Post Covid: fibromialgia per una donna su quattro.

Articolo apparso su : https://www.healthdesk.it/ il 10 marzo 2023, ore 18:20.

Dopo un ricovero per infezione da SARS-CoV-2, il 15% dei pazienti sviluppa fibromialgia, percentuale che sale al 26% nel sesso femminile.

È quanto risulta dai dati raccolti da ricercatori dello Sheba Medical Center in Israele e pubblicati di recente su PLOS One analizzando circa 200 pazienti ricoverati per Covid-19 nel 2020: l’87% ha avuto almeno un sintomo correlato alla fibromialgia dopo essere guarito dall’infezione, il 15% ha sviluppato la sindrome nei cinque mesi successivi. Fra le donne l’incidenza è stata del 26%, sei volte maggiore rispetto alla popolazione generale; i sintomi più comuni, presenti ciascuno in oltre un caso su due, sono stanchezza, disturbi del sonno e dolori muscolari e articolari.

Se ne è parlato in occasione del Corso sul dolore acuto e cronico, dalla ricerca alla clinica organizzato dall’Istituto tumori Pascale di Napoli dal 9 all’11 marzo.

Anche in Italia l’incidenza della sindrome è in forte aumento nella popolazione generale e dopo la pandemia i casi di fibromialgia sono in continua crescita: oggi si stimano circa 2 milioni di casi.

«La fibromialgia è una sindrome “misteriosa” – spiega Arturo Cuomo, direttore della Struttura complessa di Anestesia, rianimazione e terapia antalgica del Pascale – di cui per lungo tempo è stata messa in dubbio perfino l’esistenza. Oggi è riconosciuta come patologia reumatica extra-articolare, ma resta un problema spesso diagnosticato con grande ritardo e qui al Pascale siamo fortemente impegnati a scongiurare che accada, evitando che i pazienti per mesi o anni si sottopongano a visite da diversi specialisti prima di dare un nome al proprio disturbo».

La fibromialgia giovanile colpisce il 2-6% di bambini e adolescenti, soprattutto femmine, e «in questi casi – sottolinea Marco Cascella, responsabile dell’HUB del dolore del Pascale – è ancora più essenziale intervenire per garantire una buona qualità di vita e per scongiurare conseguenze sul benessere psicologico: ricerche recenti hanno dimostrato alterazioni nelle aree cerebrali deputate all’elaborazione del dolore e nella corteccia frontale, in zone connesse alla regolazione ed elaborazione delle emozioni».

La cura della fibromialgia può includere anche miorilassanti e antidolorifici, ma i trattamenti sono per lo più non farmacologici e soprattutto personalizzati, con interventi sullo stile di vita, educativi e psicoterapeutici. Purtroppo, però, la fibromialgia non è inclusa nell’elenco delle patologie croniche e quindi nei Lea: «I pazienti non hanno diritto a esenzioni per visite, esami e terapie – osserva Cuomo – e questo complica non poco la gestione della sindrome, per la quale sarebbe importante creare percorsi adeguati così da ridurre i tempi per la diagnosi e garantire una presa in carico assistenziale adeguata in centri con esperienza nel campo».

La sottoscritta, aveva già pubblicato un articolo, lo trovate qui:

http://www.cittadinanzattivatoscana.it/?s=long+covid

dove, io e l’amica Tiziana Lazzari avevamo fatto emergere questo problema, si scriveva già a maggio del 2021 che : “Tutti i Paesi dell’UE sono colpiti da questo nuovo fenomeno”.

Speriamo si prendano provvedimenti al più presto, nel campo della ricerca per una soluzione scientifica valida, per evitare che il numero della percentuale aumenti a dismisura.

Faber est suae quisque fortunae

ciascuno è artefice della propria sorte

Ogni persona è responsabile del proprio destino e della scelta della propria vita, giusto? Che strano però, non ricordo di aver scelto di vivere con delle malattie croniche!!! Questa cosa è strana, è divertente, si fa per dire. La maggior parte dei giorni, mi sento come se il destino si fosse scagliato contro di me. Vivo la mia vita con le mie compagne sempre presente, la fibromialgia e tutte e altre patologie croniche, ebbene si, diciamolo, sono una donna pluripatologica. Delle bastarde e subdole malattie delle quali nessuno si accorge mai, a volte anche chi ti sta accanto, ti incontra per caso, si accorgono che sono sola e godo di ottima salute. Molti medici non hanno rilevato la presenza di queste compagne di vita e nel caso della fibromialgia, l’hanno attribuita a ipocondria o ad una malattia mentale. La fibromialgia, è una delle malattie, poi ci sono le altre, artrite psoriasica, psoriasi e ancora ma, poi ci sono tutte quelle che sono legate solo alla fibromialgia, la lista è lunga: ansia, emicrania, nebbia del cervello, stanchezza cronica… l’elenco, ripeto, è lungo.

Noi fibromialgiche, forse è capitato a qualcuna di voi, siamo il bersaglio di barzellette, di scherni “sei solo vecchia“, “ormai, hai raggiunto una certa età”. Quelli che si rivolgono a noi in questo modo, non sanno che ci sono donne e anche uomini giovani che vivono con la fibromialgia fin dall’età adolescenziale. A quell’età invece, ti senti dire che sei pigra, che non hai voglia di fare nulla, che trovi sempre delle scuse. Non è così, ci vuole molta forza per realizzare quello che facciamo in un giorno. Non avete la più pallida idea di quello che proviamo; state zitti e non giudicateci. C’è chi prova di tutto per non sentire più dolore, quel dolore si, perché il dolore della fibromialgia, non è il solito dolore alla testa che ti prende perché, magari sei stanco, no, non è quello, oppure il dolore su tutto il corpo quando hai l’influenza. Il dolore fibromialgico è fluttuante, è bruciante, è tagliente, ti toglie il respiro.

Cerco di stare attenta a quello che mangio, cerco di dormire regolarmente, sto sempre attenta a non “strafare” anche perché se vado oltre le mie possibilità so benissimo che domani le mie compagne me la faranno pagare per quelle trasgressioni. Purtroppo, mi capita di pagare delle trasgressione senza accorgermene. Mi è capitato ieri. Mi ha chiamato una cara amica. Andiamo fino ai giardini, è uscito un bel sole, dai ci farà bene. Avevo voglia di uscire, avevo voglia di stare con la mia amica. Ci siamo incamminate verso i giardini ma, senza accorgersene, mentre si chiacchierava ci siamo allontanate troppo. Lei, stava bene. Io, no. Gli ho chiesto di tornare indietro, perché ho avvertito un forte dolore all’anca. Il ritorno verso casa è stato dolorosissimo. Mi sono buttata sul letto e svegliata più volte durante la notte dai dolori. Oggi al mio risveglio, mi sento tutta rotta come se mi avessero investita.

Lavoro a tempo pieno anche se da casa, sono in telelavoro. Questa modalità di lavoro mi aiuta molto ma, ho perso i contatti con i miei colleghi che sento solo al telefono oppure in una video chat, e credetemi, non è la stessa cosa. Ho la fortuna di fare volontariato, sono facilitatrice di gruppi di auto aiuto per la fibromialgia e questo mi ha permesso di “rinascere”. Non solo mi aiuto ma aiuto l’altro/a uguale a me. Con il volontariato ho evitato l’isolamento. Molte persone con la Fibromailgia, si isolano, perdono amici, in alcuni casi anche la famiglia. Fortunatamente ho una buona resilienza e ne vado fiera.

Sono padrona del mio destino? Sinceramente, non lo so. E’ un dubbio che mi perseguita. Sono, almeno credo, una donna intelligente, energica, e quindi capace di utilizzare al meglio ciò che la natura mi offre per essere artefice del mio destino. Nel mio destino è compresa anche la pluripatologia? A quanto pare, è così. La scienza non ha ancora capito perché ci ammaliamo, non ha ancora capito perché tanto dolore e tanti sintomi collegati alla fibromialgia mettono in ginocchio tanta gente. Mentre studiosi, chiusi nei loro laboratori, in giro per il mondo alla ricerca di un qualcosa che allievi le nostre sofferenze, io mi sento ancora in grado di fare qualcosa su questa terra e lo desidero fortissimamente, lo voglio ma, aiutatemi a farlo senza sentirmi come se un tir mi avesse preso in pieno.

Grazie

Rosaria Mastronardo

Come relazionarti con la tua disabilità invisibile.

Incominciamo da noi.

Siamo fratelli, figli, amanti, amici, e colleghi. Se apprezzi l’equità e l’inclusione, questi valori dovrebbero estendersi anche nelle tue relazioni, non ti pare? Spesso, con chi ha una disabilità, soprattutto invisibile, non sempre questi valori emergono. Gli esseri umani prosperano nelle relazioni e in queste relazioni però si ignora la disabilità. Bisogna ricordarsi invece che come, genitori, sorelle, amici e datori di lavoro, avete l’opportunità di aiutare a rimuovere le barriere che si frappongono al vivere pienamente le vite delle persone che vivono la disabilità, sia essa visibile che non visibile.

Vivere una vita con disabilità, sia essa visibile o invisibile è una dannata sfida. È sicuramente la cosa più difficile che io abbia mai affrontata. Più difficile che crescere in una casa non sicura, vivere una relazione violenta, vivere al di sotto della soglia di povertà, non lo so, so però com’è vivere la mia vita con una disabilità invisibile. Nel 2015, mi è stata diagnosticata la fibromialgia, poi via via tante altre malattie autoimmuni una dietro l’altra. Ho vissuto con i sintomi di queste malattie per molto tempo, malattie che tendono a fluttuare a seconda anche dei fattori di stress, dal clima e quant’altro e che, attualmente mi stanno destabilizzando. Durante le riacutizzazioni, il dolore è più difficile di quanto si possa descrivere e i sintomi cognitivi ed emotivi che le accompagnano mi fanno sentire malissimo.

Per un po di tempo, all’inizio, temendo il rifiuto, mi sono chiusa molto, evitavo i rapporti con gli altri. Avevo tanta paura, non capivo cosa stesse succedendo. Ho faticato a condividere i miei sintomi, le mie sfide e persino il nome della mia prima diagnosi, la fibromialgia.

Questo timore non era infondato. Quando ho iniziato questa mia “via crucis” ho scoperto la completa assenza di un sistema di supporto. In famiglia ti guardavano in modo diverso, non eri più la stessa di prima, non capivano, cercavano di aiutarti ma, erano in difficoltà anche loro; con le associazioni, non ne parliamo, tante pacche sulle spalle, tanti: “ti comprendiamo” e poi…. Il nulla. A lavoro, eri diventata la fannullona e non importava tutto quanto fatto negli anni precedenti, ai loro occhi, eri quella che non voleva più lavorare. L’isolamento veniva da se. Poi, capisci e comprendi che se continui così, sei come “morta” ed io non ero morta, ero solo una “malata invisibile” agli occhi di tanti, di molti. Ho capito, ad un certo punto che dovevo “difendermi” difendere me stessa. Questo sai, è difficile quasi quanto vivere con il dolore perché comunicare i miei bisogni, le mie richieste di aiuto, i miei diritti poteva essere accolto con il rifiuto, la negazione e chi sa cos’altro. Ne sono stato testimone nella mia vita così come tutti quelli che mi sono stati vicini. E’ stato un altro grosso fardello che ho sopportato.

Ho pensato, ad un certo punto che dovevo fare qualcosa. Chi vive una condizione di disabilità, senza rendersene conto, ha il potere di essere più inclusivo rispetto ad altri che non vivono la stessa condizione. Tu, hai il potere di educare te stesso, in primis, poi con la conversazione, con la partecipazione attiva, quanto ti puoi permettere di esserlo, devi sforzarti di cercare di rimuovere le barriere che si sono alzate davanti a te, devi cercare l’accessibilità ove possibile. La comunicazione negli ambienti di lavoro è importante. Ho fatto anche quello. La cosa importante è cercare di far conoscere a quante più persone possibili la condizione di “disabile invisibile”. Sensibilizzare in ogni modalità che ritiene possa essere di aiuto, fallo. Sensibilizza, fai. Esistono molte patologie invalidanti ma poco evidenti, questo porta ancora troppe persone a pensar male. Ci sono purtroppo tantissime persone che ogni giorno affrontano la propria lotta in silenzio, vivendo con patologie croniche o condizioni che limitano le attività del quotidiano. Oltre alle problematiche di dover gestire quotidianamente la patologia, queste persone affrontano stigmatizzazione e fraintendimenti sociali, poiché gli altri spesso non riconoscono la loro difficoltà, anche nel compiere semplici azioni come fare la fila al supermercato, sui mezzi pubblici….

Purtroppo, tutti noi “partiamo sempre” in quarta di fronte a quelle che crediamo ingiustizie e nel caso di un disabile invisibile rischiamo di metterlo a disagio; la disabilità in quella persona esiste, ma non è così evidente. L’abitudine a persone che si comportano in maniera scorretta induce a pensare che tutti siano in malafede. Le persone con malattie invisibili ci educano a non fermarci all’apparenza, a non giudicare un libro solo dalla copertina. Come sempre, le realtà vanno conosciute a fondo prima di esprimere giudizi. Oggi, purtroppo si è spesso portati a pensare che la disabilità sia un problema solo di chi la vive, che deve sempre far valere i propri diritti, anche quando sono evidenti. Figuriamoci cosa accade quando la disabilità non è neanche visibile!

Ecco perché, noi in primis, malati invisibili, dobbiamo metterci in prima fila e sensibilizzare il più possibile e se ci aiutano anche chi ci sta accanto, in famiglia, nella società, a lavoro, in chiesa, è apprezzato.

Vivere in questo mondo con disabilità è già abbastanza impegnativo, per favore non renderlo più arduo. Credo che tu abbia il potere e l’umanità per istruirti, imparare quali disposizioni sarebbero apprezzate e aiutare ad abbattere le barriere che dobbiamo affrontare. Come genitori, sorelle, amici e datori di lavoro, vi imploro di cogliere questa opportunità e di darci la possibilità di vivere le nostre vite al massimo.

Rosaria Mastronardo

Con troppe diagnosi non è facile guardare il lato positivo della vita ma, ci provo.

Andiamo avanti……..

Le malattie croniche influenzano moltissimo tutti gli aspetti della mia vita. Ho molteplici malattie e sindromi che si incrociano tra di loro, sono difficili da trattare e interferiscono completamente su tutte le parti del mio corpo, con pochissime esclusioni, forse nessuna.

Ho scritto molto del mio dolore, dolore cronico. Forse in pochi sanno che non ho solo la fibromialgia ma, diverse patologie/malattie/sindromi. Ho deciso di renderle pubbliche perché, in questi giorni, mi sento sola e incompresa anche da chi ti sta vicino e dice di capirti. Mi sento come una “macchina” trascorro le mie giornate con il pilota automatico e sogno ad occhi aperti il momento in cui posso finalmente stendermi sul mio letto e provare a dormire e/o riposare.

Forse qualcuno non troverà interessante quello che scriverò ma, è importante per me.

Voglio essere vista e conosciuta non per diventare famosa, non per protagonismo, non me ne frega nulla, desidero far sapere SOLO quello che vivo ogni singolo giorno; non deve essere un segreto, meglio si sa di chi vive come vivo io, meglio è; lo faccio anche per sentirmi meno sola nelle dure sfide della quotidianità.

Sono purtroppo affetta da: Fibromialgia, Artrite Psoriasica, Tiroidite di Hashimoto, Sindrome di Reynaud, Osteoartrite di 4° livello alle caviglie che ha danneggiato gradualmente cartilagine e tessuti circostanti, tanto da non riuscire più a camminare per lunghi tratti, Neurolisi del nervo ulnare bilaterale, già operata una volta al braccio sinistro, Spasmofilia, Cefalea, Psoriasi, Gastrite, Discopatie, Ernie e altro, mi fermo nell’elenco perché potrei sembrare in fin di vita. In alcuni momenti, vi giuro che, mi sento finita dentro.

Sono una mamma, una donna, una moglie, una lavoratrice e volontaria. Ebbene, si. Sono tutte queste cose. A volte mi viene da pensare che se non fossi malata potrei essere una “wonder woman“.

Ognuno ha il proprio insieme di sintomi che rendono difficile affrontare le sfide della vita. Non è semplicemente convivere con il dolore cronico. Ci sono così tanti altri sintomi che interferiscono con tutte le mie attività quotidiane, sintomi alcuni invisibili che solo io so che esistono e che provo sulla mia pelle, su ogni parte del mio corpo.

Una giornata tipica della mia vita consiste in una moltitudine di decisioni che portano a una reazione a catena su come andrà il giorno successivo, o anche la settimana successiva. Tutto, dalla cosa, il lavoro, il volontariato: è un consumare energia tutte le volte che faccio qualcosa, e tutte le volte che ne faccio una mi chiedo sempre se avrò la forza per fare la seconda, la terza e così via. Non sono uguali i giorni. Ci sono giorni buoni e giorni poco buoni ed io sono sempre li che faccio una cernita delle mie attività. E’ sempre così, tutti i giorni che Dio mette in terra.

Sono una mamma.

Fare la mamma non è facile. Ho desiderato essere mamma. Ho avuto un figlio che adoro. Cerco di stargli accanto il più possibile, anche se ora è grande ma, la mamma è sempre tale anche quando i figli crescono e sono autonomi. Non si smette di essere mamma, mamma si è SEMPRE.

Sono moglie e donna

Ho la fortuna di avere un uomo accanto che, nonostante le differenze caratteriali, è un uomo bravo e comprensivo. Credo, anzi sono certa che, non è facile vivere accanto a persone malate come me, che hanno bisogno sempre di un sostegno, di una mano, di essere moglie sempre. In questo, mi reputo fortunata. Il mio uomo, c’è.

Sono una lavoratrice

Sono fortunata, perché ho un lavoro. So quanto è difficile oggi avere un lavoro stabile. Sono fortunata anche perché, essendo il mio lavoro, tele-lavorabile, svolgo la mia attività da casa. Qualcuno, potrebbe pensare che sono una “privilegiata”. Forse si o forse no, non giudicate senza sapere. Non è che lavorando a casa la mia situazione di salute migliora. Io sono una malata cronica e cronica rimango anche se sono una telelavoratrice. Quindi, non avrò certo tutte quelle difficoltà che hanno tutti quelli che si recano sul posto di lavoro: alzarsi presto, preparasi, traffico, e altro ma i miei dolori, le mie difficoltà a stare seduta e ferma per lungo tempo non aiutano la mia condizione. Ho tanti vantaggi, è vero ma, la situazione “dolore cronico” non cambia, quello non via neppure se sei a casa. C’è, punto.

Sono una volontaria

Le mie numerose malattie/patologie/sindromi non sono venute tutte insieme, un po per volta, sono state “educate” con me, si sono presentate, tutte casualmente diagnosticate, una alla volta. All’inizio, mi fu diagnostica la fibromialgia e poi a seguire tutte le altre. Con la fibromialgia è iniziata la voglia in me di fare qualcosa. Malattia poco conosciuta, difficile da diagnosticare, ancora carente di un marcatore per una esatta diagnosi, non riconosciuta dal nostro SSN, tanti “sciacalli” in giro per il mondo che, in virtù di tutto quanto sopra detto, ti proponevano di tutto e di più promettendoti la guarigione, associazioni che pur di fare cassa e mostrarsi in TV, ti promettevano l’impegno a prendersi cura di te. Niente di tutto questo è accaduto, anzi, nonostante il mio impegno in alcune di esse, ho lasciato definitivamente quell’ambiente e mi dedico all’Auto Aiuto e collaboro solo con quelle Associazioni che, seriamente, si impegnano in questa lotta infinita per il riconoscimento, la sensibilizzazione e altro per la fibromialgia e per un concreto sostegno nei confronti dei malati cronici, anche se invisibili. Sono facilitatrice di due gruppi di Auto Aiuto.

All’inizio con alcune associazioni ho preso parte a numerosi eventi. Organizzarli, non era facile. Però, per il bene comune, stringi i denti e vai avanti. Oggi, ho deciso di non organizzare più nulla. Se qualcuno mi propone una partecipazione, volentieri aderisco ma, non organizzo nulla e non desidero far parte di nessuna associazione di malati fibromialgici, mi viene l’orticaria solo al pensiero.

Ho anche una passione, in verità ne ho diverse ma, alcune, per le mie malattie, non posso più fare, ne ho lasciata solo una. La scrittura. Amo scrivere. Non scrivo poesie, non scrivo racconti. Tutto quello che scrivo riguarda la mia situazione di malata cronica, invisibile, ignorata, nella società, nel mondo del lavoro e dallo Stato. Riporto testimonianze di malati ma, anche di vita vissuta, scrivo della mia esperienza con i gruppi di Auto Aiuto. Credo che, scrivere certe testimonianze di vita con il dolore cronico, con le malattie invisibile sia un modo per far conoscere le difficoltà di vita di persone che vivono questa condizione e soprattutto sensibilizzare quanto più possibile sul tema.

Forse a qualcuno questo testo, nel leggero, gli avrà portato un po di depressione o disgusto. Non è certo un testo divertente, di divertente, nel descrivere la vita di un malato cronico, non c’è nulla.

La vita di un malato cronico è così e in alcuni casi, anche peggio.

Vi confesso che le mie giornate, non sono tutte uguali, il mio umore cambia in virtù dell’intensità del dolore, delle mie difficoltà nel fare qualsiasi cosa. Piango, si a volte mi capita anche di piangere dal dolore, e ripeto a me stessa: resisti, combatti, vai avanti, non arrenderti. Hai ancora tanto da fare, da dire, da vivere. Una cara amica ieri mi ha ricordato che devo anche sapere ascoltare la malattia e fermarmi quando è alta la sofferenza, il dolore. Ha ragione da vendere la mia amica, ha ragione. Mi impegnerò ancora di più.

E come ci diciamo sempre io e lei: andiamo avanti…..

Rosaria Mastronardo

Quando la fibromialgia inizia presto

dolori di crescita

Una testimonianza dal web

Quando avevo 3 anni sapevo che qualcosa non andava, mi svegliavo piangendo molto spesso durante la notte. “Mamma mi fanno male le gambe“, urlavo, con le lacrime che mi rigavano il viso. “Perché mi fanno così male?”

Quando avevo 5 anni, mia madre ha chiesto al mio pediatra perché avevo dolori alle gambe, la sua risposta è stata “dolori di crescita“. Che non solo non sono dolori della crescita reali, ma era una diagnosi molto inappropriata considerando che ero la bambina più bassa della mia classe all’asilo. “Perché non sto crescendo se ho dolori della crescita?”

Quando avevo 7 anni iniziarono i test di laboratorio, tre fiale di sangue. Continuo a urlare nella notte perché le gambe mi fanno così male che non riesco a dormire. I risultati di laboratorio sono tutti nella norma, era tutto “normale“. “Perché hanno bisogno di prendere il mio sangue?”

Quando avevo 9 anni le analisi di laboratorio non erano ancora finite, ma questa volta c’erano cinque fiale di sangue. Mi hanno diagnosticato una serie di malattie, ma principalmente per i dottori era il lupus. Non pensavo di avere il lupus, ma ero desiderosa di risposte. In questo periodo, il dolore iniziò a sembrare consueto. “Perché i dottori non ascoltano?”

Quando avevo 12 anni ho iniziato con il mio ciclo mestruale. Ero a letto tre giorni su sette della settimana perché il mio corpo non riusciva a muoversi. Il dolore aveva iniziato a diffondersi, ho iniziato a sentire i coltelli nella schiena. Sono andata di nuovo dal dottore, e a quel punto le provette di sangue erano aumentate notevolmente. “Per favore, fallo smettere!”

Quando avevo 14 anni ho avuto il mio primo ragazzo. Invece di dirgli che ero troppo esausta o troppo dolorante per uscire, ho semplicemente detto “Sono occupata“, sapevo che non mi avrebbe capito o creduto. A questo punto il dolore si è diffuso alle mie braccia. Ero in costante dolore. “Voglio solo che mi credano.”

Quando avevo 15 anni la mia relazione con il mio ragazzo era diventata tossica. Sono stato tradita, un rapporto basato su bugie. Presto mi sono resa conto che lo stress peggiorava il dolore. Sono stata costantemente stanca per quasi sei mesi. Non volevo nemmeno alzarmi dal letto. Ho fatto la scelta di porre fine alla relazione. “Soffro già di dolore fisico perché aggiungere quello emotivo?“.

Quando avevo 16 anni mi sono innamorata seriamente. Questo ha migliorato il mio umore ero più felice e non molto concentrata sul mio corpo. Sapevo che avevo meno giorni di dolore. Avevo ancora varie visite mediche da completare e altre provette da riempire. Non avevo ancora idea di cosa non andasse in me. All’improvviso, tutto si aggrava. Dolori ancora più forti. Stavo cominciando a perdere ogni fiducia nel campo medico. “Non augurerei questo dolore al mio peggior nemico.”

Ora ho 17 anni e mi è stata diagnosticata la fibromialgia. Ora prendo due farmaci prescritti una volta al giorno e un altro due al giorno. Ho il sostegno di più amici, della mia famiglia e del mio ragazzo. Ottenere una diagnosi mi ha liberato, perché ora sono consapevole di cosa c’è che non andava e quindi ora sono in grado di prendere le precauzioni necessarie. Avere una malattia cronica in giovane età non è affatto facile. Oggi, posso dire che “Sto vivendo una vita quasi fantastica!”

Ma, per i medici erano soli i “dolori di crescita“.

A proposito di fibromialgia e pregiudizio

Un dialogo tra amiche.

Hai la fibromialgia! – ma la fibromialgia non è solo la gente pigra”?

Mi rende triste sentire pregiudizi come questi.

A te che non conosci la fibromialgia.

La fibromialgia è una malattia dolorosa cronica che, tra le altre cose, è caratterizzata da dolore fisico, spossatezza e ridotta resistenza fisica.

Immagina questo scenario:

sei sdraiato a letto.

Hai l’influenza.

Hai la febbre.

Sei dolorante dappertutto.

Sei stanco.

(Avere la fibromialgia sembra, tra le altre cose, avere un’influenza cronica)

Ma invece di sdraiarti, ti alzi: fai la doccia prepari la colazione e prepari il pranzo, svegli amorevolmente i tuoi figli e li prepari, li segui a scuola, vai al lavoro poi vai a prendere i bambini, giochi con il tuo bambino più piccolo dopodiché aiuti l’altro a fare i compiti , prepari la cena, svuoti la lavastoviglie, mangi la cena mentre ti concentri su quello che avviene in casa e “vivi” la giornata dei tuoi figli e infine, vai a letto.

Tutto questo mentre hai l’influenza.

Hai la febbre.

Sei stanco.

Hai dolore su tutto il corpo.

Credimi, io non sono pigra.

Combatto una battaglia ogni giorno con dolore, indolenzimento e stanchezza.

Combatto una battaglia ogni giorno per poter fare queste cose – alcuni giorni posso fare molte cose, altri giorni poche cose.

Combatto ogni giorno per trascorrere una giornata il più piacevole possibile con i miei cari.

Combatto non solo per me stesso ma anche per loro.

Lotto ogni giorno per mantenere la gioia, la positività – come parte permanente della mia vita.

Lotto ogni giorno per mantenere una porzione buona e nutriente di gioia di vita e di qualità della vita.

Noi con la fibromialgia non siamo pigri.

Noi con la fibromialgia non fingiamo.

E non vogliamo avere nessuna di queste etichette.

Caro essere umano – spero nella tua comprensione e osservaci bene prima di giudicare. La prossima volta che ci incontreremo, guardami bene negli occhi e non mettermi sullo stesso piano di un pigro, di uno ipocondriaco o di un malato immaginario. La fibromialgia esiste ma, non si vede ed è una malattia cronica.

Prendetevi cura di voi.

Rosaria Mastronardo

Buoni e cattivi dottori

Non illudetevi, i medici della serie televisiva Greys Anatomy e il Dr. House della serie Medical Division, non esistono nella vita reale, sono finzioni.

Di: Jessica Franke, fonte originale su : https://www.fmaware.org/good-vs-bad-doctors/

Non guardo Greys Anatomy, l’ultimo dramma televisivo che glorifica la vita dei medici, semplicemente per la colonna sonora. The Postal Services Such Great Heights è una delle mie canzoni d’amore preferite di tutti i tempi ma le persone che producono Greys Anatomy la stanno sfruttando per suggerire che i medici esistono in qualche modo su un piano superiore rispetto ai loro pazienti; che forse le lettere MD in realtà sta per Mighty Deity (Potente Divinità); e che i dottori salutano da così grandi altezze e non si degnerebbero mai di scendere al nostro livello.

In quanto scienziata e malata, ho interagito con molti medici in passato e fino ad oggi in tutti modi diversi, dal paziente all’amico al concorrente. Quindi, so che i dottori sono solo persone che hanno lavorato molto duramente per superare la scuola di medicina, guidati dal desiderio di aiutare le persone o dal desiderio di alimentare un ego molto grande. L’intelligenza è meno importante per diventare un medico dell’ambizione e della capacità di memorizzare i fatti e rinunciare a dormire.

I dottori non sono dei o geni, e mentre la loro vasta conoscenza e formazione medica dovrebbe essere rispettata, i dottori non meritano il culto dell’eroe o la tua completa sottomissione, anche se ho avuto alcuni cattivi dottori che la pensano diversamente.

Ho visto il mio primo medico specialista a 16 anni. Era un endocrinologo grosso e imponente con una voce tonante e una stretta di mano schiacciante. Era dolorosamente consapevole della propria presenza nell’aula d’esame e amava recitare la parte del valoroso salvatore. In quella che sembrava un’esibizione provata, faceva gloriose diagnosi mediche e dichiarava che il mio ipotiroidismo era perfettamente sotto controllo.

Non sorprende che non fosse interessato a come mi sentivo davvero, il che era altrettanto grave di quando l’ho visto per la prima volta. Invece, si è affidato esclusivamente alle risposte definitive fornite dai test di laboratorio, che hanno mostrato che il mio livello di TSH era finalmente sceso al di sotto del valore superiore accettato di 5.0. Quando ho continuato a lamentarmi dei miei sintomi, ha iniziato a risentirsi della mia onnipresente presenza nel suo ambulatorio.

Ho citato la ricerca attuale che ha suggerito che molte persone si sentivano meglio quando il loro TSH era compreso tra 1,0 e 2,0 (questo alla fine si è rivelato vero per me); mi ha detto che volevo abusare dei farmaci per la tiroide come soluzione rapida per perdere peso (il che era ridicolo, perché ero una adolescente magra). Ho portato un articolo che mostra che l’aggiunta di farmaci T3 ha aiutato i pazienti a sentirsi meglio rispetto alla sola terapia T4. Ha strappato l’articolo davanti a me e mi ha chiesto: Sei un dottore? Non credo. Ne so più di te, quindi stai zitta.

Anche alla mia giovane età ero piuttosto schietta e non ero contenta di trascorrere la mia vita stanca e infelice. Alla fine, ho detto, va bene se la mia tiroide non è la ragione per cui mi sento male, devo avere qualcos’altro. Penso di rientrare nei criteri per la fibromialgia. Mi fissò per un secondo.

La fibromialgia non è una vera malattia. È una diagnosi inventata per zittire le vecchie piagnucolose. Sembra che tu stia recitando una parte per attirare l’attenzione. Forse dovresti cercare un aiuto psichiatrico.

Gli ho detto di darmi una copia dei miei documenti, e poi di prendere la sua esperienza medica e fottersi. Mi disse che era contento di non dover più ascoltare i miei piagnucolii e se ne andò, agitando il suo camice bianco inamidato intorno a sé e sbattendo la porta.

Negli anni successivi, almeno altri due medici si sono rifiutati di credere che avessi la fibromialgia e hanno fatto eco alla convinzione del mio endocrinologo che stavo inventando i miei sintomi per attirare l’attenzione. Uno ha persino suggerito che la stavo usando come scusa per giustificare la mia pigrizia. Alla fine, ho trovato un reumatologo che ha effettivamente eseguito il test dei tender points e mi ha diagnosticato la fibromialgia, lui non era destinato a essere il mio primo buon dottore.

Mi ha prescritto solo un miorilassante e non mi ha più visto. Il che mi porta alla mia prossima storia, che insegna che un medico dovrebbe insistere per una visita di controllo dopo aver diagnosticato una malattia.

Durante il mio primo anno di college, ho avuto un forte dolore all’addome superiore che ha sconcertato molti medici e pensate, devo ancora sapere cosa avesse provocato quel forte dolore. Dopo un’endoscopia, ho incontrato il gastroenterologo, che mi ha detto che avevo la pancreatite o il cancro al pancreas e che ne avevo per poco, al massimo due mesi di vita.

Sconvolta, ho chiesto cosa avremmo dovuto fare. Mi ha detto che nessuna delle due condizioni era curabile, quindi non avevo bisogno di fare nulla. Non avevo nemmeno bisogno di fissare un appuntamento di follow-up con lui.

Dato che sono ancora viva, e infatti non soddisfo i criteri per la pancreatite e neppure di un cancro, ovviamente si sbagliava. I medici devono essere in grado di dire, non lo so. Potrebbe non essere il sentimento più rassicurante, ma almeno il dottore è onesto e non inventa estemporaneamente una risposta per spaventarti o sbarazzarsi di te. A molti cattivi dottori piace presumere che se non sanno cosa c’è che non va, allora niente lo è.

La fibromialgia ci insegna che non è così: i test di laboratorio di base attualmente disponibili non mostrano anomalie, ma i nostri sintomi non mentono e un medico che non ti crede non vale il tuo tempo o denaro.

Non so come come è potuto succedere ma oggi mi posso ritenere fortuna, attualmente sono assistita da una miriade di medici meravigliosi, dal mio reumatologo al mio optometrista. Anche il mio dentista è fantastico.

I miei dottori mi trattano come una persona reale, non una raccolta di organi e risultati di test. Sono più di un corpo mal funzionante; Sono una persona con una vita interrotta dalle malattie. Vogliono sentire come le mie malattie stanno interferendo con i miei sogni, in modo che possano contribuire a trasformare i miei obiettivi in realtà. Mi prendono sempre completamente sul serio e non sono mai condiscendenti o dubbiosi.

Non mi incolpano mai per i miei problemi né suggeriscono che sto in qualche modo sabotando la mia salute come stratagemma per attirare l’attenzione. Inoltre accolgono con favore la mia partecipazione alla mia assistenza sanitaria e considerano il mio background scientifico come una risorsa invece che un fastidio. E se non so qualcosa, si entusiasmano all’idea di insegnarmi un farmaco o una malattia.

Soprattutto, si preoccupano di come mi sento, non di ciò che dice la medicina attuale. Questo è particolarmente importante per le mie varie malattie invisibili, croniche e inspiegabili. A loro non importa che non ci sia un test di laboratorio oggettivo standardizzato per diagnosticare definitivamente le mie condizioni. A loro non importa che nessuno sappia cosa causa le mie malattie.

E capiscono che la mia fisiologia è in qualche modo diversa da quella di tutti gli altri al mondo, quindi invece di stancarsi di quanto sia difficile il mio corpo o accusarmi di non conformità, semplicemente si sforzano ancora di più di trovare una soluzione adatta in modo univoco.

Inoltre, non si fermeranno a farmi star bene, vogliono che io sia felice. Una volta, quando mi sentivo particolarmente giù di morale, dissi al mio dottore che volevo perdere peso. Il mio medico mi disse: “Certo, sarai in grado di farlo bene“. Ma non è il momento di preoccuparsene adesso. Se riesci a resistere per tre mesi senza una riacutizzazione di nessuna delle tue condizioni, inizieremo a preoccuparci di perdere un paio di chili.

Soprattutto, i miei dottori hanno la miscela perfetta di fiducia e umiltà. Sono rassicuranti nel loro approccio impavido alle mie condizioni. Quando entro in ambulatorio e comincio a elencare i miei sintomi complicati e la serie di farmaci ancora più complicati, alla fine dicono qualcosa del tipo: Ah, poverina. Ti sistemiamo noi. Alcuni cattivi dottori mi hanno visto come un pasticcio imperscrutabile e poco gratificante, soprattutto considerando le mie malattie croniche.

Non c’è soluzione rapida quando un medico deve continuare a vedere un paziente. Per alcuni medici, il successo significa non dover mai più vedere un paziente! Fortunatamente, i miei attuali dottori sanno che dobbiamo vederci spesso e hanno coltivato un rapporto reale e personale con me. Dopotutto, passeremo molto tempo insieme nel corso degli anni.

E infine, se la loro vasta conoscenza fallisce, sono effettivamente disposti ad ammetterlo e consultare gli altri miei dottori o esultare per avermi dato un giorno la possibilità di farmi stare meglio. Insieme, siamo una squadra e finalmente sto iniziando a sentirmi meglio fisicamente ed emotivamente con l’aiuto della loro esperienza e supporto.

Apprezzo ancora di più questi meravigliosi dottori per le mie prime esperienze con quelli cattivi. Sfortunatamente, penso che molti medici si siano messi su un piedistallo e il pubblico sembra accettarli. Ironia della sorte, i migliori dottori non salgono mai a così grandi altezze, ma scelgono invece di trascorrere la loro carriera a scendere e sporcarsi nel business non solo di salvare vite, ma di renderle migliori.

“Non c’è niente di sbagliato in te”: stigma legato al dolore negli adolescenti con dolore cronico

Quante volte abbiamo sollecitato le istituzioni e la classe medica su questo argomento: “l’attenzione, la sensibilizzazione del dolore cronico negli adolescenti“.

Una volta, al tempo in cui ero bambina io, sentivo spesso i dottori dire ai miei genitori preoccupati per me, che i dolori era i segnali della crescita. Oggi, fortunatamente, qualcuno sta studiando questi fenomeni che dimostrano che non si tratta di dolori della scescita ma, il dolore è reale, esiste e con i giovani, si deve fare pù attenzione. E’ importante questo aspetto, perché lo stigma può portare ad implicazioni sociali e sanitarie negative sia sui ragazzi che i loro familiari come dimostra lo studio di questo post.

L’articolo, è pubblico qui: https://pubmed-ncbi-nlm-nih-gov.translate.goog/34871426/

Obiettivo: gli adolescenti con dolore cronico spesso sperimentano incredulità sui sintomi e rifiuto sociale da parte di altri a seconda di sintomi “inspiegabili dal punto di vista medico“. Sebbene il dolore cronico sia comune negli adolescenti, una ricerca limitata ha concettualizzato queste esperienze sociali come stigma correlato al dolore in questa popolazione. Lo scopo di questo studio era identificare e descrivere lo stigma correlato al dolore tra gli adolescenti con dolore cronico e i loro genitori utilizzando la metodologia dei “focus group“.

Sono stati condotti cinque focus group di adolescenti (N = 18; Età M = 15,33 anni, SD = 1,28) e tre focus group di genitori (N = 9). L’analisi del contenuto diretto è stata utilizzata per analizzare le trascrizioni dei focus group. Le categorie di stigma sono state sviluppate a priori (stigma sentito, stigma anticipato, stigma interiorizzato, occultamento e controllabilità) e durante l’analisi sono emerse nuove categorie. Due programmatori hanno raggiunto un accordo dell’87,16% per tutti i gruppi (gruppo di adolescenti: 90,34%; gruppo di genitori: 79,55%) ed è stato raggiunto un consenso per i codici discordanti.

Il risultato finale:

gli adolescenti e i loro genitori hanno provato lo stigma legato al dolore in tutti i domini sociali. Le analisi hanno rivelato quattro categorie principali per entrambi i gruppi:

(a) Stigma percepito (sotto-categorie: allontanamento dal dolore, falsificazione o esagerazione e stigma per la salute mentale);

(b) Stigma e occultamento anticipato;

(c) Stigma interiorizzato;

(d) Fonti di dolore – Stigma correlato (sotto-categorie: invisibilità del dolore, mancanza di conoscenza del dolore cronico, mancanza di comprensione e controllabilità).

Conclusioni: gli adolescenti con dolore cronico sperimentano lo stigma correlato al dolore da parte di operatori sanitari, personale scolastico, familiari e coetanei, che possono avere implicazioni sociali e sanitarie negative. Sono necessarie ulteriori ricerche per valutare il legame tra lo stigma correlato al dolore e gli esiti di salute per gli adolescenti con dolore cronico. Vengono discussi gli approcci clinici che prendono di mira lo stigma correlato al dolore.