Il dolore cronico è definito come il “dolore che si protrae oltre i tempi normali di guarigione di una lesione o di un’infiammazione, abitualmente 3-6 mesi, e che perdura per anni”.
Il dolore cronico è stato riconosciuto come una vera e propria patologia in sé per le conseguenze invalidanti che comporta per la persona che ne soffre, dal punto di vista fisico, psichico e socio-relazionale; esso infatti compromette qualsiasi attività quotidiana generando depressione, senso di sfiducia e malessere.
Mal di schiena, emicrania, endometriosi, vulvodinia, fibromialgia, artrosi, nevralgie, esiti da trauma, herpes zoster, sono solo alcuni nomi di malattie caratterizzate dalla presenza di dolore cronico che, se non viene diagnosticato e curato in modo adeguato, non abbandona più le persone che ne sono colpite e che devono viverne la sofferenza.
Il dolore cronico interessa tutte le fasce d’età con una maggiore prevalenza nelle donne ed è stato riconosciuto come una delle cause principali di consultazione medica.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha identificato come uno dei maggiori problemi mondiali di salute pubblica.
Una volta in rete qualcuno ha scritto: Cosa puoi fare quando il dolore cronico ti attanaglia?
- Subirlo;
- Trascinarlo;
- Analizzarlo;
- Imparare da esso;
- Accettarlo;
- Trasformarlo.
Analizziamo queste ipotetiche “soluzioni”.
- Subirlo: E’ da pazzi subire il dolore cronico. Non si può. Non bisogna subirlo ma combatterlo. Il modo lo puoi trovare solo tu, tu che lo senti. Non è facile, per carità ma, subirlo è da pazzi;
- Trascinarlo: Inteso come portarselo dietro sempre? Ma come si fa? No, il dolore cronico non lo si può trascinare, è impensabile;
- Analizzarlo: Anche questa non l’ho capita. Io che soffro di dolore cronico mi devo mettere ad analizzarlo? Vuol dire che devo studiarlo oppure mi devo spremere le meningi per capire perché cazzo soffro così tanto? Se sei sana, mettiti pure a pensare perché hai tanto dolore ma, viceversa, se hai tante malattie croniche, autoimmuni, degenerative, che cazzo analizzi? Sei una malata cronica, punto;
- Imparare da esso: Ho imparato tanto dal dolore cronico, tantissimo. Una cosa ho capito. Non c’è nulla da fare, non passa;
- Accettarlo: Quante volte ho accettato il dolore cronico. Ogni volta e tutte le volte che mi diagnosticavano una nuova malattia, tutte le volte. Accetta oggi, accetta domani, ho sempre accettato.
- Trasformarlo: Abracadabra………..Anche questo. Trasformarlo. L’ho fatto, si che l’ho fatto. L’ho fatto tutte le volte che ho preso consapevolezza delle mie patologie e mi sono messa in gioco. Ho cercato di dare una mano a quelli che come me, avevano lo stesso problema, ho sensibilizzato la malattia che mi aveva colpito, ho scritto, letto e mi sono informata. Ho fatto tante di quelle cose che ho un file con tutti gli eventi, incontri, seminari a cui ho partecipato e ho organizzato. L’ho fatto per me e per gli altri. L’ho fatto per non pensare al dolore, per non sentirlo. In alcuni momenti ti sembra di non averlo; minuti, secondi, attimi ma, è lì. Ecco che si sente. Si sente, lo senti ma, gli altri non lo vedono il tuo dolore. Non c’è cosa più straziante nello stare male, nel vivere con i dolori cronici delle tue malattie e sentirti dire: “Ti vedo bene”.
Il dolore cronico presuppone un dolore continuo e straziante, che a volte non può nemmeno essere spiegato a sufficienza.
Ho capito, nel corso di questi anni, sono quasi 8 anni che soffro di dolore cronico, che il dolore non può essere “misurato” con certezza. La valutazione del dolore dipende dalla descrizione verbale, dalle espressioni non verbali, da test specifici e dalla nostra empatia. Da questa prospettiva il dolore è una questione di esperienza soggettiva e di comunicazione. Diversi fenomeni (ad es. dolore da arto fantasma, analgesia da stress, effetti antidolorifici del rilassamento, ipnosi, placebo, ecc., dolore nonostante una lesione inesistente) mostrano ovviamente che fattori psicologici come distrazione, rilassamento, paura, depressione, precedenti esperienze di dolore così come le influenze familiari e culturali modulano il modo in cui il dolore viene vissuto, raccontato e descritto.
Il problema della definizione del dolore solleva questioni filosoficamente rilevanti, legate alla difficoltà irriducibile di voler rendere intersoggettivamente comprensibile l’esperienza soggettiva del dolore. È una questione simile alla domanda se tutti vedano un certo colore allo stesso modo, afferma Laura Kolbe,(scrittrice e poetessa che pratica medicina ed etica medica presso il NewYork-Presbyterian/Weill Cornell Medical Center) “ma con una posta in gioco più alta: che il dolore di una persona sia comunicabile e commisurato a quello di un’altra, può influenzare la nostra predisposizione a sentirci solidali gli uni verso gli altri emotivamente, socialmente e politicamente”.
La difficoltà per gli operatori sanitari è ancora maggiore dal momento che la relativa ineffabilità del dolore li rende in un certo senso esterni rispetto a esso ma nella posizione di dover prestare soccorso e stabilire delle cure.
Da tempo, per cercare di superare i limiti noti delle scale da 1 a 10, alcuni strumenti clinici utilizzati per la valutazione del dolore si concentrano sulla terminologia più che sui numeri. Il Questionario sul dolore di McGill, sviluppato negli anni Settanta da Melzack alla McGill University a Montréal, è considerato un modo di fornire tramite aggettivi-descrittori un rapporto più strutturato e statisticamente utile sul dolore, valutandone i livelli e l’evoluzione nel corso del tempo, in modo da determinare l’efficacia di ogni intervento. Ai pazienti intervistati viene chiesto di scegliere le parole più adatte in un insieme molto vasto di aggettivi, tra cui “pizzicante”, “pulsante”, “fulmineo”, “tagliente” e “crampiforme”.
Il vantaggio auspicabile in questo tipo di espansioni del vocabolario clinico, conclude Laura Kolbe, è che portino a “un analogo allargamento dell’immaginazione clinica quando si tratta di ciò che i pazienti provano”.
Se in Italia avessimo il questionario di McGill ed io dovessi utilizzarlo, in questo momento, oggi, non mi basterebbero gli aggetti: “pizzicante”, “pulsante”, “fulmineo”, “tagliente” e “crampiforme”, aggiungerei un avverbio e un aggettivo: “MALEDETTAMENTE INSOPPORTABILI“