Le scuse di un medico che si è ammalata di fibromialgia
Questa è la storia di Amanda Shelly, assistente medico, mamma single che vive in Arizona. Amanda, ha compiuto 40 anni da poco e sta lavorando per trovare, in tutti i modi, ad affrontare la malattia cronica, la fibromialgia, per godersi ancora la vita.
Ho delle scuse da fare.
Vorrei scusarmi con tutti i pazienti che ho visto nei miei anni di lavoro in pronto soccorso che soffrivano di dolore cronico dovuto a fibromialgia o malattia autoimmune.
Vorrei scusarmi per non sapere, capire e in alcuni casi nemmeno credere a quello che stavi passando.
Vedi, nella scuola per assistenti medici, proprio come la scuola di medicina, non ci insegnano come queste malattie influiscono sulla vita dei nostri pazienti. Non ci dicono che è stato incredibilmente estenuante per il nostro paziente arrivare in ufficio o che probabilmente dovranno riposare e riprendersi i giorni successivi. Non ci dicono che stare seduti sulla sedia nella sala d’attesa fa male ad ogni parte del tuo corpo, non ci dicono che possono darvi dolore anche quello che indossate che siano essi vestiti o scarpe. Non ci insegnano come la tua famiglia sia influenzata dalla tua incapacità di partecipare alla vita sociale, dare cure e attenzioni al proprio coniuge o figli o persino preparare la cena.
Ma ora lo so. E mi dispiace.
Lo so perché da alcuni anni combatto con la fibromialgia e qualche altro problema autoimmune ancora da identificare. Lo so perché ho dovuto insegnare a mio figlio piccolo come abbracciare dolcemente. Lo so perché ho sentito i suoi amici commentare su quanto sono pigra, per il tanto tempo che passo a letto. Lo so perché non riesco più fisicamente a tenere il passo con i pazienti in ambulatorio, per fortuna ho potuto lavorare da casa grazie alla telemedicina. E lo so perché quella cara vecchia “nebbia fibrosa” spesso fa sembrare che il mio cervello si stia spegnendo, faccio fatica a ricordare le parole che volevo dire al paziente che sto cercando di aiutare.
All’inizio volevo nascondere la mia diagnosi ai miei colleghi. C’erano ancora così tanti colleghi là fuori che non credevano nemmeno che la fibromialgia fosse un vero disturbo (io ero uno di loro). Ma negli ultimi due anni di ininterrotte visite di specialisti, test con risposte bizzarre ma non chiare, prove di un farmaco dopo l’altro, ho imparato che anche se la comunità medica si sta aprendo alla realtà che questo è reale, “loro” , alcuni di loro, continuano a non capirlo.
Questo mi ha colpito di nuovo due giorni fa ad un appuntamento con un reumatologo che ha detto: “Non vedo nulla di preoccupante” quattro volte ha ripetuto la stessa frase, durante la nostra visita. Veramente? Non pensi che dover fare il mio lavoro dal mio letto in alcuni giorni sia preoccupante? Non pensi che l’isolamento causato dal non poter andare a fare e vedere cose con la mia famiglia sia preoccupante?
È giunto il momento che i medici smettano di guardare i risultati di laboratorio e inizino a guardare l’intero quadro. Anche se la scienza non ha scoperto una cura, solo un semplice riconoscimento di ciò che i pazienti stanno effettivamente attraversando sarebbe un enorme passo avanti verso il superamento del divario tra la tua realtà e la mia.
“Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi il mio dolore, i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io.” (Luigi Pirandello)