente non esistono test strumentali in grado di confermare la diagnosi, ma molte delle diagnosi differenziali vengono escluse attraverso un accurato esame clinico ed anamnestico.

Considerando la sovrapposizione della FM con le altre malattie, i medici dovrebbero essere piuttosto attenti: la radiografia del torace e l’ecografia dell’addome rappresentano i primi step per la valutazione dei pazienti con sospetta diagnosi di FM. Tuttavia, effettuare la diagnosi di FM può essere difficile a causa della natura multisfaccettata della sindrome e della sovrapposizione con le altre condizioni dolorose croniche.

FM associata a artrite reumatoide e osteoartrosi.

I meccanismi coinvolti nella FM sono molteplici e complessi. Alcuni di questi meccanismi coinvolgono la somatizzazione temporale (windup), il potenziamento a lungo termine (LTP), il potenziamento etero-sinaptico, una disfunzione delle vie inibitorie discendenti del dolore, e una attivazione del pathway facilitario discendente.

Il dolore nell’AR si riteneva fosse periferico e infiammatorio. Tuttavia, anche il dolore centrale può essere importante, i pazienti affetti da AR presentano in genere iperalgesia agli stimoli meccanici e termici in diverse aree del corpo, e non solamente nelle articolazioni infiammate.

I pazienti affetti da AR presentano anche una risposta al dolore dovuto ai valori del TNF (Inibitori del Fattore di Necrosi Tumorale) maggiore rispetto ai controlli. Gli stessi dati sono stati osservati nell’OA, nella quale è stato dimostrato il ruolo sul dolore di fattori centrali. Un piccolo studio ha riportato che i pazienti affetti da OA presentano iperalgesia diffusa secondaria a stimoli meccanici e al calore. Inoltre, per confermare questi dati, studi hanno dimostrato che composti che agiscono sui neurotrasmettitori del dolore centralmente quali la serotonina e la norepinefrina (es, duloxetina, triciclici) sono efficaci nell’OA.

Sulla base di questi risultati, il dato più importanti dell’associazione FM e malattie croniche è il suo riconoscimento al fine di trattarla in modo ottimale. Per esempio, quando i sintomi della FM associata ad un numero rilevante di Tender Points, sono presenti nell’AR, essi non dovrebbero essere automaticamente attribuiti ad una aumentata attività di malattia e non dovrebbe essere prescritte alte dosi di farmaco biologici o di corticosteroidi senza un adeguata valutazione dei TPs e degli esami di laboratorio.

Si può prevenire l’artrite psoriasica?

Articolo pubblicato su: https://www.healthcentral.com/ del giorno 8 maggio 2023 , scritto da Tracy Davenport Ph.D. e revisionato dal dottor Brian LaMoreaux.

La risposta: No, ma ci sono modi per ridurre i fattori di rischio e impedire che la PsA moderata diventi grave. Ecco come.

Per ora, l’artrite psoriasica (PsA) non è una malattia prevenibile. Lo sviluppo o meno dell’artrite psoriasica è determinato da una combinazione di fattori genetici, ambientali e di stile di vita. Gli scienziati stanno imparando continuamente come queste variabili si combinano per causare questa condizione cronica. Tuttavia, ciò non significa che sei totalmente impotente davanti alla malattia. Proprio l’opposto, infatti: quando si tratta di gestione dei sintomi e gravità della malattia, molto è sotto il tuo controllo. Segui i consigli degli esperti per contribuire a rendere la tua vita con l’artrite psoriasica più facile e meno dirompente nella tua vita quotidiana.

Prevenire i sintomi dell’artrite psoriasica

Anche se non possiamo ancora prevenire la PsA, esistono trattamenti e strategie per tenerla sotto controllo. La malattia psoriasica spesso attraversa cicli di sintomi attivi che compaiono per alcune settimane o mesi e poi regrediscono. Questi sono chiamati “razzi” o “riacutizzazioni” di artrite psoriasica.

La fonte di ciò che ha provocato il “bagliore” in primo luogo è indicata come un innesco . Se vuoi ridurre le tue riacutizzazioni, devi determinare i fattori scatenanti che sembrano esacerbare la tua condizione, afferma il dottor Waseem Mir, reumatologo al Lenox Hill Hospital di New York City. Non è sempre facile. “Diverse persone con PsA hanno diversi fattori scatenanti“, afferma il dott. Mir. “Ad esempio, lo stress emotivo, le intolleranze alimentari e i cambiamenti climatici possono causare l’infiammazione dell’artrite psoriasica“. Secondo il Dr. Mir, alcuni degli altri trigger PsA noti includono:

Alcol, Mancanza di sonno, Farmaci come i beta-bloccanti, Obesità, Dieta povera, Saltare o interrompere i farmaci per l’artrite psoriasica, Fumare, Fatica.

Trattamento per l’artrite psoriasica

Il trattamento per PsA non è sicuramente una proposta adatta a tutti e per tutti uguale. E il più delle volte, trovare il trattamento migliore per te è un processo di tentativi ed errori, soprattutto se il tuo reumatologo sta tentando di curare la psoriasi e l’artrite psoriasica allo stesso tempo. L’American College of Rheumatology e la National Psoriasis Foundation hanno pubblicato linee guida per il trattamento dell’artrite psoriasica. Si raccomanda sia il trattamento non farmacologico che quello farmacologico. Le terapie non farmacologiche includono:

Esercizio, Terapia di massaggio, Fisioterapia, Terapia occupazionale, Smettere di fumare, Perdita di peso.

Esiste un’ampia varietà di trattamenti farmacologici per PsA, a seconda della gravità dei sintomi e includono:

Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), Glucocorticoidi, Farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARD), Inibitori del fattore di necrosi tumorale, Biologici, Inibitori della Janus chinasi (JAK).

Ruolo della psoriasi nella prevenzione dell’artrite psoriasica

Detto che non esiste un modo noto per prevenire la PsA, è anche vero che gli scienziati hanno qualche sospetto. Ad esempio, sappiamo che esiste una forte relazione tra psoriasi e artrite psoriasica e che la gravità della psoriasi può essere una previsione del fatto che una persona sviluppi o meno PsA.

Circa il 20-30% di quelli con psoriasi sviluppa artrite psoriasica, anche se il motivo è ancora un mistero. “Gli eventi responsabili della progressione dalla psoriasi all’artrite psoriasica non sono attualmente chiari“, afferma Zhanna Mikulik, MD, reumatologa che dirige la clinica per l’artrite psoriasica presso il Wexner Medical Center della Ohio State University a Columbus. “Ma la gravità della psoriasi e la vaiolatura delle unghie sono segnali dello sviluppo di PsA“.

Il trattamento della psoriasi può prevenire la PsA? Questa è una domanda attualmente oggetto di indagine, riconosce il dottor Mikulik. “Sono in corso diversi studi per valutare se un trattamento altamente efficace della psoriasi possa prevenire o mitigare lo sviluppo di PsA“, afferma. (Nel caso ve lo stiate chiedendo, è anche possibile avere l’artrite psoriasica senza avere la psoriasi , ma non è molto comune.).

La perdita di peso può prevenire i sintomi dell’artrite psoriasica grave?

Perdere peso se stai trasportando chili in più non ti previene o ti cura dall’artrite psoriasica, ma può rendere più facile sopportare il dolore alle articolazioni associato alla malattia. ” L’obesità è associata a una maggiore attività della malattia nell’artrite psoriasica“, afferma il dott. Mikulik. La connessione: il grasso corporeo può promuovere un’infiammazione cronica di basso grado , secondo una ricerca sulla rivista Rheumatology and Therapy . E l’infiammazione è al centro del dolore PsA.

Perdere chili non è mai un’impresa facile, ma anche una piccola quantità di perdita di peso può fare una grande differenza nell’attività della malattia, ritiene il dottor Mikulik. Bonus: gli stessi alimenti che promuovono la perdita di peso possono anche combattere l’infiammazione, inclusi alimenti antinfiammatori come olio d’oliva, verdure a foglia verde, pesce grasso, frutta e bacche e noci.

Oltre a ridurre l’infiammazione, la perdita di peso può anche migliorare l’efficacia dei farmaci per l’artrite psoriasica. Secondo un articolo del 2020 , l’obesità è associata alla diminuzione della potenza dei farmaci PsA, specialmente quando si tratta di agenti del fattore di necrosi antitumorale (TNF).

Il controllo dell’artrite psoriasica può aiutare a prevenire altre malattie

Secondo l’Arthritis Foundation, più della metà delle persone con PsA ha almeno un’altra condizione medica correlata e il 40% delle persone con PsA ha tre o più condizioni di comorbilità. Uno delle più importanti? La malattia cardiaca . “La malattia psoriasica dovrebbe essere controllata per ridurre il rischio di sviluppare malattie cardiache “, sostiene il dott. Morbilità.

Lo stato emotivo per chi soffre di artrite psoriasica

Se hai l’artrite psoriasica, sai tutto sul costo emotivo che questa malattia può richiedere. “Vivere con il dolore può essere deprimente“, afferma il dottor Mir. “Anche i limiti di ciò che puoi fare, e se le tue articolazioni saranno d’accordo, possono avere un impatto.”

In uno studio del 2022 che esaminava l’artrite psoriasica e la salute mentale, la PsA era associata a depressione e maggiore ansia . Secondo gli autori dello studio, la depressione rimane non riconosciuta e non trattata in oltre la metà dei pazienti con psoriasi da moderata a grave. Fortunatamente, ci sono cose che puoi fare per prenderti cura della tua salute mentale mentre gestisci l’artrite psoriasica. Innanzitutto, parla con il tuo medico dei sentimenti di ansia o depressione. “Alcuni pazienti ti faranno entrare in ciò che stanno vivendo, mentre altri lo nasconderanno“, afferma il dott. Mir. Rimanere in cima al trattamento dell’artrite psoriasica per ridurre al minimo i razzi può anche aiutarti mentalmente. Il dolore alle articolazioni insieme alla rigidità e alla ridotta gamma di movimento possono logorare mentalmente.

E infine, entrare in contatto con altri che vivono con l’artrite psoriasica può aiutarti a sentirti compreso, soprattutto quando si tratta di affrontare la natura irregolare della condizione. Rimanere fisicamente attivi e mangiare bene sono altri due strumenti per aiutarti a mantenere il tuo umore costante quando hai a che fare con l’AP. Non c’è niente di facile nel convivere con una malattia che non può essere né prevenuta né curata, ma con il giusto approccio puoi imparare a gestire i sintomi e mantenere la qualità della tua vita.

Ho capito una cosa oggi. La malattia cronica è fonte di confusione.

Non fatevi ingannare dalle apparenze

Sono stata una sportiva da giovane, ho praticato lo judo, ero anche brava, sono arrivata, solo con gare agonistiche alla cintura nera poi mi sono dovuta fermare. Motivi economici. Mi piacciano tutti gli sport, in particolare le arti marziali ma, non disdegno gli altri sport: il calcio, l’automobilismo, il motociclismo, il tennis e altri. Seguo il calcio quando gioca la nazionale italiana e quando il campionato di serie A diventa interessante se in vetta non ci sono le solite squadre “blasonate” o quelle che hanno sempre rigori a favore anche quando non ci sono.

Domenica 7 maggio 2023, con qualche giornata di anticipo la squadra della mia città, il Napoli, era già campione d’Italia, terzo scudetto, giocava in casa con una squadra che io ho nel cuore, la Fiorentina. Firenze è la città dove vivo, non si può non tifare viola quando abiti a Firenze. Così per gioco, mi sono ricordata che in casa, in qualche cassetto, avevo una bandana di colore azzurro con il simbolo della mia squadra del cuore, il Napoli. Ho indossato la bandana e ho chiesto a mio marito di scattarmi una foto, volevo condividerla con i miei amici. Così ho fatto.

A parte le congratulazioni per la squadra di calcio, i sorrisi, i complimenti che hanno fatto piacere, ho letto però il commento alla foto di un collega che, al momento, mi è sembrato fuori luogo, non mi era piaciuto ma, non ho risposto. Quel commento però, mi “frullava” in testa.

Cito il commento: “Dì la verità Rosaria, ti è anche passato qualche malanno!!!!!” Così, senza nessuna emoticon con sorriso, stupore, meraviglia o incredulità, nulla.

Sono sicura, sono certa, che tutti voi potreste dire di conoscere qualcuno con una malattia cronica, ma quanti conoscono intimamente i dettagli della vita quotidiana di qualcuno che soffre?

A questo collega è bastato vedermi sorridere in una foto, quella in questo post, per supporre che qualche mio malanno fosse sparito.

Il termine malattia cronica sta ad indicare qualcosa che non passa mai. Le mie malattie purtroppo sono tutte croniche, per alcune di queste non esiste una cura, per altre si ma, non è detto che su di te funzionino. Infatti, considerato la mia resistenza ai farmaci, non è stata ancora individuato il farmaco per la mia Artrite Psoriasica e quest’ultima è una malattia degenerativa, se non la fermi, ti distrugge.

Cosa dire di più. Non auguro a nessuno di ammalarsi di una malattia cronica. Io credo che la mancanza di esperienza, di sensibilità e la visione contrastante della normalità sono probabilmente validi motivi per cui le persone non comprendono la malattia cronica e anche quella invisibile. Sebbene alcune persone sembrino avere compassione anche senza capire, e vi ringrazio anticipatamente per questo, però non è da tutti.

Credo anche che ci siano motivi validi per non essere creduti.

Troppe persone con malattie croniche ed invisibili si sentono alienate dalla società, diffidate dal sistema medico ed esauste dal sentire il bisogno di convincere amici e familiari che la lotta, la sofferenza è reale. Purtroppo, lo vedo troppo spesso nei miei amici malati come me.

Quindi, se hai una malattia cronica, spero che troverai una comunità, un gruppo e il supporto di cui hai bisogno per sentirti compreso.

Se non hai una malattia cronica e incontri qualcuno che ce l’ha, la cosa più importante che puoi fare, anche se non ci capisci, è crederci.

Grazie

Rosaria Mastronardo

Le “amiche” invisibili.

Hai la fibromialgia ma, non solo quella.”

Le parole che hanno cambiato completamente la mia vita.

Vuoi dire che non è una malattia terminale? Oh bene, perché fino a quel momento pensavo davvero di morire! Aspetta cosa? Ma è solo una malattia? Si, è cronica, significa per tutta la vita. Così un giorno mi sono ammalata e mi ci è voluto molto tempo per accettare il fatto che non sarei mai guarita. Mai. Quindi, non è terminale, ma la mia vita come la conoscevo una volta era finita, non ero più la stessa.

Con la fibromialgia, soprattutto all’inizio, non mi sentivo viva, vedevo svanire il mio futuro, i miei sogni, si era preso tutto, tutto il mio respiro. Quella “bestia” non è venuta da sola. NO! È come un soldato in guerra, arriva con le truppe. Una dietro l’altra, nel corso di circa otto anni, una “schiera di soldati”: Artrite Psoriasica, Psoriasi, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteocondrite di 4° livello alle caviglie, Spasmofilia, Artrosi mani e piedi e non è questo l’ordine. Alcune di queste malattie prevedono qualche piccola esenzione, le prime due, per tutte le altre, compresa la Fibromialgia, NON C’È’ NULLA, si paga tutto ed inoltre, non essendo neppure “considerate” dal SSN devi continuare a lavorare senza “sconti”, riduzione dell’orario, riposo anticipato, etc, etc.

Se pensate che queste condizioni siano le peggiori, vi sbagliate, non lo sono. È un’orribile condizione di dolore cronico che colpisce i miei muscoli, i nervi, articolazioni e persino i tendini. Emicrania, sciatica, sensibilità al caldo e al freddo e intorpidimento. La lista potrebbe continuare all’infinito. Non mi sentivo normale da anni, non posso essere neppure toccata. Anche il graffio più leggero fa male ed è fastidioso. Indosso sempre abiti, pantaloni prevalentemente, larghi, perché arrivano giorni che anche i vestiti che indosso fanno male, bruciano la pelle. La depressione e l’ansia sono le “cuginette” di chi vive questa vita con questa “bestia” e le sue “truppe”. E mentre penso che sia un dato di fatto sviluppare ansia e depressione con tutte queste malattie croniche, qualche medico, afferma che sono queste che scaturiscono le altre. Mentirei a me stessa se dicessi che non ce l’ho perché provate entrambe.

Alla malattia cronica nella mia vita, non ci pensavo, credo che nessuno si aspetta mai di ammalarsi e scoprire che non migliorerà mai. La parte più difficile per me è stata quella di realizzare di non essere in grado di prendermi cura di me stessa, della mia vita, di perdere il controllo di tutto. Non mi riconoscevo nemmeno più: chi era quella persona nello specchio?

Forse ho tralasciato qualcosa. Di sicuro, perché quando si è particolarmente stanchi, quando quella stanchezza cronica prende il sopravvento sento un po’ della famosa “nebbia fibrosa” o “fibro-fog”. Sono sincera, nel mio caso, non è stata molto presente ma, ultimamente, l’avverto di più e per come sono, per come ero, è bene dire, per la mia “vecchia me”, è la cosa più fastidiosa che possa provare.

Non riesco nemmeno a parlare con i dottori senza sentirmi come se stessi mentendo. Devo portare con me una lista, altrimenti non ricordo nemmeno perché sono lì, e nemmeno le mie stesse parole.

Ormai, faccio liste per tutto, non solo per la spesa e per i medici ma anche per quello che devo fare durante il giorno. Faccio così. Sulla scrivania nel soggiorno ho dei foglietti ritagliati a questo scopo, ogni volta che ricordo quella cosa che volevo fare ma che poi ho dimenticato, la scrivo immediatamente, come si dice: “A mali estremi, rimedi estremi” o se preferite “extremis malis, extrema remedia“.

I medici?

Quelli poi, non ascoltano nemmeno, trattano i pazienti con malattie croniche come se fossero pazzi, bugiardi e lì per avere la droga. È così ridicolo. È divertente, in un certo senso. A volte mi guardano come per dire, “Bene, cosa ti aspetti che faccia per te?” Che vuoi che ti dica caro dottore, non ti posso aiutare come, del resto, non puoi fare tu, almeno fai una faccia di quello che capisce e comprende, non quella a cxxxx di cane.

Cosa ti aspetti che faccia per te?” Non guardarci e dirci che la fibromialgia non è reale dopo anni di lotta e di essere a malapena in grado di muoversi, mangiare, respirare e vivere. Non dirci di fare esercizio quando abbiamo provato a farlo! Non raccontateci “chiacchiere”, diteci semplicemente la verità. Vogliamo sentirci dire che è difficile vivere con una malattia cronica figurarsi con più di una e che tu, medico, ti adopererai in tutti i modi per alleviare il nostro dolore avendo cura di non danneggiare il resto, che non sponsorizzerai associazioni e strutture per farci fare quella ginnastica “miracolosa” che fa bene, hai giurato ricordi? Ricordati della dignità del malato, ricordati del rispetto della sua vita, della diligenza nell’esercizio della professione, dei doveri inseriti nel Codice che ogni medico è tenuto a rispettare.

Non posso affrontare il mio passato, i ricordi della mia vita, di quando ero sana. Ho dovuto affrontare un processo di lutto completo con tutta questa faccenda e mi sono davvero stancata di dover spiegare a tutti cosa c’è “che non va in me“.

Oggi la mia vita è cambiata. Mi sono dedicata all’auto aiuto, facilito due gruppi di auto aiuto sulla fibromialgia, leggo, scrivo, continuo a lavorare. Sono mamma e moglie. Quando posso, esco. Non sono sola però, nella maggior parte delle volte sono in compagnia delle donne che fanno parte dei gruppi che facilito, amiche che comprendono bene le mie difficoltà. Scrivo sul mio blog e poi condivido sui vari Social Network. Devo concentrarmi su quello che sto facendo oggi e non pensare al domani, vivere giorno dopo giorno, cercando di non farmi soccombere dai tanti pensieri negativi.

Ieri mi sono sentita orgogliosa di me. Sapete perchè? In una settimana, sono riusciuta a pulire da sola, contro il volere di mio marito, sempre preoccupato per me, 6 finestre della mia casa. Erano settimane che le guardavo così sporche ed ero desiderosa di volerle pulire ma, ogni volta che ci pensavo, ero già stanca. Un giorno, inizio e finisco dopo una settimana. Sono 6 finestre da 60×130. Oggi sono pulite e sono riusciuta a farcela da sola. La mia vita oggi è così. Faccio quello che mi sento di fare, quando il mio corpo mi fa capire che posso. All’inizio era pesante sopportare tutto questo, una volta che capisci che non puoi fare quello che facevi prima, ti senti meglio e persino orgogliosa di essere riusciuta a portare a termine quel lavoro. Vi confesso però che, nonostante il lungo tempo per realizzare questa cosa, mi sono riempieta di cerotti medicati, ho comprato quelli colorati, così è stato anche divertente coprirsi di cerotti colorati.

Per finire. Penso seriamente che chi vive con malattie croniche e degenerative deve trovare un supporto. Il “proprio supporto”; il supporto è soggettivo e può essere diverso dagli altri. Bisogna sforzarsi di trovare quello che fa bene a te in quel momento. Non seguire l’esempio di altri, ascoltati e cerca di capire cosa è giusto per te. Sento che questo è molto importante perché per alcune persone con malattie croniche, la mancanza di supporto e comprensione porta al suicidio. La nostra malattia è invisibile solo se lasciamo che sia. Educare, sperare e non smettere mai di pensare che un giorno una cura ci sarà.!

Rosaria Mastronardo

Incertezza, insicurezza e dubbi che si sono insinuati in me, negli anni, dopo la diagnosi di fibromialgia.

Una cosa che mi sorprende continuamente quando si tratta di fibromialgia, è l’insicurezza. Sono facilitatrice di due gruppi di auto aiuto da diversi anni, e ho sempre sentito tutti coloro che partecipano ai gruppi che facilito, affermare che i tanti professionisti medici consultati lungo il percorso di diagnosi e “non cura”, ancora oggi, nonostante la letteratura immensa a disposizione, non credono che il nostro dolore sia reale. In alcuni casi nel racconto sento emergere che una parte, tutt’altro che irrisoria, di questi “luminari”, mette addirittura in dubbio l’esistenza della fibromialgia come vera e propria malattia fisica, ed afferma in maniera più o meno palese, che si tratti invece di un insieme di sintomi provocati da malattia psicosomatica, per cui psichiatrica. L’insicurezza, l’incredulità e la diffidenza non caratterizzano solo l’atteggiamento dei medici ma anche quello dei nostri amici e familiari, per non parlare poi del luogo di lavoro. E’ un continuo, è un tormentone che ci penalizza e ci abbatte, ci avvilisce ogni giorno.

Penso che l’insicurezza e l’incertezza da parte dei medici sia sicuramente “frutto” delle poliedriche teorie sull’origine della malattia, tanto che si sono sviluppate, nel tempo, decine di correnti di pensiero al riguardo, facendo sì che idee e preconcetti si moltiplicassero senza limiti nella confusione generale. È risaputo che non esiste ancora un test ematico che possa rilevare, tramite marcatore specifico, che ci si trovi inconfutabilmente in presenza di Fibromialgia, e nemmeno esiste un esame diagnostico che attesti che noi siamo affetti da questa malattia.

Il medico, spesso un reumatologo, ti rivolge qualche domanda sul dolore che provi, e tu racconti che lo senti martellante, sordo, a tratti insopportabile. Se l’uomo che ti sta davanti con il suo bel camice bianco ne ha voglia, allora si alza dalla scrivania, ti tocca in alcuni punti del corpo, e se toccandoli reagisci rientrando in “certi canoni”, emette la fatidica diagnosi: fibromialgia, punto. Punto? Sì, punto. Perché tutto finisce lì, nonostante in scienza e coscienza ed anche in base ad un tacito accordo, quasi un protocollo, prima di formulare detta diagnosi, l’uomo con il camice dovrebbe indagare per cercare di escludere tutte le altre malattie che possano avere identici sintomi, hai visto mai che si possa prendere in tempo una malattia diversa da quella del sacco contenitore, quello con il marchio Fibromialgia, dove finiscono tutti coloro che non avranno mai una cura. In pratica, i sintomi di malattia che tu riferisci di provare bastano a far scattare nello specialista il desiderio di fermarsi, per risparmiarsi le prescrizioni di altre indagini. Ciò che spinge il medico a refertare la diagnosi è la presenza di alcuni sintomi, fra quelli annoverati in un lunghissimo elenco, genericamente da associarsi, per convenzione, alla fibromialgia. Quindi è l’appartenenza di un sintomo a questo elenco a scatenare una diagnosi, quasi sempre molto affrettata, e non un esame di laboratorio.

Altra cosa sono i parenti, amici e datori di lavoro che mettono costantemente in dubbio il tuo provare dolore, il tuo stare male, la tua stanchezza cronica, la tua affaticabilità, la tua scarsa concentrazione. Ecco allora che nascono tutti gli epiteti più cattivi e ingiusti. Sei una fannullona, non hai voglia di fare nulla, sei depressa, vatti a fare una camminata, fatti una vacanza, trovati un buon compagno, e vedrai che ti passa, etc, etc.

Ci isoliamo, ma al tempo stesso siamo evitati, fino al punto di essere completamente emarginati, rischiamo di essere licenziati da un datore di lavoro che guarda la produzione e che se ne infischia della tua fatica quotidiana nel gestire tutta la devastazione del tuo corpo ad opera di una malattia subdola, che quando ti prende sei sua per sempre, avvolta nelle sue spire sempre più strette. Per noi la vita diventa l’inferno. E’ un cane che si morde la coda, non hai scampo. Soffri per il dolore che nessuno vede, e in più sei anche stigmatizzato.

Tutto questo l’ho vissuto in prima persona e l’ho rivissuto ascoltando nei gruppi di auto aiuto, le testimonianze di altre/i nelle mie stesse condizioni. Quelle testimonianze erano copie conformi della mia situazione di malattia e sofferenza, uguali identiche.

Qualcuno riesce ad uscire da questo impasse, altri no, ma come biasimare questi ultimi. Noi siamo esseri umani e non siamo tutti uguali, ogni soggetto reagisce in modo diverso agli stimoli esterni, fisici e patologici, e le cure vengono sopportate da ciascuno in modo tutt’altro che standardizzato. È il motivo per cui a contatto con una certa sostanza c’è chi va in anafilassi e chi la tollera tranquillamente. Dovrebbe essere normale saperlo, per un medico, ma non è sempre così. Probabilmente perché molti medici si sono talmente abituati ad avere nel cassetto della loro scrivania il manuale dei protocolli al posto del giuramento di Ippocrate, che si sono disabituati al ragionamento preferendo agire prevedendo una loro tutela giuridica in caso nascesse una controversia legale nei loro confronti a causa di un errore medico.

Tutto quello che ho descritto, immaginate, per me è iniziato nel 2015, anno della diagnosi di Fibromialgia.

Premetto che la “sentenza” mi venne fatta da un neurologo. Fui colpita, in quel momento orribile della mia vita, da forti parestesie alle gambe. Non avevo sensibilità dal bacino in giù, le mie gambe non erano più fatte di carne, ma dure come cemento, al punto che non camminavo più e mi trascinavo letteralmente. Dopo circa un anno passato in quel modo, il neurologo emise il fatidico verdetto: “Fibromialgia”. Nella vita di chi riceve questa diagnosi, esiste una “vita prima” e una “vita dopo” la diagnosi, completamente stravolta rispetto alla prima. Da quel momento ad oggi, i vari medici che ho consultato mi hanno prescritto e consigliato di tutto, ed anche l’esatto contrario di quel tutto. Consigliato e prescritto a seconda della teoria del momento. Hanno seguito alla lettera tutto ciò che i “famosi” protocolli indicavano per il trattamento del paziente con fibromialgia. Per cercare di mascherare o attenuare il dolore, non hanno prescritto altro che farmaci presi a prestito da altri protocolli di cura, e che servirebbero per trattare ben altro, visto che, come noto, non c’è cura, non c’è nulla che possa risolvere i sintomi della fibromialgia.

I farmaci che di prassi si prescrivono in quest’ambito, poiché non curano ma cercano solo di tenere a bada un sintomo senza risolverne la causa, non impediscono a quest’ultima di continuare imperterrita a manifestarsi tramite il dolore, ed il dosaggio del farmaco, creando assuefazione, dev’essere aumentato sempre più, fintanto che anziché essere efficace, crea solo danno e dev’essere sospeso. Si prova un altro farmaco, e l’epilogo è lo stesso di quello precedente. Se paragonassimo banalmente la malattia all’acqua che sgorga dal rubinetto senza poterne chiudere il flusso, e fingessimo che il tappo del lavandino fosse il farmaco, ci accorgeremmo che il tappo non potrà nulla se l’acqua continuerà a scorrere nel lavandino, che si riempirà fino a far fuoriuscire l’acqua che continuerà imperterrita a scorrere fino ad allagare prima la cucina (un organo), e poi la casa (l’intero corpo umano).

A dimostrazione dell’immenso danno che provoca una delle regole stabilite nel protocollo di diagnosi della fibromialgia, che impone al medico, dopo la diagnosi, di non prescrivere più alcun accertamento diagnostico, nel corso di questi anni, in via del tutto accidentale, mi sono state diagnosticate via via altre patologie, croniche ed autoimmuni. Farò l’elenco, attenzione però, non a scopo vittimistico, lo farò perché mi sono sorti dei dubbi, dubbi che si rafforzano anche con il sentire, conoscere storie come la mia tramite il racconto di altri malati che si sono trovati nelle mie stesse condizioni, cioè aver avuto la diagnosi, il marchio “fibromialgia”, ed aver trovato, da quel momento in poi, un muro di gomma di fronte ad ogni richiesta di aiuto, perennemente inascoltati, marchiati come pazienti con diagnosi di malattia incurabile o immaginaria. Mentre subivo tutto questo, covavo ben altre malattie dentro di me, che purtroppo si sono evidenziate quando ormai non potevano più essere ignorate nemmeno dal più stolto degli uomini con il camice bianco.

Ecco l’elenco, non in ordine di diagnosi medica:

Fibromialgia, Artrite Psoriasica, Psoriasi, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteocondrite di 4° livello alle caviglie , Spasmofilia, Artrosi mani e piedi.

Quali sono i dubbi che oggi mi assalgono?

Sono fibromialgica e tutte queste malattie sono correlate ad essa?

Non sono fibromialgica e quel giorno, il giorno in cui le mie gambe erano diventate di cemento e avevo perso la sensibilità, non erano altro che una sorte di “campanello di allarme” di tutto quello che poi è venuto dopo?

Come sapete tutti, non sono un medico, non ho studiato medicina, ma da malata mi pongo tante domande, ragiono tanto su tutti questi anni, 8 lunghissimi anni passati con dolori sempre più forti, anni in cui ho dovuto necessariamente gestire e sopportare incomprensioni, accrescere consapevolezza e coltivare pazienza, in mezzo a visite, esami e tanto tanto altro che non mi va di raccontare, ma che purtroppo ho vissuto. Sono giunta ad una conclusione e ripensando ad un proverbio che recita “E’ un gran medico chi conosce il suo male” ho maturato l’idea che la fibromialgia sia solo un campanello d’allarme, un’avvisaglia, e come tale sia la punta dell’iceberg di altre malattie.

E non essendo un medico, da anni parlo e scrivo solo per raccontare la mia esperienza personale, e quando nei gruppi che facilito, ascolto le storie di persone che soffrono come me, mi accorgo che in maniera simile a me, negli anni della loro vita di “fibromialgici” hanno sviluppato ben altre malattie, molte di esse di origine autoimmune.

Quindi ciò che mi domando sempre più insistentemente è: la Fibromialgia esiste come malattia a sé stante, oppure è una sindrome vera e propria, un insieme di sintomi che si manifestano in presenza di altre malattie che per comodo non vengono più ricercate, coperte dal mantello Fibromialgia, lasciando che esse stesse progrediscano fintanto che non esplodono nella loro gravità?

Sono dubbi legittimi, di una malata cronica che non ne può più di sopportare il male che non passa mai, e l’immobilismo, l’ignoranza, la mancanza di empatia e di ascolto.

Rosaria Mastronardo

I sintomi della fibromialgia peggiorano nel tempo?

N.B.

Tutte le informazioni mediche incluse in questo testo si basano su esperienze personali. Per domande o dubbi riguardanti la salute, si prega di consultare un medico o un professionista, SEMPRE.

La fibromialgia è una condizione progressiva?

È una domanda controversa che circola frequentemente nella comunità dei fibromialgici. Molti professionisti medici dicono di no, ma molti pazienti tendono a non essere d’accordo. Questo articolo non intende “prendere una posizione“, ma piuttosto avviare una discussione condividendo sia la ricerca che le esperienze vissute di chi soffre di fibromialgia.

Innanzitutto, è importante chiarire esattamente cosa significa “progressiva“. Secondo la National Library of Medicine degli Stati Uniti , una malattia progressiva è definita come: “Una malattia o disturbo fisico il cui decorso nella maggior parte dei casi è il peggioramento, la crescita o la diffusione della malattia.” Le malattie possono essere rapidamente progressive (in genere da giorni a settimane) o lentamente progressive (da mesi ad anni). Diverse malattie che sono state ufficialmente riconosciute come progressive sono la fibrosi cistica, l’artrosi, il morbo di Alzheimer e alcuni tipi di sclerosi multipla. In breve, una malattia progressiva peggiora nel tempo e fa sì che la persona peggiori dal punto di vista della salute e della sua capacità funzionale.

Anche se molti pazienti con fibromialgia hanno dichiarato che i loro sintomi sono peggiorati nel tempo, molti professionisti medici ritengono che la fibromialgia non possa essere definita una condizione progressiva, poiché non segue sempre la stessa traiettoria per ogni paziente.

Alla domanda se la fibromialgia è progressiva, il dottor Kevin Fleming della Mayo Clinic Fibromyalgia and Chronic Fatigue Clinic ha dichiarato al National Pain Report :

In breve, no. La fibromialgia (FM) è considerata un disturbo dell’elaborazione del dolore nel sistema nervoso centrale, in particolare nel cervello. I sintomi della FM aumentano e diminuiscono e possono progressivamente peggiorare in alcuni pazienti, ma la FM non è progressiva nel senso medico che è non deformante, non degenerativa e non fatale (a differenza, ad esempio, del lupus o del morbo di Parkinson).

Più a lungo si hanno sintomi di dolore, maggiore è stato il dolore e più sono presenti anche sintomi fisici non dolorosi, più è probabile che i sintomi rimangano cronici. Ma i sintomi possono e migliorano, consentendo la normale funzione quotidiana, anche se i sintomi del dolore non si risolvono mai completamente. Sebbene l’origine della FM rimanga poco chiara, la fibromialgia è probabilmente in parte una risposta a fattori ambientali in individui geneticamente predisposti“.

Il Dr. Richard Podell invece, del The Podell Medical Practice nel New Jersey ha aggiunto:

Per la maggior parte delle persone con fibromialgia moderata o grave, ci sono periodi migliori e peggiori, ma di solito non è una progressione importante. Per altri si verifica la progressione. Per questo motivo il medico dovrebbe controllare se vi sono altre condizioni coinvolte nel peggioramento, ad esempio diagnosi come Lyme, problemi di sonno, depressione, dischi spinali, ecc.

Gli studi hanno dimostrato che quelli con fibromialgia possono sperimentare sintomi fluttuanti per tutta la vita. È possibile che le condizioni di una persona diminuiscano, quindi migliorino e così via, ed è anche possibile che le persone affette da fibro sperimentino periodi di remissione. Ognuno è diverso, quindi ne consegue che non esistono due persone che condividono lo stesso identico viaggio con la loro condizione.

Ma anche se molti professionisti medici potrebbero non credere che sia corretto classificare la fibromialgia come progressiva, ciò non significa che siano tutti contrari all’idea che i sintomi della fibromialgia possano peggiorare nel tempo per alcune persone. Alcuni medici ritengono che una progressione dei sintomi possa essere attribuita a fattori quali:

  • Sintomi non ben gestiti;
  • Alcune cause sottostanti (sono necessarie ulteriori ricerche);
  • Non essere in grado di essere auto-sufficiente a causa del dolore;
  • Mancanza di educazione sulla condizione;
  • Condizioni di comorbidità;
  • Fattori di rischio come stress cronico, depressione o disturbi del sonno.

La mia opinione personale che dettaglierò, nasce dalla mia esperienza con la FM. Almeno così sembrava essere la diagnosi dei medici, la prima volta che fui portata al Pronto Soccorso nell’anno 2015, per parestesie alle gambe.

Chi ha letto la mia storia con questa “bestia”, così ho sempre definito la FM, conosce bene cosa è accaduto dal 2015 ad oggi. Mi hanno visto tanti medici, reumatologi, neurologi, ortopedici, algologi, immunologi, tantissimi; ho fatto analisi di ogni tipo, farmaci a quantità smisurata che, oggi mi hanno reso farmaco-resistente, non si placa il dolore, il mio dolore, nessun antidolorifico se non iniettato in vena ma, anche quello, svanisce dopo appena 24 ore; ho assunto anche cannabis terapeutica, Bedrocan con 19% di THC, mi ha quasi ucciso; ho avuto dopo circa 9 mesi, un episodio di sincope. Oggi, nel 2023 come stanno le cose? Sono sempre fibromialgica? La malattia, nel mio caso, è peggiorata nel tempo?

Come nel 2015 la mia fibromialgia è sempre uguale; I tender points (o punti tender, punti fibromialgia o ancora tender points da fibromialgia) che ricordo, sono aree di dolore localizzato appartenenti a muscoli, tendini, legamenti, nelle giunzioni mio-tendinee (strutture “di passaggio” tra tendini e muscoli) o a livello delle borse, quando il tender points è presente, ovvero il paziente riferisce dolore alla palpazione di tale punto, lo specialista, spesso un reumatologo, considera positiva la presenza della FM, nel mio caso, nel 2015 questi tender erano 18 e 18 sono oggi nel 2023. Qua l’è la differenza tra il 2015 e il 2023 di questa manovra che, oggi il medico che mi segue, controlla sempre? L’intensità. Per me, quel toccare il punto dolente, è diventato INSOPPORTABILE. E’ talmente forte che il dolore arriva al cervello, è fa malissimo. In questi 8 anni, non c’è solo questo forte, insopportabile dolore causato dalla “manovra” dei tender points, c’è molto altro che, voglio sottolineare, non è emerso dal medico che in quel momento, mi seguiva ma, per casualità.

In alcuni casi, non si è voluto accertare, si leggete bene. NON SI E’ VOLUTO accertare la presenza di una malattia cronica e degenerativa solo perché, il medico di turno, si atteneva ad un protocollo vecchio, obsoleto, sorpassato, superato, si perché io risultavo essere negativa agli esami ematici (presenza di anticorpi, proteine deputate alla risposta immunitaria) peccato che il maledetto medico ha ignorato anche tutte le RM, ecografie ed RX che mostravano chiaramente gonfiore a livello articolare, alterazioni a livello ungueale, dolore ai talloni e caviglie, gonfiore delle estremità come caviglie, ginocchia e gomiti, tendini di spalle e caviglie lesionati, cartilagine assente e persino un buco nell’osso della caviglia, neppure queste chiari ed evidenti segnali hanno spinto questo maledetto dottore a non volere accettare/capire/ammettere che io avessi anche l’artrite psoriasica perché siero negativa. Ad oggi mi domando ancora se questo medico ignorasse che un paziente può avere l’artrite psoriasica ed essere siero negativo. Nell’ordine, da quel 2015, hanno della diagnosi di FM, sono in queste condizioni croniche, invalidanti e devastanti per me ma, non solo, per tutta la mia famiglia che mi ha vista, letteralmente, cambiata:

Fibromialgia;

Artrite Psoriasica;

Tiroidite di Hashimoto;

Sindrome di Reynaud;

Osteoartrite di 4° livello alle caviglie che ha danneggiato gradualmente cartilagine e tessuti circostanti, tanto da non riuscire più a camminare;

Neurolisi del nervo ulnare bilaterale, già operata una volta al braccio sinistro;

Spasmofilia;

Psoriasi;

Tendinosi spalle, entrambe;

Conflitto subacromiale con lesione tendine sovra-spinoso entrambe le spalle;

Formazione di tipo cistico spalla sinistra che deforma il sovraspinato già di per se lesionato;

Sindrome del tunnel carpale bilaterale.

Per ritornare al quesito di questo documento: I sintomi della FM possono peggiorare nel tempo? Io rispondo come ha risposto il Dr. Richard Podell del The Podell Medical Practice nel New Jersey:

Per la maggior parte delle persone con fibromialgia moderata o grave, ci sono periodi migliori e peggiori, ma di solito non è una progressione importante. Per altri si verifica la progressione. Per questo motivo il medico dovrebbe controllare se vi sono altre condizioni coinvolte nel peggioramento”.

Nel mio caso c’erano, eccome se c’erano ma, non sono state considerate. Sono state totalmente ignorate, tanto da rendere la mia vita, solo dolore. E’ una NON VITA, questa mia.

Siete liberi, se volete, di raccontare la vostra esperienza.

Rosaria Mastronardo

L’araba fenice

Questa è la mia storia, una parte della mia vita vissuta con una malattia cronica ed invalidante. L’ho scritta in pieno periodo del lockdown. Oggi, nel 2023, non siamo più chiusi in casa e il virus SARS-CoV-1 è diventato una semplice influenza, così dicono gli scienziati.

Ricordo che era il 31 dicembre 2019 e la Cina comunicava la diffusione di un “cluster” di polmoniti atipiche di origine virale. Da quella data, panico nel mondo. C’è chi minimizzava e chi enfatizzava. Alcuni Stati, come l’Italia, senza un Piano di Emergenza per una Pandemia, ci chiudono in casa ed io per non annoiarmi, oltre a lavorare da casa, mi mettevo a scrivere. Pensai che sarebbe stato interessante scrivere un libro sulla vita di chi vive con una malattia cronica, attraverso le testimonianze delle dirette interessate, cioè di chi, tutti i giorni, con i figli, con un lavoro o senza, vive, si fa per dire, con una malattia cronica ed invalidante, non riconosciuta dall’Italia ma definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come una malattia reumatica inclusa, nello stesso anno, 1992, nella decima revisione dello International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems con questo codice: ICD-10, codice M79-7, entrata in vigore poi il 1° gennaio 1993. Mi hanno sempre fatto credere che io avessi la fibromialgia per poi scoprire, in seguito, per puro caso, di non avere solo quella ma, altro, molto altro di più. Di quello che scoprirò dopo la fibromialgia, ho intenzione di raccontarlo in seguito, si comincia da qui, dalla Fibromialgia.

La mattina è sempre più difficile alzarsi: è durissima, ma devo lavorare. Non posso ancora andare in pensione: sono ancora troppo giovane secondo i regolamenti.

Compirò 61 a luglio del 2023, ma anche se lavoro da tanto tempo non ho i contributi sufficienti che mi permetterebbero finalmente di godermi un po’ di riposo.

Ho sempre contratto problematiche di salute da piccola. All’età di tre anni, sono stata operata alle tonsille perché non respiravo bene: mi hanno levato anche le adenoidi. Tra i dodici e i quindici anni ho accusato i primi mal di testa. Mio padre, comprensivo, mi portò da numerosi medici.

Per alcuni di loro, le mie condizioni erano dovute allo sviluppo del menarca precoce, sviluppato a dieci anni. Più tardi ho avuto problemi di vista, ed ho messo gli occhiali: certamente il tutto non soddisfaceva la mia famiglia che si adoperava a farmi fare più consulti per vedermi stare meglio ma poi altri problemi si ripresentavano. All’età di diciotto anni, mi rimossero dei polipi all’interno del naso perché avevo sempre dei forti raffreddori che duravano mesi. Forse poca cosa rispetto a problemi più gravi ma, in ogni modo, si andava avanti si sopportava una cosa dopo l’altra. Ero giovane e, vuoi l’età, vuoi qualche soluzione provvisoria, la mia vita scorreva così.

Nel 1985 mi sono sposata e sono andata a vivere in un’altra città. Sono nata a Napoli, sono una donna del sud e con mio marito mi sono trasferita in Toscana. Per quindici anni ho vissuto in provincia di Arezzo ma poi ci siamo trasferiti a Firenze: vivo in questa Regione ormai da quasi quaranta anni. Nel 1992 nasce il mio unico figlio, Davide, con parto cesareo.

Dal 1985 fino ai primi anni del ‘90 ho avuto problemi alla schiena. Discopatie, ernie che mi hanno portato forti dolori che risolvevo, quando mi era possibile (economicamente parlando) sia con esercizi inerenti alla ginnastica posturale sia con massaggi: quando i dolori erano insopportabili ricorrevo ad antidolorifici con prescrizione medica.

Inoltre come se non bastasse emersero problematiche di cefalee, che si presentavano e continuano a presentarsi frequentemente, spesso anche costringendomi a far riferimento al centro specializzato di un noto ospedale della città. Dopo la maternità, questa problematica è incrementata e non è mai andata via del tutto.

Iniziano poi i problemi allo stomaco. Gastriti, ulcere, mucosa di Barrett , problemi che mi costringono ancora oggi a gastroscopie da fare una volta all’anno o quando il gastroenterologo lo consiglia.

Non basta: analisi e rettoscopia mi diagnosticano il colon irritabile da stress.

Nell’anno 2016 subisco un intervento al braccio sinistro per compressione del nervo ulnare, fui costretta perché non avevo più l’uso del braccio.

Precedentemente ho avuto problemi anche alle spalle, soprattutto quella destra, ed oggi anche quella sinistra: per l’assottigliamento di un nervo, il reumatologo da me consultato voleva intervenire chirurgicamente.

Dopo essermi informata tramite colleghe col medesimo problema e constatato che, nonostante l’operazione, nessuna di loro aveva riscontrato miglioramenti, decisi di desistere. Ancora oggi ho fortissimi dolori.

Nel 2015 il mio primo contatto con la fibromialgia.

Iniziai a non sentirmi bene: ero particolarmente stanca e pensavo fosse influenza, oppure la stanchezza della mie frenetica routine.

Mi facevano male le gambe e facevo fatica a camminare: dolori ovunque.

Pensai ad un virus influenzale e presi il paracetamolo. Andai avanti così per qualche tempo ma i dolori aumentarono a tal punto che mi accorsi di non avere più sensibilità dal bacino in giù.

Purtroppo ricordo bene quel periodo, perché fu l’anno della tesi di mio figlio. Strano vero? Tuo figlio, sempre andato bene a scuola, borse di studio, premi, soddisfazioni enormi: arriva il giorno della laurea e tu sei più felice del solito, sei si stanca ma felice perché vedi realizzare un sogno, uno dei bei sogni del tuo ragazzo e di tutta la famiglia. Era il 1 dicembre del 2015: non posso dimenticare quello che è avvenuto dopo.

Mi portano così al pronto soccorso. Quel giorno lo ricordo bene. Avevo paura, tanta paura. Mi sottopongono a numerosi esami ma fortunatamente sono tutti buoni; gli stessi medici che mi visitano non sanno spiegarsi quei sintomi. Alla fine, il medico di turno mi disse che mi avrebbe fatto visitare da un neurologo e fece lui stesso le carte per affidarmi a questo specialista.

Fui fortunata: mi affidarono al primario di neurologia di quella struttura. Intanto la mia paura aumentò insieme ai miei dolori: quella sensazione di non avere sensibilità, quelle scosse che avvertivo quando mi toccavo le gambe erano sempre li : sentivo le gambe pesantissime come se fossero di cemento.

Passano 9 mesi tra esami di tutti i tipi, risonanze al cervello, radiografie, ecografie, esami ematici di tutto e di più. Nel frattempo perdo i capelli. Stress, confermato anche da un dermatologo al quale mi rivolgo.

9 mesi durante i quali mi imbottiscono di farmaci per alleviare i dolori, i quali si attenuano ma non di tanto, quel poco da permettermi di non stare ferma immobile nel letto.

Farmaci che mi portarono anche ad un notevole aumento di peso che non aiutava; mi si continuava a dire che non sapevano cosa darmi e che, soprattutto, non sapevano cosa io avessi.

Alla fine, quando tutti gli esami furono finiti e non vi era nulla che giustificasse quella condizione, il neurologo pronunciò la diagnosi: fibromialgia.

Ricordo ancora oggi la mia perplessità: chiesi subito al medico cosa fosse, che cos’era questa malattia, perché non ne avevo mai sentito il termine.

Non è una malattia, è una sindrome.” Sì, perché la fibromialgia non è riconosciuta come malattia.

La fibromialgia non è riconosciuta come malattia: per molti medici, sia per la scarsa formazione sulla malattia, sia per incredulità e sfiducia nei confronti di molti/e di noi, la fibromialgia non esiste per alcuni medici. Spesso si crede che sia un’invenzione, o comunque un surrogato utilizzato come capro espiatorio per altre problematiche.

Non ci sono farmaci che la curano e si sa poco o nulla; c’è, diciamo, una sorta di confusione scientifica, discordanze tra branche specialistiche della medicina.

La mia seconda domanda, lo ricordo come se fosse oggi, fu se questa sindrome fosse ereditaria: avendo un figlio mi preoccupai subito per lui, pensai che se fosse stata ereditaria io mi sarei sentita responsabile anche di aver trasmesso una malattia a mio figlio.

Il medico mi tranquillizzò. Ad oggi alcuni studi affermano che la sindrome è ereditaria ma su linea femminile. Tirai un sospiro di sollievo. La ricerca, la poca ricerca che è stata fatta su questa sindrome, ha rilevato nel mondo pochi casi di fibromialgia in soggetti maschi. Oggi che c’è più consapevolezza sulla sindrome, se ne parla e se ne discute di più e questa tesi è smentita da tantissimi esperti reumatologi, algologi e neurologi che se ne occupano: non solo sono colpiti in misura minori anche i maschi ma si è a conoscenza anche di casi di fibromialgia su bambini e adolescenti ma si continua a non conoscerne la causa.

Iniziò così la cura a base di farmaci che servirono solo ad alleviare i dolori. Sono farmaci che curano l’epilessia e la depressione. Questi farmaci agiscono sul sistema nervoso e alleviano i dolori. Altre cure non ce sono, esistono solo espedienti e rimedi farmacologici per alleviare i dolori.

Mi prepararono un piano terapeutico che ogni tre mesi dovevo rinnovare composto da Cymbalta 60 mg, (contiene la duloxetina, un principio attivo che serve per il trattamento delle depressioni maggiori, dei disturbi d’ansia e dei dolori causati da neuropatie periferiche) e da Lyrica 75 mg (Pregabalin è un antiepilettico-anticonvulsivante che trova indicazione specifica nel trattamento del dolore neuropatico centrale e periferico).

Tutto questo a vita, se volevo stare bene e condurre una vita normale.

Mi fu consigliato anche di condurre una vita normale senza stress e senza preoccupazioni.

Utopistico e irrealizzabile, ma furono queste le uniche raccomandazioni del neurologo al quale fui affidata quel 1 dicembre del 2015.

Sembrerà strano ma alla fine di questo calvario mi ero un po tranquillizzata, poiché sapevo cosa mi aveva colpito: nonostante fosse una sindrome sconosciuta e senza cura, sapevo. La mia mente non era più invasa da pensieri cattivi, non sarei morta, non era un male di quelli che fanno paura anche a parlarne: il cancro. No, nulla di tutto questo.

La fibromialgia, detta anche sindrome fibromialgica o sindrome di Atlante, è una sindrome reumatica idiopatica e multifattoriale che causa l’aumento della tensione muscolare, specie durante l’utilizzo degli stessi, ed è caratterizzata da dolore muscolare e ai tessuti fibrosi (tendini e legamenti) di tipo cronico – diffuso, fluttuante e migrante – associato a rigidità, astenia (calo di forza con affaticabilità), insonnia o disturbi del sonno, alterazioni della sensibilità (come eccessiva percezione degli stimoli) e calo dei livelli di serotonina, con possibili disturbi d’ansia e depressivi in parte dei pazienti. E’ conosciuta anche come la malattia dei 200 sintomi.

Ecco cosa mi aveva colpito. Sono una donna molto curiosa, mi piace leggere, mi piace documentarmi, mi piace studiare e comincio le mie ricerche su questa sindrome.

Mi imbatto in diverse associazioni o presunte tali. Li contatto, scrivo lettere per documentarmi, per avere delle risposte, informazioni più dettagliate, più “fresche”.

Vorrei fare una premessa, mi sento in dovere di farla. Non conoscevo il mondo delle associazioni dei malati ma, già dal mio primo contatto che prendo con il presidente di una di queste, capisco che sarà dura interagire con esse.

Noi malati di fibromialgia proviamo in tanti modi a farci sentire ma essendo una malattia di cui ancora la scienza non ha scoperto la causa non c’è attualmente nessun esame diagnostico che ne dimostra la presenza nell’individuo: siamo poco ascoltati, non considerati e in molti casi non creduti. In più i medici tendono a pensare che sia una malattia da depressione, il che può essere anche vero visto che con dolori continui tutto il giorno in depressione è possibile caderci davvero. E’ ovvio che c’è qualcosa di più. Ma cosa sia attualmente ancora non si sa.

La prima di queste associazioni nella veste del presidente mi chiama anche sul cellulare. Quando scrivo a qualcuno, lascio sempre tutti i miei recapiti, desidero essere “visibile” e rintracciabile. Dice che capisce tutto, comprende perché in casa sua lui vive la stessa condizione con la moglie, insomma un sacco di parole ma non è che mi soddisfi più di tanto. Comincio a documentarmi da sola con Internet. L’inferno, la confusione più totale, trovo di tutto, santoni o presunti tali che affermano di guarirla, che promettono miracoli con prodotti naturali, insomma il caos assoluto.

Nel frattempo i farmaci che assumo incominciano a darmi noia allo stomaco. Mi rivolgo al medico e questi ne aggiunge un altro. Un “salva stomaco”, si chiamano comunemente così, servono a questo, proteggono la mucosa dello stomaco per non fartelo “bucare” ma per il mio corpo, è un farmaco aggiunto.

Tra le mie ricerche nel mondo della rete, mi imbatto in un sito dove si parla di cannabis terapeutica.

La cannabis terapeutica, definita anche “l’oro verde”, viene utilizzata in tante patologie.

Si va dall’emicrania alla sclerosi multipla, passando per glaucoma, Parkinson, Alzheimer, dolori cronici e neuropatici, anoressia, cachessia, diverse forme di epilessia e molte altre patologie.

Insomma, era interessante e mi sono detta perché non provarla? Mi informo sulle strutture dove viene prescritta e trovo quella più vicina a me.

Incontro un medico il quale, dopo avergli raccontato tutto il mio calvario, mi propone la cannabis terapeutica. In quella struttura c’era e vi è ancora un protocollo da seguire.

Mi attengo al protocollo. Inizio l’assunzione della cannabis terapeutica, prima in decotto dal sapore discutibile e poi successivamente, sempre attenendomi al protocollo, inizio con l’olio di cannabis.

Betrocan in olio, da assumere una volta al giorno, la sera, per 15 gocce al giorno THC 19%. Via via sospendo interamente tutti i farmaci.

Devo ammettere che per i primi mesi cominciai a star molto meglio. Non sentivo più la stanchezza, mi sentivo più in forma, avevo sempre i miei dolori ma in modo molto più attenuati. Faccio tanto, mi dedico all’attività di volontariato per la mia sindrome, raccolgo firme, invio email a tutte le testate giornalistiche, mi occupo come sindacalista delle problematiche sul lavoro per tutti quelli che sono nella mia stessa condizione, dormo bene e meglio: insomma, la vita scorre, va avanti. I farmaci ormai sembrano un lontano ricordo ma non vengono sospesi del tutto.

Ecco però che incominciano i primi problemi.

Iniziano i primi mal di testa. Come accennavo prima, ho sempre sofferto di cefalee, ma questi dolori alla testa erano diversi. Io la cefalea la conoscevo bene, questi dolori non erano simili a quelli che ricordavo aver avuto.

Avevo la sensazione di avere dei chiodi piantati, una volta in fronte e altre volte alle tempie ed erano dolorosissimi.

La frequenza inizialmente era di una o due volte al mese, poi diventarono sempre più numerosi fino ad arrivare tutti i santi giorni.

Per non parlare poi dei cambi di umore, della rabbia per futili motivi, della pressione alta, delle palpitazioni, della sincope che mi colpì, dell’aumento della pressione oculare, insomma una serie di sintomi che via via accusavo e che non avevo mai avuto prima, una problematica alla volta, si presentano una alla volta e me li dovevo tenere e curare naturalmente.

Soldi spesi tra visite specialistiche e nuovi farmaci da assumere.

Sono ancora in contatto con il medico che mi aveva prescritto e continuava a prescrivermi la cannabis confermando il piano terapeutico anche se al corrente di tutti questi numerosi effetti collaterali.

Continuo ad attenermi alle regole, seguo tutte le indicazioni: alla fine, dopo l’ennesimo mal di testa della giornata, non resisto più e rinuncio alla cannabis, perché gli effetti collaterali da me elencati, sono tutti da imputare alla cannabis terapeutica secondo a quanto dicevano i medici ai quali mi rivolgevo per i miei problemi di salute. Quindi inizio la sospensione della cannabis: alla fine cede, dietro mia insistenza, anche il medico che mi aveva suggerito di assumerla, non senza polemiche.

Ormai ero distrutta.

Ritorno mio malgrado ai farmaci con gradualità e dietro naturalmente prescrizione medica. Non stavo benissimo, avvertivo rigidità alle gambe, pesantezza, difficoltà nella deambulazione, mi sembrava di essere tornata allo stato iniziale della malattia.

A marzo del 2018 cambio medico e struttura ospedaliera. Da lì a poco avrei dovuto rifare tutti gli esami: già tre giorni fissati in una nuova struttura ospedaliera per degli day service dove sarei stata sottoposta nuovamente a tutti gli esami. Qualcuno potrebbe chiedersi il perché mi sia sottoposta a tutti gli esami sapendo di avere questa sindrome.

Questa è seriamente è una delle cose più tristi di questo mio calvario.

Quando mi sono recata in questa nuova struttura ospedaliera per il mio caso e faccio presente che sono anni che convivo con questa condizione , il medico che mi è stato affidato dal S.S.N., dopo avergli fatto vedere tutte la lunga documentazione riconducibile alla mia sindrome e dopo avergli detto che stavo malissimo, che avevo dolori ovunque nonostante i farmaci che assumevo elencati sopra, disse che lui non metteva in discussione le certificazioni dei professionisti che mi avevano visto in tre anni prima di lui, ma suggerì di ricominciare dall’inizio.

Le sue parole furono queste:

Vede signora, non metto in dubbio tutto quelle che lei mi riferisce circa la sua condizione di salute ma di solito i medici quando i pazienti dopo i vari esami ai quali li sottopongono, non riscontrano nulla, affermano che è fibromialgia. Se permette, vorrei ricominciare dall’inizio per essere certo che lei, seriamente non abbia nulla oppure potremmo scoprire qualcosa che è sfuggito ai miei colleghi che mi hanno preceduto o ancora, ultima ipotesi il suo problema è di ben altra natura”.

Non voglio e non ho voluto sapere a quale natura stesse pensando quel medico, non voglio, mi rifiuto di pensare, mi rifiuto.

Quando sono uscita da quella struttura, mi sono venute in mente le parole del primo medico al quale mi affidarono, ricordo che era il primario di neurologia dell’ospedale dove fui portata la prima volta.

Signora, non si preoccupi, non si allarmi, lei deve solo condurre una vita normale, il più normale possibile ma soprattutto, mi raccomando, conduca una vita quanto più serena possibile, senza troppi stress e senza troppe ansie”.

Dopo i tre giorni di day service in questa struttura, dai numerosi esami alla quale fui sottoposta è risultato che, oltre ad essere affetta dalla sindrome fibromialgica, sono affetta da spasmofiliaca concomitante e ipovitaminosi D (carenza di vitamina D).

Ebbene, oggi alla luce di tutto quanto mi è accaduto mi sta accadendo e non so ancora quanto finirà questa storia, io vi chiedo: può una donna che ha passato gli ultimi anni in queste condizioni, rimanere tranquilla e serena? Voi lo sareste?

Lascio la risposta a chi leggerà questa mia storia, nel frattempo io vado avanti, cerco di fare tutto quello che la mia poca forza mi permette di fare ma credetemi, rimanere serena in questo modo, è la cosa più difficile che io possa fare. Io non ci riesco, ma mi sforzo tantissimo!

Però, come dice sempre una mia carissima amica, io riesco sempre in tutto, sono forte, lei mi dice che sono come la “fenice”.

L’ araba fenice è un essere mitologico. Un uccello che vive 1000 anni, poi emigra in Africa in Etiopia dove prende fuoco e brucia. Quando il fuoco si spegne restano solo le ceneri che al sorgere del sole fanno nascere una nuova fenice. Essere una fenice significa non abbattersi, significa rialzarsi quando ti danno già per spacciato.

Non voglio deludere la mia amica, in fondo credo che abbia ragione. Sono come l’araba fenice. Mi sono sempre rimboccata le maniche, mi sono sempre rialzata e ho sempre combattuto per le ingiustizie, per i più deboli, ho fatto tanto e voglio continuare a combattere anche nelle mie condizioni di salute non del tutto buone.

Oggi, purtroppo il mio stato di salute è peggiorato. Sono sopraggiunti altri sintomi ed è ricominciato per me, per la mia famiglia, nuovamente, il travagliato girovagare tra medici, esami e strutture ospedaliere alla ricerca di una cura, di risposte che spesso, molto spesso, contrastanti tra loro.

Quello che ho scoperto, hanno scoperto i medici ai quali mi sono rivolta, in un prossimo racconto, se avrete la voglia di seguirmi e di leggerlo, sarà interessante, intrigante, e stimolante.

A questo punto del racconto, mi piace ricordare, non solo per non deludere la mia amica ma per chi leggerà, una frase di Antonio Gramsci:

Anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio“.

L’ho fatto, purtroppo. Tutto è ricominciato e lo scoprirete in un successivo post.

Rosaria Mastronardo

Gli antidepressivi usati contro il dolore cronico funzionano? Dipende…

Uno studio sul Bmj (https://www.bmj.com/) fa chiarezza sull’uso degli antidepressivi nel trattamento del dolore cronico. Invitando a prescrivere il farmaco giusto al paziente giusto. Perché l’efficacia della terapia dipende dal tipo di farmaco e dal tipo di dolore

Il boom di vendite di antidepressivi in molti Paesi del mondo registrato negli ultimi anni (nei Paesi dell’Ocse il consumo di questa categoria di psicofarmaci è raddoppiato tra il 2000 e il 2015) non indica necessariamente un aumento equivalente dei casi di depressione.

Il disturbo dell’umore resta, ovviamente, la principale ragione per cui si ricorrere a un antidepressivo, ma non è l’unica. Sta infatti aumentando notevolmente l’utilizzo degli psicofarmaci per il trattamento del dolore cronico. Gli antidepressivi vengono prescritti per calmare le sofferenze causate da malattie reumatiche, emicrania, mal di schiena, fibromialgia, sindrome dell’intestino irritabile e altri dolori difficili da gestire con i farmaci analgesici. È vero che spesso il dolore cronico è associato alla depressione, ma gli antidepressivi vengono prescritti anche in assenza di disturbi mentali o dell’umore, solo ed esclusivamente a scopo antalgico. La maggior parte delle prescrizioni avviene “off label”. Le eccezioni sono poche: c’è la duloxetine, che in Australia è approvata per il dolore neuropatico diabetico, o l’amitriptilina approvata nel Regno Unito per il dolore neuropatico, la cefalea tensiva e l’emicrania. Ma questa strategia, che sia “on” oppure “off-label”, è sicura? È efficace?

La risposta si trova nell’indagine appena pubblicata sul British Medical Journal secondo la quale la prescrizione degli antidepressivi nella terapia del dolore cronico dovrebbe avvenire cercando di dare il farmaco giusto al paziente giusto. Perché non tutti gli psicofarmaci funzionano per ogni condizione. I ricercatori dell’Università di Sidney che hanno realizzato lo studio, per esempio, criticano le linee guida redatte nel 2021 dal National Institute for Health and Care Excellence (NICE) britannico che raccomandano indiscriminatamente diversi tipi di antidepressivi per gli adulti che vivono con dolore cronico. L’elenco comprende l’amitriptilina, il citalopram, la duloxetina, la fluoxetina, la paroxetina o la sertralina.

«Raccomandare un elenco di antidepressivi senza un’attenta considerazione delle prove per ciascun farmaco in rapporto alle diverse condizioni di dolore può indurre erroneamente medici e pazienti a pensare che tutti gli antidepressivi abbiano la stessa efficacia per tutte le condizioni di dolore. Abbiamo dimostrato che non è così», ha dichiarato Giovanni Ferreira autore principale dello studio.

Per fare i dovuti distinguo, i ricercatori hanno condotto una revisione sistematica di studi condotti tra il 2012 e il 2022 che avevano coinvolto in tutto 25mila partecipanti testando 8 classi di antidepressivi e 22 tipi di dolore cronico (mal di schiena, fibromialgia, mal di testa, dolore postoperatorio e sindrome dell’intestino irritabile).

Dall’analisi dei risultati è emerso che alcuni antidepressivi sono effettivamente efficaci nella gestione del dolore. Gli inibitori della ricaptazione della serotonina-norepinefrina (SNRI) come la duloxetina hanno mostrato un potere analgesico per un gran numero di condizioni, come mal di schiena, artrosi del ginocchio, dolore postoperatorio, fibromialgia e dolore neuropatico (dolore ai nervi).

Al contrario, gli antidepressivi triciclici, come l’amitriptilina, che sono gli antidepressivi più usati per il trattamento del dolore nella pratica clinica, non hanno dato chiare evidenze di una loro efficacia.

«Questa revisione, per la prima volta, riunisce tutte le prove esistenti sull’efficacia degli antidepressivi nel trattamento del dolore cronico in un documento completo», ha commentato Ferreira.

Gli scienziati hanno inserito alla fine del loro studio una nota con un invito alla prudenza: «Gli antidepressivi sono medicinali soggetti a prescrizione medica. Non usare antidepressivi se non sotto consiglio medico. È molto importante non interrompere bruscamente il trattamento per evitare effetti di astinenza che possono essere angoscianti e talvolta presentarsi come gravi problemi di salute. Questi effetti di astinenza includono vertigini, nausea, ansia, agitazione, tremore, sudorazione, confusione e disturbi del sonno», avvertono i ricercatori.

Questo articolo è stato scritto il 6 Febbraio 2023

Essere felice dopo una diagnosi di fibromialgia, è possibile?

Una testimonianza di Tammy Freeman che scrive delle sue esperienze in una community dando voce alla popolazione di malati cronici.

Tre giorni fa sono andata da un nuovo specialista, un reumatologo. Ero preoccupata, poiché questo sarebbe stato il mio settimo specialista, ma volevo davvero capire cosa stesse causando la mia stanchezza e il mio dolore diffuso. Mi era già stata diagnosticata l’Hashimoto, e questo da sola poteva causare affaticamento e dolore ma non ha spiegato completamente perché, ad esempio, posso dormire per 15 ore e svegliarmi ancora stanca e per niente riposata. Perché ho un dolore quotidiano che mi distrae dalle mie attività quotidiane. Perché il mio corpo si sente solo pesante come un’ancora.

Quindi, sono entrata nervosamente nell’ambulatorio del reumatologo e, per fortuna, mi ha preso sul serio, anche quando ho fatto una battuta imbarazzante sull’essere una ipocondriaca. Ha fatto un esame fisico completo, ha rivisto il mio precedente esame del sangue, ha discusso la storia familiare, e poi abbiamo avuto una lunga conversazione su come mi sento, quali sono i miei sintomi, cosa sto già facendo per controllare quei sintomi, e così via. Ha trascorso molto tempo con me. E sulla base di tutti questi elementi, e escludendo alcuni altri come la malattia di Lyme e l’artrite, ha detto che è fibromialgia.

Che peccato, mi disse il reumatologo e non capii subito, poi ridacchiò un po, tornando serio, aggiunse: “Leggerai che non è una vera malattia, ma lo è. È una vera malattia e non è nella tua testa”.

La mia reazione? Sono scoppiata in lacrime e senza fermarmi gli ho confidato quanto mi mancasse la persona che ero prima, quella che si poteva alzare alle 6 del mattino e che si teneva occupata fino alle 23 e che era in grado di rifare tutto il giorno successivo. Gli ho confidato della mia pigrizia insorta negli ultimi quattro anni, cioè quando sono iniziati i miei problemi di salute e come la mia salute emotiva fosse stata influenzata, e come mi sentivo in colpa per quello che vivevo. Ha ascoltato con calma e mi ha detto che questi sentimenti spesso sono causa della fibromialgia e mi ha detto con fermezza che non sono affatto pigra. Ha detto anche che, dal nostro colloquio, da quanto raccontato in quel giorno, che io ero in grado, per la determinazione, di prendermi cura di me stessa.

Ho lasciato quell’ambulatorio sentendomi rinata. Certo, faceva piacere che tutto quanto mi stesse capitanando avesse un nome e non fosse frutto della mia pigrizia o ipocondria.

Anche giorni dopo, ho continuato a provare un sollievo assoluto. Ho un nome per la stanchezza travolgente e ho una ragione per cui i miei fianchi, la schiena, le spalle fanno costantemente male e ho quelle sensazioni di spilli e aghi nelle mie mani. Ancora non cambia nulla ma di certo non è nella mia testa, non è un riflesso di chi sono, non è un fallimento da parte mia, non è a causa di qualcosa che sto facendo male o non facendo bene. Non l’ho fatto a me stessa. Sono sollevata dal fatto che sebbene questa sia una malattia che dura tutta la vita, posso smettere di inseguire specialisti e nuovi esami del sangue e infinite ricerche su Google e posso smettere di cercare di capire tutto: Perché mi fa male la testa? Sono disidratata? È un mal di testa da stress? Mi fa male la schiena? Ho esagerato quando sono andato a fare la spesa e ho pulito la casa lo stesso giorno? Perché dormo così tanto? Sono depressa? non mi sento depressa, ma dormo mezza giornata, quindi forse ho bisogno di parlare con qualcuno. Perché la mia mano è di nuovo formicolante? Sto bene. Non è nella mia testa. C’è una ragione per tutto questo. Non può essere curato, ma può essere controllato, ma soprattutto, non è nella mia testa e posso smettere di cercare costantemente risposte. Ora, basta.

E sono grata per questo. Non fraintendetemi. Non lo augurerei a nessuno. Ma è un sollievo avere una ragione medica, scientifica, ufficiale per tutti questi sintomi.. Non è nella mia testa. Sto andanda avanti. Posso prendermi cura di me stessa, e questo è un enorme sollievo. Quindi oggi sono felice.

Devo andare avanti, andiamo avanti.

Faber est suae quisque fortunae

ciascuno è artefice della propria sorte

Ogni persona è responsabile del proprio destino e della scelta della propria vita, giusto? Che strano però, non ricordo di aver scelto di vivere con delle malattie croniche!!! Questa cosa è strana, è divertente, si fa per dire. La maggior parte dei giorni, mi sento come se il destino si fosse scagliato contro di me. Vivo la mia vita con le mie compagne sempre presente, la fibromialgia e tutte e altre patologie croniche, ebbene si, diciamolo, sono una donna pluripatologica. Delle bastarde e subdole malattie delle quali nessuno si accorge mai, a volte anche chi ti sta accanto, ti incontra per caso, si accorgono che sono sola e godo di ottima salute. Molti medici non hanno rilevato la presenza di queste compagne di vita e nel caso della fibromialgia, l’hanno attribuita a ipocondria o ad una malattia mentale. La fibromialgia, è una delle malattie, poi ci sono le altre, artrite psoriasica, psoriasi e ancora ma, poi ci sono tutte quelle che sono legate solo alla fibromialgia, la lista è lunga: ansia, emicrania, nebbia del cervello, stanchezza cronica… l’elenco, ripeto, è lungo.

Noi fibromialgiche, forse è capitato a qualcuna di voi, siamo il bersaglio di barzellette, di scherni “sei solo vecchia“, “ormai, hai raggiunto una certa età”. Quelli che si rivolgono a noi in questo modo, non sanno che ci sono donne e anche uomini giovani che vivono con la fibromialgia fin dall’età adolescenziale. A quell’età invece, ti senti dire che sei pigra, che non hai voglia di fare nulla, che trovi sempre delle scuse. Non è così, ci vuole molta forza per realizzare quello che facciamo in un giorno. Non avete la più pallida idea di quello che proviamo; state zitti e non giudicateci. C’è chi prova di tutto per non sentire più dolore, quel dolore si, perché il dolore della fibromialgia, non è il solito dolore alla testa che ti prende perché, magari sei stanco, no, non è quello, oppure il dolore su tutto il corpo quando hai l’influenza. Il dolore fibromialgico è fluttuante, è bruciante, è tagliente, ti toglie il respiro.

Cerco di stare attenta a quello che mangio, cerco di dormire regolarmente, sto sempre attenta a non “strafare” anche perché se vado oltre le mie possibilità so benissimo che domani le mie compagne me la faranno pagare per quelle trasgressioni. Purtroppo, mi capita di pagare delle trasgressione senza accorgermene. Mi è capitato ieri. Mi ha chiamato una cara amica. Andiamo fino ai giardini, è uscito un bel sole, dai ci farà bene. Avevo voglia di uscire, avevo voglia di stare con la mia amica. Ci siamo incamminate verso i giardini ma, senza accorgersene, mentre si chiacchierava ci siamo allontanate troppo. Lei, stava bene. Io, no. Gli ho chiesto di tornare indietro, perché ho avvertito un forte dolore all’anca. Il ritorno verso casa è stato dolorosissimo. Mi sono buttata sul letto e svegliata più volte durante la notte dai dolori. Oggi al mio risveglio, mi sento tutta rotta come se mi avessero investita.

Lavoro a tempo pieno anche se da casa, sono in telelavoro. Questa modalità di lavoro mi aiuta molto ma, ho perso i contatti con i miei colleghi che sento solo al telefono oppure in una video chat, e credetemi, non è la stessa cosa. Ho la fortuna di fare volontariato, sono facilitatrice di gruppi di auto aiuto per la fibromialgia e questo mi ha permesso di “rinascere”. Non solo mi aiuto ma aiuto l’altro/a uguale a me. Con il volontariato ho evitato l’isolamento. Molte persone con la Fibromailgia, si isolano, perdono amici, in alcuni casi anche la famiglia. Fortunatamente ho una buona resilienza e ne vado fiera.

Sono padrona del mio destino? Sinceramente, non lo so. E’ un dubbio che mi perseguita. Sono, almeno credo, una donna intelligente, energica, e quindi capace di utilizzare al meglio ciò che la natura mi offre per essere artefice del mio destino. Nel mio destino è compresa anche la pluripatologia? A quanto pare, è così. La scienza non ha ancora capito perché ci ammaliamo, non ha ancora capito perché tanto dolore e tanti sintomi collegati alla fibromialgia mettono in ginocchio tanta gente. Mentre studiosi, chiusi nei loro laboratori, in giro per il mondo alla ricerca di un qualcosa che allievi le nostre sofferenze, io mi sento ancora in grado di fare qualcosa su questa terra e lo desidero fortissimamente, lo voglio ma, aiutatemi a farlo senza sentirmi come se un tir mi avesse preso in pieno.

Grazie

Rosaria Mastronardo