Come relazionarti con la tua disabilità invisibile.

Incominciamo da noi.

Siamo fratelli, figli, amanti, amici, e colleghi. Se apprezzi l’equità e l’inclusione, questi valori dovrebbero estendersi anche nelle tue relazioni, non ti pare? Spesso, con chi ha una disabilità, soprattutto invisibile, non sempre questi valori emergono. Gli esseri umani prosperano nelle relazioni e in queste relazioni però si ignora la disabilità. Bisogna ricordarsi invece che come, genitori, sorelle, amici e datori di lavoro, avete l’opportunità di aiutare a rimuovere le barriere che si frappongono al vivere pienamente le vite delle persone che vivono la disabilità, sia essa visibile che non visibile.

Vivere una vita con disabilità, sia essa visibile o invisibile è una dannata sfida. È sicuramente la cosa più difficile che io abbia mai affrontata. Più difficile che crescere in una casa non sicura, vivere una relazione violenta, vivere al di sotto della soglia di povertà, non lo so, so però com’è vivere la mia vita con una disabilità invisibile. Nel 2015, mi è stata diagnosticata la fibromialgia, poi via via tante altre malattie autoimmuni una dietro l’altra. Ho vissuto con i sintomi di queste malattie per molto tempo, malattie che tendono a fluttuare a seconda anche dei fattori di stress, dal clima e quant’altro e che, attualmente mi stanno destabilizzando. Durante le riacutizzazioni, il dolore è più difficile di quanto si possa descrivere e i sintomi cognitivi ed emotivi che le accompagnano mi fanno sentire malissimo.

Per un po di tempo, all’inizio, temendo il rifiuto, mi sono chiusa molto, evitavo i rapporti con gli altri. Avevo tanta paura, non capivo cosa stesse succedendo. Ho faticato a condividere i miei sintomi, le mie sfide e persino il nome della mia prima diagnosi, la fibromialgia.

Questo timore non era infondato. Quando ho iniziato questa mia “via crucis” ho scoperto la completa assenza di un sistema di supporto. In famiglia ti guardavano in modo diverso, non eri più la stessa di prima, non capivano, cercavano di aiutarti ma, erano in difficoltà anche loro; con le associazioni, non ne parliamo, tante pacche sulle spalle, tanti: “ti comprendiamo” e poi…. Il nulla. A lavoro, eri diventata la fannullona e non importava tutto quanto fatto negli anni precedenti, ai loro occhi, eri quella che non voleva più lavorare. L’isolamento veniva da se. Poi, capisci e comprendi che se continui così, sei come “morta” ed io non ero morta, ero solo una “malata invisibile” agli occhi di tanti, di molti. Ho capito, ad un certo punto che dovevo “difendermi” difendere me stessa. Questo sai, è difficile quasi quanto vivere con il dolore perché comunicare i miei bisogni, le mie richieste di aiuto, i miei diritti poteva essere accolto con il rifiuto, la negazione e chi sa cos’altro. Ne sono stato testimone nella mia vita così come tutti quelli che mi sono stati vicini. E’ stato un altro grosso fardello che ho sopportato.

Ho pensato, ad un certo punto che dovevo fare qualcosa. Chi vive una condizione di disabilità, senza rendersene conto, ha il potere di essere più inclusivo rispetto ad altri che non vivono la stessa condizione. Tu, hai il potere di educare te stesso, in primis, poi con la conversazione, con la partecipazione attiva, quanto ti puoi permettere di esserlo, devi sforzarti di cercare di rimuovere le barriere che si sono alzate davanti a te, devi cercare l’accessibilità ove possibile. La comunicazione negli ambienti di lavoro è importante. Ho fatto anche quello. La cosa importante è cercare di far conoscere a quante più persone possibili la condizione di “disabile invisibile”. Sensibilizzare in ogni modalità che ritiene possa essere di aiuto, fallo. Sensibilizza, fai. Esistono molte patologie invalidanti ma poco evidenti, questo porta ancora troppe persone a pensar male. Ci sono purtroppo tantissime persone che ogni giorno affrontano la propria lotta in silenzio, vivendo con patologie croniche o condizioni che limitano le attività del quotidiano. Oltre alle problematiche di dover gestire quotidianamente la patologia, queste persone affrontano stigmatizzazione e fraintendimenti sociali, poiché gli altri spesso non riconoscono la loro difficoltà, anche nel compiere semplici azioni come fare la fila al supermercato, sui mezzi pubblici….

Purtroppo, tutti noi “partiamo sempre” in quarta di fronte a quelle che crediamo ingiustizie e nel caso di un disabile invisibile rischiamo di metterlo a disagio; la disabilità in quella persona esiste, ma non è così evidente. L’abitudine a persone che si comportano in maniera scorretta induce a pensare che tutti siano in malafede. Le persone con malattie invisibili ci educano a non fermarci all’apparenza, a non giudicare un libro solo dalla copertina. Come sempre, le realtà vanno conosciute a fondo prima di esprimere giudizi. Oggi, purtroppo si è spesso portati a pensare che la disabilità sia un problema solo di chi la vive, che deve sempre far valere i propri diritti, anche quando sono evidenti. Figuriamoci cosa accade quando la disabilità non è neanche visibile!

Ecco perché, noi in primis, malati invisibili, dobbiamo metterci in prima fila e sensibilizzare il più possibile e se ci aiutano anche chi ci sta accanto, in famiglia, nella società, a lavoro, in chiesa, è apprezzato.

Vivere in questo mondo con disabilità è già abbastanza impegnativo, per favore non renderlo più arduo. Credo che tu abbia il potere e l’umanità per istruirti, imparare quali disposizioni sarebbero apprezzate e aiutare ad abbattere le barriere che dobbiamo affrontare. Come genitori, sorelle, amici e datori di lavoro, vi imploro di cogliere questa opportunità e di darci la possibilità di vivere le nostre vite al massimo.

Rosaria Mastronardo

Con troppe diagnosi non è facile guardare il lato positivo della vita ma, ci provo.

Andiamo avanti……..

Le malattie croniche influenzano moltissimo tutti gli aspetti della mia vita. Ho molteplici malattie e sindromi che si incrociano tra di loro, sono difficili da trattare e interferiscono completamente su tutte le parti del mio corpo, con pochissime esclusioni, forse nessuna.

Ho scritto molto del mio dolore, dolore cronico. Forse in pochi sanno che non ho solo la fibromialgia ma, diverse patologie/malattie/sindromi. Ho deciso di renderle pubbliche perché, in questi giorni, mi sento sola e incompresa anche da chi ti sta vicino e dice di capirti. Mi sento come una “macchina” trascorro le mie giornate con il pilota automatico e sogno ad occhi aperti il momento in cui posso finalmente stendermi sul mio letto e provare a dormire e/o riposare.

Forse qualcuno non troverà interessante quello che scriverò ma, è importante per me.

Voglio essere vista e conosciuta non per diventare famosa, non per protagonismo, non me ne frega nulla, desidero far sapere SOLO quello che vivo ogni singolo giorno; non deve essere un segreto, meglio si sa di chi vive come vivo io, meglio è; lo faccio anche per sentirmi meno sola nelle dure sfide della quotidianità.

Sono purtroppo affetta da: Fibromialgia, Artrite Psoriasica, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteoartrite di 4° livello alle caviglie che ha danneggiato gradualmente cartilagine e tessuti circostanti, tanto da non riuscire più a camminare per lunghi tratti, Neurolisi del nervo ulnare bilaterale, già operata una volta al braccio sinistro, Spasmofilia, Cefalea, Psoriasi, Gastrite, Discopatie, Ernie e altro, mi fermo nell’elenco perché potrei sembrare in fin di vita. In alcuni momenti, vi giuro che, mi sento finita dentro.

Sono una mamma, una donna, una moglie, una lavoratrice e volontaria. Ebbene, si. Sono tutte queste cose. A volte mi viene da pensare che se non fossi malata potrei essere una “wonder woman“.

Ognuno ha il proprio insieme di sintomi che rendono difficile affrontare le sfide della vita. Non è semplicemente convivere con il dolore cronico. Ci sono così tanti altri sintomi che interferiscono con tutte le mie attività quotidiane, sintomi alcuni invisibili che solo io so che esistono e che provo sulla mia pelle, su ogni parte del mio corpo.

Una giornata tipica della mia vita consiste in una moltitudine di decisioni che portano a una reazione a catena su come andrà il giorno successivo, o anche la settimana successiva. Tutto, dalla cosa, il lavoro, il volontariato: è un consumare energia tutte le volte che faccio qualcosa, e tutte le volte che ne faccio una mi chiedo sempre se avrò la forza per fare la seconda, la terza e così via. Non sono uguali i giorni. Ci sono giorni buoni e giorni poco buoni ed io sono sempre li che faccio una cernita delle mie attività. E’ sempre così, tutti i giorni che Dio mette in terra.

Sono una mamma.

Fare la mamma non è facile. Ho desiderato essere mamma. Ho avuto un figlio che adoro. Cerco di stargli accanto il più possibile, anche se ora è grande ma, la mamma è sempre tale anche quando i figli crescono e sono autonomi. Non si smette di essere mamma, mamma si è SEMPRE.

Sono moglie e donna

Ho la fortuna di avere un uomo accanto che, nonostante le differenze caratteriali, è un uomo bravo e comprensivo. Credo, anzi sono certa che, non è facile vivere accanto a persone malate come me, che hanno bisogno sempre di un sostegno, di una mano, di essere moglie sempre. In questo, mi reputo fortunata. Il mio uomo, c’è.

Sono una lavoratrice

Sono fortunata, perché ho un lavoro. So quanto è difficile oggi avere un lavoro stabile. Sono fortunata anche perché, essendo il mio lavoro, tele-lavorabile, svolgo la mia attività da casa. Qualcuno, potrebbe pensare che sono una “privilegiata”. Forse si o forse no, non giudicate senza sapere. Non è che lavorando a casa la mia situazione di salute migliora. Io sono una malata cronica e cronica rimango anche se sono una telelavoratrice. Quindi, non avrò certo tutte quelle difficoltà che hanno tutti quelli che si recano sul posto di lavoro: alzarsi presto, preparasi, traffico, e altro ma i miei dolori, le mie difficoltà a stare seduta e ferma per lungo tempo non aiutano la mia condizione. Ho tanti vantaggi, è vero ma, la situazione “dolore cronico” non cambia, quello non via neppure se sei a casa. C’è, punto.

Sono una volontaria

Le mie numerose malattie/patologie/sindromi non sono venute tutte insieme, un po per volta, sono state “educate” con me, si sono presentate, tutte casualmente diagnosticate, una alla volta. All’inizio, mi fu diagnostica la fibromialgia e poi a seguire tutte le altre. Con la fibromialgia è iniziata la voglia in me di fare qualcosa. Malattia poco conosciuta, difficile da diagnosticare, ancora carente di un marcatore per una esatta diagnosi, non riconosciuta dal nostro SSN, tanti “sciacalli” in giro per il mondo che, in virtù di tutto quanto sopra detto, ti proponevano di tutto e di più promettendoti la guarigione, associazioni che pur di fare cassa e mostrarsi in TV, ti promettevano l’impegno a prendersi cura di te. Niente di tutto questo è accaduto, anzi, nonostante il mio impegno in alcune di esse, ho lasciato definitivamente quell’ambiente e mi dedico all’Auto Aiuto e collaboro solo con quelle Associazioni che, seriamente, si impegnano in questa lotta infinita per il riconoscimento, la sensibilizzazione e altro per la fibromialgia e per un concreto sostegno nei confronti dei malati cronici, anche se invisibili. Sono facilitatrice di due gruppi di Auto Aiuto.

All’inizio con alcune associazioni ho preso parte a numerosi eventi. Organizzarli, non era facile. Però, per il bene comune, stringi i denti e vai avanti. Oggi, ho deciso di non organizzare più nulla. Se qualcuno mi propone una partecipazione, volentieri aderisco ma, non organizzo nulla e non desidero far parte di nessuna associazione di malati fibromialgici, mi viene l’orticaria solo al pensiero.

Ho anche una passione, in verità ne ho diverse ma, alcune, per le mie malattie, non posso più fare, ne ho lasciata solo una. La scrittura. Amo scrivere. Non scrivo poesie, non scrivo racconti. Tutto quello che scrivo riguarda la mia situazione di malata cronica, invisibile, ignorata, nella società, nel mondo del lavoro e dallo Stato. Riporto testimonianze di malati ma, anche di vita vissuta, scrivo della mia esperienza con i gruppi di Auto Aiuto. Credo che, scrivere certe testimonianze di vita con il dolore cronico, con le malattie invisibile sia un modo per far conoscere le difficoltà di vita di persone che vivono questa condizione e soprattutto sensibilizzare quanto più possibile sul tema.

Forse a qualcuno questo testo, nel leggero, gli avrà portato un po di depressione o disgusto. Non è certo un testo divertente, di divertente, nel descrivere la vita di un malato cronico, non c’è nulla.

La vita di un malato cronico è così e in alcuni casi, anche peggio.

Vi confesso che le mie giornate, non sono tutte uguali, il mio umore cambia in virtù dell’intensità del dolore, delle mie difficoltà nel fare qualsiasi cosa. Piango, si a volte mi capita anche di piangere dal dolore, e ripeto a me stessa: resisti, combatti, vai avanti, non arrenderti. Hai ancora tanto da fare, da dire, da vivere. Una cara amica ieri mi ha ricordato che devo anche sapere ascoltare la malattia e fermarmi quando è alta la sofferenza, il dolore. Ha ragione da vendere la mia amica, ha ragione. Mi impegnerò ancora di più.

E come ci diciamo sempre io e lei: andiamo avanti…..

Rosaria Mastronardo

Quando la fibromialgia inizia presto

dolori di crescita

Una testimonianza dal web

Quando avevo 3 anni sapevo che qualcosa non andava, mi svegliavo piangendo molto spesso durante la notte. “Mamma mi fanno male le gambe“, urlavo, con le lacrime che mi rigavano il viso. “Perché mi fanno così male?”

Quando avevo 5 anni, mia madre ha chiesto al mio pediatra perché avevo dolori alle gambe, la sua risposta è stata “dolori di crescita“. Che non solo non sono dolori della crescita reali, ma era una diagnosi molto inappropriata considerando che ero la bambina più bassa della mia classe all’asilo. “Perché non sto crescendo se ho dolori della crescita?”

Quando avevo 7 anni iniziarono i test di laboratorio, tre fiale di sangue. Continuo a urlare nella notte perché le gambe mi fanno così male che non riesco a dormire. I risultati di laboratorio sono tutti nella norma, era tutto “normale“. “Perché hanno bisogno di prendere il mio sangue?”

Quando avevo 9 anni le analisi di laboratorio non erano ancora finite, ma questa volta c’erano cinque fiale di sangue. Mi hanno diagnosticato una serie di malattie, ma principalmente per i dottori era il lupus. Non pensavo di avere il lupus, ma ero desiderosa di risposte. In questo periodo, il dolore iniziò a sembrare consueto. “Perché i dottori non ascoltano?”

Quando avevo 12 anni ho iniziato con il mio ciclo mestruale. Ero a letto tre giorni su sette della settimana perché il mio corpo non riusciva a muoversi. Il dolore aveva iniziato a diffondersi, ho iniziato a sentire i coltelli nella schiena. Sono andata di nuovo dal dottore, e a quel punto le provette di sangue erano aumentate notevolmente. “Per favore, fallo smettere!”

Quando avevo 14 anni ho avuto il mio primo ragazzo. Invece di dirgli che ero troppo esausta o troppo dolorante per uscire, ho semplicemente detto “Sono occupata“, sapevo che non mi avrebbe capito o creduto. A questo punto il dolore si è diffuso alle mie braccia. Ero in costante dolore. “Voglio solo che mi credano.”

Quando avevo 15 anni la mia relazione con il mio ragazzo era diventata tossica. Sono stato tradita, un rapporto basato su bugie. Presto mi sono resa conto che lo stress peggiorava il dolore. Sono stata costantemente stanca per quasi sei mesi. Non volevo nemmeno alzarmi dal letto. Ho fatto la scelta di porre fine alla relazione. “Soffro già di dolore fisico perché aggiungere quello emotivo?“.

Quando avevo 16 anni mi sono innamorata seriamente. Questo ha migliorato il mio umore ero più felice e non molto concentrata sul mio corpo. Sapevo che avevo meno giorni di dolore. Avevo ancora varie visite mediche da completare e altre provette da riempire. Non avevo ancora idea di cosa non andasse in me. All’improvviso, tutto si aggrava. Dolori ancora più forti. Stavo cominciando a perdere ogni fiducia nel campo medico. “Non augurerei questo dolore al mio peggior nemico.”

Ora ho 17 anni e mi è stata diagnosticata la fibromialgia. Ora prendo due farmaci prescritti una volta al giorno e un altro due al giorno. Ho il sostegno di più amici, della mia famiglia e del mio ragazzo. Ottenere una diagnosi mi ha liberato, perché ora sono consapevole di cosa c’è che non andava e quindi ora sono in grado di prendere le precauzioni necessarie. Avere una malattia cronica in giovane età non è affatto facile. Oggi, posso dire che “Sto vivendo una vita quasi fantastica!”

Ma, per i medici erano soli i “dolori di crescita“.

A proposito di fibromialgia e pregiudizio

Un dialogo tra amiche.

Hai la fibromialgia! – ma la fibromialgia non è solo la gente pigra”?

Mi rende triste sentire pregiudizi come questi.

A te che non conosci la fibromialgia.

La fibromialgia è una malattia dolorosa cronica che, tra le altre cose, è caratterizzata da dolore fisico, spossatezza e ridotta resistenza fisica.

Immagina questo scenario:

sei sdraiato a letto.

Hai l’influenza.

Hai la febbre.

Sei dolorante dappertutto.

Sei stanco.

(Avere la fibromialgia sembra, tra le altre cose, avere un’influenza cronica)

Ma invece di sdraiarti, ti alzi: fai la doccia prepari la colazione e prepari il pranzo, svegli amorevolmente i tuoi figli e li prepari, li segui a scuola, vai al lavoro poi vai a prendere i bambini, giochi con il tuo bambino più piccolo dopodiché aiuti l’altro a fare i compiti , prepari la cena, svuoti la lavastoviglie, mangi la cena mentre ti concentri su quello che avviene in casa e “vivi” la giornata dei tuoi figli e infine, vai a letto.

Tutto questo mentre hai l’influenza.

Hai la febbre.

Sei stanco.

Hai dolore su tutto il corpo.

Credimi, io non sono pigra.

Combatto una battaglia ogni giorno con dolore, indolenzimento e stanchezza.

Combatto una battaglia ogni giorno per poter fare queste cose – alcuni giorni posso fare molte cose, altri giorni poche cose.

Combatto ogni giorno per trascorrere una giornata il più piacevole possibile con i miei cari.

Combatto non solo per me stesso ma anche per loro.

Lotto ogni giorno per mantenere la gioia, la positività – come parte permanente della mia vita.

Lotto ogni giorno per mantenere una porzione buona e nutriente di gioia di vita e di qualità della vita.

Noi con la fibromialgia non siamo pigri.

Noi con la fibromialgia non fingiamo.

E non vogliamo avere nessuna di queste etichette.

Caro essere umano – spero nella tua comprensione e osservaci bene prima di giudicare. La prossima volta che ci incontreremo, guardami bene negli occhi e non mettermi sullo stesso piano di un pigro, di uno ipocondriaco o di un malato immaginario. La fibromialgia esiste ma, non si vede ed è una malattia cronica.

Prendetevi cura di voi.

Rosaria Mastronardo

“Non c’è niente di sbagliato in te”: stigma legato al dolore negli adolescenti con dolore cronico

Quante volte abbiamo sollecitato le istituzioni e la classe medica su questo argomento: “l’attenzione, la sensibilizzazione del dolore cronico negli adolescenti“.

Una volta, al tempo in cui ero bambina io, sentivo spesso i dottori dire ai miei genitori preoccupati per me, che i dolori era i segnali della crescita. Oggi, fortunatamente, qualcuno sta studiando questi fenomeni che dimostrano che non si tratta di dolori della scescita ma, il dolore è reale, esiste e con i giovani, si deve fare pù attenzione. E’ importante questo aspetto, perché lo stigma può portare ad implicazioni sociali e sanitarie negative sia sui ragazzi che i loro familiari come dimostra lo studio di questo post.

L’articolo, è pubblico qui: https://pubmed-ncbi-nlm-nih-gov.translate.goog/34871426/

Obiettivo: gli adolescenti con dolore cronico spesso sperimentano incredulità sui sintomi e rifiuto sociale da parte di altri a seconda di sintomi “inspiegabili dal punto di vista medico“. Sebbene il dolore cronico sia comune negli adolescenti, una ricerca limitata ha concettualizzato queste esperienze sociali come stigma correlato al dolore in questa popolazione. Lo scopo di questo studio era identificare e descrivere lo stigma correlato al dolore tra gli adolescenti con dolore cronico e i loro genitori utilizzando la metodologia dei “focus group“.

Sono stati condotti cinque focus group di adolescenti (N = 18; Età M = 15,33 anni, SD = 1,28) e tre focus group di genitori (N = 9). L’analisi del contenuto diretto è stata utilizzata per analizzare le trascrizioni dei focus group. Le categorie di stigma sono state sviluppate a priori (stigma sentito, stigma anticipato, stigma interiorizzato, occultamento e controllabilità) e durante l’analisi sono emerse nuove categorie. Due programmatori hanno raggiunto un accordo dell’87,16% per tutti i gruppi (gruppo di adolescenti: 90,34%; gruppo di genitori: 79,55%) ed è stato raggiunto un consenso per i codici discordanti.

Il risultato finale:

gli adolescenti e i loro genitori hanno provato lo stigma legato al dolore in tutti i domini sociali. Le analisi hanno rivelato quattro categorie principali per entrambi i gruppi:

(a) Stigma percepito (sotto-categorie: allontanamento dal dolore, falsificazione o esagerazione e stigma per la salute mentale);

(b) Stigma e occultamento anticipato;

(c) Stigma interiorizzato;

(d) Fonti di dolore – Stigma correlato (sotto-categorie: invisibilità del dolore, mancanza di conoscenza del dolore cronico, mancanza di comprensione e controllabilità).

Conclusioni: gli adolescenti con dolore cronico sperimentano lo stigma correlato al dolore da parte di operatori sanitari, personale scolastico, familiari e coetanei, che possono avere implicazioni sociali e sanitarie negative. Sono necessarie ulteriori ricerche per valutare il legame tra lo stigma correlato al dolore e gli esiti di salute per gli adolescenti con dolore cronico. Vengono discussi gli approcci clinici che prendono di mira lo stigma correlato al dolore.